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All’indomani del risultato elettorale, Pier Luigi Bersani traccia un bilancio per il PD e per l’intera coalizione. Il segretario del Pd ribadisce in conferenza stampa che serve “un’analisi più attenta e veritiera dei risultati, considerando che all’inizio di gennaio nessuno era disposto a scommettere che il centrosinistra conquistasse 7 regioni su 13. Dopo questo appuntamento elettorale non intendo cantare vittoria ma neanche accettare una descrizione dei fatti che assomiglia a una sconfitta nostra e del centrosinistra. Chiedo un’analisi attenta e un interpretazione più veritiera. Il divario tra le coalizioni si è ridotto di 3 punti. Bisogna riprendere la costruzione di un campo alternativo al centrodestra nel solco basato sulla costruzione di un PD sempre più popolare radicato nei bisogni di lavoro, imprese, famiglie e sulla costruzione di un’alternativa che dia sbocco credibile alle esigenze di rinnovamento della politica”. E sul nord contrasta una delle analisi già fatte: “Non c’è un nostro arretramento al Nord, in Piemonte abbiamo perso per 9mila voti, è come prendere un palo al 95esimo. La vulgata che il Pd non sia nel Nord è sbagliata: chi l’avrebbe detto che avremmo vinto al primo turno a Lecco e Venezia contro Castelli e Brunetta?

Insomma nel voto c’è il segno di “un’inversione di tendenza. Come coalizione, rispetto al dato delle europee abbiamo avuto ovunque un nostro avanzamento. A gennaio nessuno scommetteva che avremmo vinto in 7 regioni su 13. Con il quadro di alleanze di allora potevamo giocarci 3-4 regioni, e invece ne abbiamo vinte 7 e altre due ce le siamo contese, in Piemonte con un palo al 95esimo e nel Lazio, dove ci separano 77mila voti. Nel Lazio il nostro schieramento avanza di 4-5 punti rispetto al 2009, in Campania di 6 punti, in Lombardia di 3, nelle Marche di 7, in Emilia di un punto e in Toscana di 3,5. C’è stato un dimezzamento della distanza tra noi e il centrodestra rispetto al 2009: erano 6 punti nel 2009 e ora sono 3, e parlo del centrosinistra classico, senza l’Udc. L’insieme dei dati regionali dà ragione del fatto di fondo: se guardiamo i dati di coalizione dalle europee ad oggi abbiamo sostanzialmente un dimezzamento delle distanze dal centrodestra. È questo – aggiunge – che mi fa dire che c’è un segno di inversione di tendenza”.

Anche l’astensionismo non è letto come semplice protesta: “C’è un pezzo largo di società che non si sente rappresentato dalla politica ed esprime una domanda implicita e urgente di cambiamento verso una politica più semplice, concreta e onesta”.

Quanto al Pd, Bersani spiega: “Avanziamo di circa un punto rispetto a tutti gli altri partiti alle europee, c’è solo la Lega Nord che avanza dello 0,9 per cento e tra le due coalizioni il divario si è ridotto di 3 punti”.
Bersani non nasconde che per il centrosinistra il quadro è comunque “complicato, ma nelle comunali battiamo al primo turno ministri o viceministri, anche al primo turno. A L’Aquila perdiamo la provincia ma vinciamo nettamente nel Comune colpito dal terremoto e negli altri comuni del cratere. Certamente c’è una difficoltà generale, anche nostra – ammette – che però non può oscurare questo elemento di tenuta rispetto alle europee”.

Non è mancata, da parte di Bersani, un’analisi sul boom del Carroccio: “Il voto alla Lega è un voto contro Berlusconi. Al Nord, gli elettori del centrodestra hanno un bello sfogatoio, credono di votare contro Berlusconi e votano Bossi. Probabilmente lo fanno perché pensano che a un certo punto la Lega si smarcherà. Ma mi sembra chiaro che quello è un voto contro il presidente del Consiglio”.

