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"Fuoco amico contro Darwin", di Pietro Greco

Stavolta non sono i teorici del creazionismo o qualche esoterico a prendersela con il vecchio Charles: il filosofo Fodor e il neuroscienziato Piattelli Palmarini attaccano il motore stesso dell’evoluzione della specie. I due autori tengono a precisarlo già nell’introduzione: siamo atei senza tentennamenti e il nostro attacco a Darwin o meglio, al neodarwinismo non ha nulla a che fare con il disegno intelligente e il creazionismo. La nostra è una critica naturalistica. Non ha nulla né di religioso né di esoterico. La nostra è una partita giocata tutta all’interno del dibattito scientifico. Inoltre, quello che proprio non ci va giù è che la spiegazione darwiniana, la selezione naturale, venga eletta da alcuni – come il filosofo Daniel Dennett o il biologo Richard Dawkins, a principio universale e applicata anche in campi – come la sociologia o la psicologia – con cui poco o nulla ha a che fare.
Queste sono le due premesse con cui il filosofo Jerry Fodor e il neuroscienziato Massimo Piattelli Palmarini aprono il libro Gli errori di Darwin, che dopo essere apparso negli Stati Uniti con il titolo What Darwin Got Wrong (Quello che Darwin ha sbagliato) viene ora proposto in italiano dall’editore Feltrinelli.
Sono premesse chiare. E largamente condivisibili. La prima perché non c’è alcun neocreazionismo: gli argomenti che Fodor e Piattelli Palmarini adducono non sono né teleologici (non esiste un scopo in natura) né tantomeno teologici (lo scopo non è dato da un dio), ma tutti interni al dibattito scientifico. La seconda perché è condivisa da molti darwiniani convinti: Stephen Jay Gould, per esempio, definiva «ultradarwinisti» coloro che come Dennett o Dawkins – cercano di estendere la teoria dell’evoluzione delle specie per selezione naturale del più adatto ad ambiti diversi da quello dell’evoluzione biologica.
Ciò detto, il titolo del libro è inequivocabile e corrisponde al suo contenuto: un attacco a Darwin. Che, secondo Fodor e Piattelli Palmarini, ha commesso degli errori nel formulare la sua teoria dell’evoluzione biologica. Questi errori sono stati fatti propri e, anzi, ampliati dal «neodarwinismo», ovvero dalla riunificazione tra genetica ed evoluzionismo avvenuta intorno agli anni ’30 del secolo scorso. Non si tratta di errori marginali. Riguardano il motore stesso dell’evoluzione delle specie. Charles Darwin e i neodarwinisti individuano il motore principale ma, se badi bene, non l’unico – nella selezione naturale. Ovvero nel fatto che gli organismi più adatti a sopravvivere nell’ambiente hanno, statisticamente, un maggiore successo riproduttivo e trasmettono alla loro prole, con modificazioni, i loro caratteri genetici.
Questo processo individua essenzialmente due stadi: uno quasi tutto interno agli organismi, che consiste nel modo in cui si «genera la diversità» (ogni individuo è diverso da un altro) all’interno di un processo di sostanziale continuità (la trasmissione ereditaria, di padre in figlio, dei caratteri genetici). Per Darwin e i neodarwinisti il generatore di diversità (individuato essenzialmente nelle mutazioni genetiche) è certo influenzato da vincoli ambientali e strutturali, ma nella sua sostanza è casuale.
Il secondo stadio quello della vera e propria selezione naturale del più adatto vede invece il protagonismo assoluto dell’ambiente, che premia in media le capacità riproduttive degli organismi portatori dei caratteri adattativi migliori e punisce i portatori di caratteri adattativi peggiori. Sebbene avvenga su basi statistiche e non deterministiche, si tratta di una selezione necessaria. Non a caso Jacques Monod aveva sintetizzato la spiegazione darwiniana nel combinato disposto di «caso e necessità».
Bene, Fodor e Piattelli Palmarini, confutano le basi di questo processo. Sia perché sostengono che il generatore di diversità degli organismi viventi non è sostanzialmente casuale, ma, al contrario, è sostanzialmente determinato. Da che cosa? Dalle leggi fisiche e chimiche dell’auto-organizzazione della materia, che operano a ogni livello: dal-
la formazione delle galassie alla formazione, appunto, delle cellule e degli organismi. Questa capacità della materia è così forte da annullare o meglio da rendere del tutto marginale anche il secondo stadio del processo darwiniano: la selezione naturale. Ad affermarsi sono gli organismi e le specie dotate di maggiore stabilità intrinseca: l’ambiente non seleziona nulla, o seleziona poco.
La critica al darwinismo e alla moderna teoria sintetica non è nuova. È da almeno un secolo da sir D’Arcy Thompson in poi che molti hanno studiato i fattori morfogenetici e, più in generale, strutturali che condizionano pesantemente che determinano la forma e, dunque, anche le funzioni degli organismi e delle loro singole parti. Negli ultimi anni si è visto come questi vicoli strutturali siano davvero operativi e a ogni livello, da quello macroscopico e quello genetico. È nata persino una nuova disciplina, l’Evo-Devo (evolutionary development, sviluppo evolutivo), che studia come i fattori strutturali concorrano all’evoluzione biologica.
IL RUOLO DELL’AMBIENTE
Concorrano, appunto. Ma non sostituiscono. Perché questo è il punto focale intorno a cui si snoda il ragionamento di Fodor e Piattelli Palmarini: le leggi dell’auto-organizzazione della materia sono così forti e potenti da annullare di fatto il ruolo dell’ambiente e la selezione naturale del più adatto come motore dell’evoluzione? Fodor e Piattelli Palmarini sostengono di sì. Ancora una volta, non sono i primi. In anni recenti hanno cerato di farlo diversi studiosi – da Brian Goodwin a Stuart Kauffman, per citare i più famosi anche al grande pubblico. E tuttavia non ci sono riusciti. Sia Goodwin sia Kauffman hanno tentato di trovare una teoria scientifica alternativa a quella darwiniana. Ma quella teoria, come riconoscono anche Fodor e Piattelli Palmarini, Non c’è. Se gli errori di Darwin esistono, quelli degli altri sono superiori.
Ma esistono questi errori? No. O, in ogni caso, non sono decisivi. Nessuno dubita che il processo che «genera diversità» sia complesso e determinato da molti fattori, inclusi quelli strutturali. Nessuno dubita che dietro il caso si celi non l’alea, ma una serie di meccanismi fisici, chimici e biologici che semplicemente ignoriamo. Nessuno dubita che la selezione non sia solo adattativa. Darwin stesso sosteneva che la selezione naturale è il principale, ma non l’unico meccanismo di selezione. E tuttavia è davvero difficile sostenere che l’ambiente non abbia alcun ruolo nell’evoluzione biologica. Semmai sono da ricostruire le svariate forme con cui l’ambiente opera la selezione.
In altri termini, nessuno dei nuovi processi finora scoperti è in grado di minare il neodarwinismo. Tutti possono essere facilmente integrati nella teoria naturalistica che Charles Darwin ha proposto per spiegare i fatti noti dell’evoluzione biologica.
L’Unità 10.04.10

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