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«Terremoto, processi a rischio le carte via dall'Aquila», di Attilio Bolzoni

Polemica a un anno del disastro. “Le vittime del terremoto non avranno giustizia”. Alla base delle istanze di legittima suspicione c’è la denuncia di “fattori inquinanti”. Il gup deciderà il 28 maggio. I legali delle parti civili: disprezzo per i morti e la verità

L’AQUILA – È passato un anno da quella notte. Un’estate, un inverno e il dolore che è sempre lì, fra le macerie. E anche la rabbia adesso, la rabbia mischiata alla paura che i loro morti non potranno mai avere giustizia nell’Abruzzo terremotato. Si agitano ombre di legittimo sospetto fra i sassi e la polvere della città che non c’è più.

Gli avvocati degli imputati dei crolli vogliono portare i processi lontano dall’Aquila, vogliono far sparire dalle indagini le vergogne delle case fatte con la sabbia. Nel primo anniversario della scossa che ha sbriciolato l’Abruzzo e lasciato 308 cadaveri sotto i palazzi ecco che si annuncia una tragedia dopo la tragedia, il dramma e la legge, i codici e i cavilli, la violenza della natura e le responsabilità umane, tutto in un miscuglio di ansie e di speranze alla vigilia della prima vera udienza penale sui fatti e i misfatti del terremoto.

I collegi di difesa sono già schierati, quattro penalisti in questi giorni stanno presentando una «richiesta di rimessione per gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo», denunciano «fattori inquinanti», chiedono che tutti gli atti delle inchieste sui quartieri sprofondati finiscano alla procura della repubblica di Campobasso. Sono i difensori degli indagati per la strage della Casa dello Studente, nove ragazzi sepolti vivi, il simbolo dell’Abruzzo che è venuto giù in un attimo. Prima indagine e prima barriera legale, i primi morti e i primi veleni. È una nemesi storica per L’Aquila, la città dove nel novembre del 1968 approdò per legittima suspicione il processo per le quasi duemila vittime del Vajont e dove, un anno dopo, soltanto due imputati furono condannati per quella sciagura. È il passato che torna, i destini che si incrociano disgrazia dopo disgrazia.

La richiesta di legittima suspicione sarà presentata dagli avvocati ai primi di aprile. «Ci abbiamo riflettuto molto e riteniamo che sia l’unica strada per potere avere un processo sereno. Qui si è creato un contesto ambientale particolare, ci sono pressioni che indeboliscono oggettivamente il diritto alla difesa», spiega Attilio Cecchini, principe del foro che difende uno degli undici imputati per i quali la procura dell’Aquila un paio di mesi fa ha chiesto il rinvio a giudizio ? omicidio colposo e disastro colposo – per quella Casa dello Studente che si è accartocciata come una scatola di latta. E racconta: «Con me ci sono già anche gli avvocati Angelo Colagrande, Massimo Carosi e Giovanni De Biase. E tanti altri ancora ci seguiranno. All’Aquila c’è stato un terremoto devastante e poi una ricerca frenetica delle responsabilità umane di tutti quei morti: noi pensiamo che i crolli si sarebbero comunque verificati anche se non ci fossero state le carenze evidenziate dalle consulenze dei pubblici ministeri».

È questa la posizione ufficiale degli avvocati difensori degli imputati, progettisti e tecnici, costruttori e funzionari della Regione. Stanno raccogliendo la documentazione per motivare la loro richiesta di legittimo sospetto. Fra i “fattori inquinanti” del processo che non vogliono in Abruzzo indicano alcune dichiarazioni del procuratore capo della repubblica Alfredo Rossini («Qui all’Aquila arresteremo anche senza avvisi garanzia», «Arresto per i responsabili», «Non escludo la responsabilità di reati dolosi»), qualche articolo di stampa, le voci dei comitati cittadini. Aggiunge Cecchini: «Hanno annunciato che si costituiscono parte civile alcuni comitati, Legambiente e l’Università. Tutto ciò esercita una pressione sull’inchiesta e sul processo: la giustizia non deve essere condizionata».

Sarà il giudice dell’udienza preliminare, il 28 maggio, a decidere sull’istanza di remissione del processo e sulle costituzioni di parte civile. Quel giorno compariranno in aula i primi undici imputati del terremoto, quelli della Casa dello Studente. Le perizie hanno accertato le «concause» del crollo del palazzo: un pilastro che non c’era, il cemento scadente, i controlli mai fatti. Quella della Casa dello Studente è il primo di 200 processi istruiti dal sostituto procuratore della repubblica Fabio Picuti, che da dodici mesi indaga sulla città devastata. Ogni palazzo caduto ha il suo fascicolo, ogni morto la sua inchiesta. Tutta l’indagine sul terremoto si chiuderà intorno al 15 settembre. Dopo la Casa dello Studente il procuratore Rossini e il suo vice Picuti hanno chiesto il rinvio a giudizio per altri 2 imputati coinvolti nel crollo del Convitto nazionale e per altri 7 per quello alla facoltà di Ingegneria. Il fascicolo sul palazzo di via XX Settembre 79 ha altri 7 indagati e quello di via D’Annunzio altri tre. Sott’inchiesta, al momento, sono 30 in tutto. Ma nei prossimi giorni il numero crescerà notevolmente, quando le perizie tecniche su cinque edifici – quelli di via XX Settembre 123, di via Campo di Fossa 6/b, di via Luigi Sturzo 33/39, di via Poggio Santa Maria 1/8 e di via Cola dell’Amatrice 17 – saranno valutate dai magistrati.

In attesa delle decisioni dei giudici sulla legittima suspicione insorgono le parti civili. L’avvocato Simona Giannangeli del comitato delle vittime: «Dietro le manovre per ottenere il trasferimento del processo c’è il tentativo di rendere più difficile il percorso per arrivare alla verità». E l’avvocato Vania Della Vigna, che difende quattro ragazzi sopravvissuti in quella grande bara che era la Casa dello Studente: «È un misero e maldestro tentativo per far diventare questo processo uno spettacolo mediatico in disprezzo dei morti e di quanti chiedono la verità». C’è ira, c’è sdegno per le nebbie che avvolgono il dopo terremoto nel suo primo anniversario.

da www.repubblica.it