Leggendo i dati degli ultimi 5 anni è difficile dar torto a Bersani che vede il Pd di oggi più in salute delle europee.
Bisogna considerare la frammentazione delle liste connaturata alle regionali, il travaso di voti dai partiti verso le liste dei candidati governatori, le spinte localistiche, l’appeal dei candidati e il calo dei votanti. Neanche un confronto omogeneo in termini matematici regge con il voto del 2005, distantissimo politicamente, dato che il Pd neanche esisteva, e la partecipazione al voto fu del 72%, contro il 64% dell’ultima tornata.
Quale sarà adesso il comportamento dell’opposizione nei confronti del governo? “Chi governa ha la responsabilità di dire che strada vuole prendere – risponde ancora Bersani. – Ogni tavolo che affronta problemi vicini ai cittadini ci vedrà seduti per affrontare . Altrimenti faremo una ferma opposizione. Se si vuole intraprendere un cammino di svolta per indicare soluzioni vere agli italiani noi ci siamo. Se invece si vuole parlare di problemi lontani dai cittadini, noi denunceremo questo tipo di impostazione». Il segretario Pd però annuncia battaglia qualora la maggioranza forzi la mano su una riforma presidenzialista. «Se ci sarà una forzatura, sappiamo che il meccanismo prevede anche una consultazione popolare». Si vada in Parlamento, non temiamo la discussione sui temi istituzionali». E l’idea di consultare i gazebo lanciata da Berlusconi? «Non so cosa ne sappiano…».

“Nel Lazio nessuno ci avrebbe portato più avanti di Emma Bonino. Non credo affatto che ci abbia portato a incomprensioni con i cattolici. Non ho nulla da rimproverarmi, i numeri del voto dimostrano anche che c’è stata una sua affermazione personale oltre i partiti. Nel Lazio siamo partiti 5 punti e siamo arrivati al pelo, a Roma il centrosinistra ha un vantaggio significativo e questo ci consente di guardare in modo positivo alle prossime comunal”. . Nessun rimpianto neppure sulla scelta di De Luca in Campania: “Ha avuto un successo rilevante, c’era un distacco molto ampio. De Luca non è stata una scelta del passato, non credo che avremmo fatto meglio con altri candidati”.

Il boom di Grillo? «Lì dentro c’è un’ esigenza di civismo, anche se abbiamo idee molto diverse su rifiuti e infrastrutture. Ci sono fasce giovanili moderne che chiedono civismo, un’esigenza con cui dobbiamo confrontarci, l’idea di una politica più semplice, concreta e pulita. Detto questo i dati del Piemonte parlano chiaro, e me ne dispiace molto”.

“La vittoria dopo le primarie in Puglia? Io ho sempre pensato che Vendola sia una delle personalità con cui si può configurare l’offerta del centrosinistra al Paese. Io penso che il Pd -aggiunge il segretario- debba caricarsi anche di tenere aperto il cantiere ovvero essere disponibile a discutere anche con le forze che sono ora fuori dal Parlamento, a partire da Sinistra ecologia e libertà per verificare la possibilità di una convergenza strutturale”. A chi gli ha chiesto se si riferisse all’ingresso di Sel nel Pd ha detto: “No non chiedo a Vendola di entrare ma se è disponibile di lavorare insieme per un cantiere comune».

“Fronti, fronti…. si farà una discussione”, risponde Bersani a chi gli chiede se non teme, dopo il voto delle regionali, l’apertura di fronti interni. “Io ho detto cosa intendo fare- aggiunge- e cioè che si va avanti a costruire un partito che abbia un radicamento popolare. La strada è quella lì. poi le discussioni, per l’amor di Dio, le facciamo, ma noi abbiamo un dovere verso l’Italia. Ora ci occupiamo di questo. Noi abbiamo il dovere di lavorare per il PD fondato sul lavoro, il PD della Costituzione e della nuova unità della nazione”.

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