partito democratico

"Ma questo voto contiene le istruzioni per vincere", di Vittorio Emiliani

Confesso che tutti questi inviti a Bersani a dichiararsi sconfitto mi ricordano tanto antiche flagellazioni. Che lo chieda Di Pietro, è un’evidente furberia da Bertoldo. Che lo chiedano esponenti del Pd, ricomparsi sulla scena dopo aver “assistito” alla sconfitta della Bonino nel Lazio, mi sembra infantile. Il guasto prodotto nel Paese dal berlusconismo iniettato direttamente in vena dalla sua tv (debordata in Rai) è di vastità e profondità tali che non lo si sconfigge a chiacchiere o a interviste, in poco tempo.
Ci vuole un lavoro di lunga lena che riparta dal basso.Anche dai successi, insperati, a Venezia e a Lecco.
L’avvocato Orsoni non se lo filava nessuno e invece ha rimandato a Roma il ministro Brunetta. E così è stato, nel cuore della Lega, per il vice- ministro forse più spocchioso, Castelli. Che comincia a capire che, forse, un ministro agli occhi della gente non può fare bene, oggi, anche il sindaco. Ci sono contraddizioni della Lega sulle quali il Pd deve agire: l’inesistente “diversità” del partito più “personale” che ci sia (i figli Berlusconi per ora…), di una forza che parla di federalismo e accetta il centralismo più ferreo, che ignora meritocrazia e cultura, propone doppi e tripli incarichi, sulla Ru 486 si inginocchia davanti al Vaticano. Si
dice: il Pd deve “tornare sul territorio”, come una volta facevano le sinistre (che però su divorzio e aborto, sui programmi sociali, parlavano chiaro).
Lo sa bene Bersani che viene da una lunga gavetta Comunità Montana (bianca)-Regione Governo. Lo sa bene Cacciari che esorta a puntare, non su di un giovanilismo di maniera, bensì sui sindaci più validi: da Chiamparino, che a Torino ha fatto cose importanti per la casa e per l’integrazione razziale, a Honsell che a Udine lavora seriamente, a Fiorenza Brioni, coraggioso sindaco di Mantova da sostenere, ora, al ballottaggio. In quelle esperienze,
nei fatti “alternative” al berlusconismo e al leghismo, ci sono linee per un programma nazionale né velleitario né stoltamente centralista. Altro che flagellarsi cambiando segretario ogni semestre. A Roma, diciamolo, non ci si è ancora ripresi dall’aver letteralmente regalato da insipienti il Campidoglio alla destra.
Non c’è stata una riflessione su questo fatto epocale. Però, nella città, il voto ha già ridato fiducia al Pd. Non deludetelo. Nel Lazio – da sempre “fascio” a Latina e dc altrove – ci voleva una presenza più intensa del candidato-presidente e del Pd. Con messaggi che valorizzassero il lavoro della giunta nella sanità, nell’agricoltura, nella cultura, ecc. Chi li ha sentiti?
L’Unità 04.04.10