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"La lezione di Katyn", di Lietta Tornabuoni

Fa impressione sentire alla tv della grande cerimonia, con partecipazione di autorità civili e militari della Polonia e anche del presidente russo Putin, svoltasi ieri in memoria dei morti di Katyn. Quello e altri luoghi vicini, tra i boschi, sono stati per oltre sessant’anni sede di una delle contese internazionali più atroci intorno a centinaia e centinaia di ufficiali e soldati polacchi ammazzati e poi sepolti sotto gli alberi in vaste fosse collettive. Avveniva nel 1940. In quel momento e più tardi, la colpa del massacro venne attribuita dai sovietici ai nazisti; i polacchi ne accusavano i sovietici, anzi Stalin in persona.

Pare che all’epoca gli ufficiali dell’esercito costituissero in Polonia una élite insostituibile: erano docenti universitari, architetti, matematici, avvocati, astronomi, almeno laureati o professionisti in genere.

Eliminarli voleva dire decapitare la Polonia, cancellare ogni possibile classe dirigente presente e futura, privare i polacchi di ogni guida. Anche per questo dopo il massacro le loro famiglie vennero disperse, espulse dalla società polacca, ridotte al silenzio: nel suo film «Katyn», Andrzej Wajda ha raccontato la morte fisica e civile a cui quelle vittime, tra le quali l’ufficiale suo padre, furono condannate. Naturalmente, la massa degli uccisi era troppo grande perché la verità restasse nascosta: i polacchi sapevano benissimo chi fosse responsabile del massacro; i sovietici seguitarono ufficialmente e ostinatamente, nonostante ogni prova e testimonianza, a incolparne i nazisti.

E adesso polacchi e russi celebrano insieme il ricordo di quel massacro. Sembra incredibile, nonostante il lungo tempo passato. Sembra incredibile, se si pensa all’atteggiamento tanto diverso dei turchi nel negare le proprie responsabilità internazionali, e la testardaggine con cui tanti europei osteggiano gli stranieri. Sembra incredibile, ma è vero e il progresso dei popoli è anche questo.
La Stampa 08.04.10