politica italiana

«Brunetta e quei 9 mila voti spariti nell'agguato (elettorale) in laguna», di Gian Antonio Stella

La misteriosa differenza del risultato leghista tra le consultazioni Regionali e Comunali

In attesa del toro, hanno arrostito il torello. C’è chi dirà che no, non è vero che i leghisti abituati a festeggiare ogni promozione di Luca Zaia con uno spiedo di tori hanno infilzato apposta Renato Brunetta nella sua corsa a sindaco di Venezia. Dirà che è stato solo un dannato equivoco. Ma i numeri sono numeri. E dicono che con quei 9 mila voti bossiani misteriosamente svaniti alle Comunali rispetto alle Regionali, il ministro non sarebbe stato buttato fuori al primo turno dalla «sua» città. Lui, il rosolato, fa mostra di averla presa con filosofia. E anche se passa per avere un caratterino fumante («Sono passionale e determinato ma buono come un pezzo di pane», ha spiegato giorni fa a Manuela Pivato, della Nuova Venezia, «Magari sono un po’ incazzoso però sono un pezzo di pane») ieri pomeriggio si è astenuto dal dardeggiare fulmini e saette contro i traditori. E si è messo alla scrivania per spiegare con un piccolo dossier a Berlusconi come mai lui, uno dei ministri di punta, abbia mancato l’obiettivo che pareva a portata di mano: fare filotto. Strappando alla sinistra il capoluogo di una provincia di destra, di un Veneto di destra, di una Padania di destra che proprio a Venezia, dalla famosa discesa del Po del 1996, celebra ogni settembre la sua padanità leghista.

Che il Cavaliere ci contasse, lo aveva ripetuto anche nell’ultima telefonata in diretta fatta un attimo prima che si chiudesse la campagna elettorale: «Caro Renato, ti avevo promesso che sarei venuto lì, ma sono stato bloccato dai troppi impegni. E pensare che stavo per comprare casa a Venezia ma non volevo mettermi nelle mani di un sindaco rosso e non l’ho più comprata». Risate in sala. «Però adesso che tu vincerai potrò venire in una terra non più ostile». Conclusione: «Invito tutti a commettere un peccatuccio: andate a riscoprire le vecchie fidanzate e convincetele ad andare a votare. Vi auguro di realizzare tutti i vostri sogni. Viva Venezia, viva l’Italia, viva la libertà». Prima ancora del capo supremo, come ricordò quella sera lo stesso Brunetta con una spolveratina al suo orgoglio, erano venuti a dare il loro appoggio la bellezza di nove ministri: da Giulio Tremonti ad Angiolino Alfano, da Ignazio La Russa ad Altero Matteoli, da Sandro Bondi a Roberto Maroni, da Andrea Ronchi a Maurizio Sacconi fino allo stesso Umberto Bossi. Che nella veste di indiscusso monarca del Carroccio lo aveva incitato, sul palco di Mestre: «Caro amico, ti sto aspettando, mancate solo voi». Al che il protagonista della battaglia contro i fannulloni aveva risposto solenne: «La Lega è l’alleato più fedele e altrettanta lealtà avrà da me. L’apprezzamento della Lega nei miei confronti è quasi più alto di quello del Pdl». Bum!

Si mangerebbe la lingua oggi, Renato il rosolato, per aver detto quelle parole. Fatti i conti, allo spoglio finale, al ministro della Funzione pubblica sono mancati circa 9 mila voti che i leghisti di Venezia, Mestre e Marghera, andando a votare domenica e lunedì, hanno dato a Luca Zaia e non a lui. Quanto basta perché l’amica Giustina Destro, già sindaco di Padova e oggi parlamentare berlusconiana, sbotti gridando al tradimento: «Mi piacerebbe sentire come se lo spiegano il caso del Comune di Venezia gli amici della Lega così straboccanti di felicità per le “loro” vittorie, che tutte loro non sono, ma altrettanto pronti a scomparire quando si tratta di eleggere un sindaco non loro. Caro Berlusconi, ma sei proprio sicuro che la Lega sia un alleato affidabile?». «Complimenti e un abbraccio affettuoso all’amico Brunetta, colpito da fuoco amico», è l’epitaffio di Fabio Gava, deputato pdl e già assessore regionale. Un caso? Un disguido? Uno sventurato infortunio? Per niente.

La prova è a una settantina di chilometri da Venezia, a Portogruaro. Dove il berlusconiano Angelo Tabaro, segretario regionale alla Cultura, si sentiva ieri mattina già sindaco della cittadina. Come avere dei dubbi? Gli stessi identici elettori votando negli stessi identici giorni negli stessi identici seggi avevano dato a Zaia (non in una provincia come Treviso dove la Lega ha oggi il 49% contro il 15 del Pdl ma in quella di Venezia, la più avara di voti al «Governador») la bellezza del 56%. Al quale andavano aggiunti sulla carta i voti dell’Udc e di un altro paio di liste. Mettetevi al posto suo: si sentiva in una botte di ferro. Sapete com’è finita? I leghisti che alle Regionali erano il 24% sono evaporati alle Comunali riducendosi a un misero 8%. Col risultato che, sorpresa sorpresa, ha vinto al primo turno il candidato del centrosinistra Antonio Bertoncello. Va da sé che, dopo aver telefonato la mattina all’amico Luca felicitandosi per il successo alle Regionali, Brunetta non è che si aspettasse che il nuovo presidente facesse una telefonata a lui nel pomeriggio. Sarebbe stata imbarazzante, dopo l’apertura dei seggi delle Comunali con quel risultato clamoroso che dava la vittoria al primo turno all’avversario Giorgio Orsoni. Però, se non altro per cortesia tra ministri dello stesso governo… Certo è che fino alle sette di sera la telefonata non era ancora arrivata. «Io il mio l’ho fatto, ho la coscienza tranquilla», ripete a tutti il responsabile della Funzione pubblica, «il Pdl e la mia lista hanno preso alle Comunali intorno al 30%. Sei punti in più che alle Regionali. Quelli che mi sono mancati sono i voti della Lega. È una cosa sulla quale bisognerà riflettere. Mettiamola così: l’elettorato della Lega è egoista, se ha un candidato suo lo vota, sennò si distrae… Certo è che se avessi avuto i voti leghisti che ha avuto Zaia avrei vinto al primo turno». Ci riproverà una terza volta, dopo aver già subito due delusioni nei tentativi di diventare sindaco della sua città? Neanche a parlarne. Troppo cocente, questa batosta. Arrivata in controtendenza in questi giorni di festa della destra. Resta il tema che già si era profilato ieri dopo i trionfi leghisti in Piemonte e soprattutto in Veneto: davvero un animale politico come Umberto Bossi, avendo alle spalle una storia personale, politica e partitica che dice il contrario, se ne starà buono buono senza passare all’incasso per sfruttare il momento magico? E la metafora del toro davvero lascia dormire tranquillo Silvio Berlusconi? Per ora, con l’aspirante sindaco di Venezia e l’aspirante sindaco di Portogruaro, i leghisti hanno già passato sui carboni ardenti, come dicevamo, un torello e un capretto sacrificale. Ma lo spiedo che prediligono, sia chiaro, è un altro. E una volta accese le braci…