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"Cinquan’anni dopo un’altra rivoluzione", di Miriam Mafai

Se la potestà sul proprio corpo è il primo riconoscimento della libertà di ognuno di noi, nel caso della donna questa libertà va declinata anche come potestà sulla propria capacità di riproduzione. E infatti, la storia della libertà della donna, nel nostro come in altri paesi europei, conosce, nell´ultimo scorcio del secolo passato, una importante accelerazione grazie a scoperte scientifiche che affidano a lei, a ogni singola donna, la possibilità/il diritto al controllo della propria fecondità. A queste scoperte scientifiche faranno seguito, grazie all´intervento e alla crescita di importanti movimenti femminili, i provvedimenti legislativi, che nel nostro come in altri paesi occidentali, ne riconoscono questo nuovissimo diritto, esercitato in piena coscienza e autonomia morale.
Risale al 1960 la scoperta, e l´adozione in molti paesi occidentali della pillola Pincus (detta «la pillola» per antonomasia) che per la prima volta darà alla donna la possibilità di controllare la propria fecondità. Ma ci vorranno più di dieci anni perché quella pillola, grazie a una sentenza delle Corte Costituzionale, venga considerata legale e finalmente messa in vendita in Italia.
L´ultimo scorcio del secolo passato conosce una serie di conquiste del movimento delle donne e un affermarsi, sia pure contrastato, del principio della laicità dello Stato e quindi del diritto di ognuno (e di ognuna) di noi di disporre del proprio corpo.
Ma questo principio, della dignità morale della donna, della sua capacità di assumere in piena responsabilità le decisioni che la riguardano continua ad essere messo in discussione dalla Chiesa, come dimostra anche la più recente vicenda della Ru486.
Anche in questo caso, come nella lontana vicenda del 1960, si tratta di una pillola. Ci vollero allora circa dieci anni perché quella pillola anticoncezionale venisse messa in commercio. E per anni, in Italia, è stata impedita l´adozione di un´altra pillola, la Ru486, che, già adottata in tutta Europa da tempo, consente l´aborto farmacologico, senza il ricorso all´intervento chirurgico.
Ora, qualunque donna che abbia deciso di ricorrere all´aborto (per ragioni che solo a lei appartengono) se interpellata dirà, probabilmente, che preferisce l´aborto farmacologico a quello chirurgico. Ma pare che sia propria la relativa «facilità» di questo intervento a indignare molti uomini di Chiesa, evidentemente convinti che la sofferenza per la rinuncia a un figlio sia misurabile solo dal dolore provocato dai ferri che ti entrano in pancia e non dal fatto che a quel figlio hai dovuto rinunciare.
Le ragioni che dalle gerarchie vaticane e da alcuni parlamentari cattolici sono state portate per impedire l´adozione della Ru486 sono a dir poco risibili. Finalmente, dopo anni di polemiche, di dibattiti, di resistenze, la pillola entrerà da oggi in Italia. E nelle prossime settimane le donne che lo vorranno potranno abortire assumendo una pillola, anziché sdraiandosi sul tavolo operatorio. Non diremo che è una vittoria delle donne. Sarebbe una vittoria non dover mai rinunciare a una vita che portiamo in grembo. Ma finché questo non sarà possibile, è giusto che ogni donna scelga, in piena autonomia, quale procedura adottare. Il corpo è suo, dopotutto. Anche se questo non le viene ancora riconosciuto dalle autorità del Vaticano.
La Repubblica 30.03.10