politica italiana

"Tutto in una legge il piano del Cavaliere", di Claudio Tito

La Lega cerca l´accordo con la sinistra perché non vuole il referendum. Ma è un errore. Sto facendo una gran fatica per convincere Umberto, ma ci riuscirò». Il referendum dobbiamo farlo e dovrà esserci un solo quesito. Perché la “Grande Riforma” va fatta salire su un vagone unico, un solo disegno di legge». Presidenzialismo, federalismo, giustizia. Sono questi i tre corni del progetto (non la legge elettorale) che Silvio Berlusconi si è piazzato da qualche giorno in bella vista sulla scrivania di Palazzo Chigi. Un disegno che tecnicamente sta ancora prendendo forma, ma che negli obiettivi del Cavaliere ha già assunto una precisa fisionomia. E una scadenza: il 2013. Quando si chiuderà la legislatura e anche il mandato presidenziale di Giorgio Napolitano. Due appuntamenti che nella sua “road map” segreta vanno via via sempre più sovrapponendosi.

Dopo la conferenza stampa di ieri a Parigi e nei colloqui avuti l´altro ieri sera ad Arcore, il premier ha tracciato con i fedelissimi il percorso che intende seguire nei prossimi tre anni. Una strategia puntellata di precauzioni e preoccupazioni. È infatti convinto che con il Senatur «dovrò spezzarmi in due» per persuaderlo. Ed è poi cosciente che con Gianfranco Fini sarà tutto più complicato. A Via del Pebiscito, guardano infatti con diffidenza alle mosse del presidente della Camera: il feeling con Pier Ferdinando Casini, il dialogo con l´opposizione, la sponda con Giorgio Napolitano. Eppure, ragiona il presidente del consiglio, «non si è accorto che il capo dello Stato si sta comportando bene. Anche oggi è stato corretto». L´inquilino di Montecitorio, invece, «sta sbagliando, il referendum spazzerà via tutte le ambiguità».

Nella traiettoria che il premier ha tracciato, del resto, ci sono già dei punti fermi: non intende, ad esempio, segnare le riforme con la sola bandiera del federalismo. «Non ripeteremo l´errore del 2006. Il referendum solo sulle tesi leghiste era destinato alla sconfitta. Ma se puntiamo sul presidenzialismo e su un pacchetto unico e complessivo, gli italiani capiranno». Il referendum confermativo non prevede quorum e per questo la sfida del Cavaliere consiste nel persuadere elettori sul merito della «svolta». «L´Italia – ragionava ieri tornando in Italia da Parigi – è ormai pronta per il presidenzialismo. La gente vuole scegliere direttamente e io continuo a fare politica solo perché credo di poter lasciare il segno». Per di più, con un solo disegno di legge la campagna elettorale non potrà concentrarsi solo sul capitolo giustizia. Che Palazzo Chigi considera il più delicato. Sta di fatto che l´orizzonte del riforme, per Berlusconi, sta diventando sempre più lo strumento per accreditarsi con una veste nuova a fine legislatura. Un nuovo profilo per presentarsi di nuovo alle urne per candidarsi alla guida – da Palazzo Chigi o dal Quirinale – della «Terza Repubblica».

«Lasciare il segno», un refrain che ormai il Cavaliere ripete a tutti. Un risultato da conseguire nei prossimi tre anni per non rischiare «un ritorno alla Prima Repubblica». Un traguardo, però, che impone il superamento dei dubbi “lumbard” e «l´abbattimento» delle resistenze del presidente della Camera. Basti pensare a quel che dice della legge elettorale. Il modello semipresidenzialista francese va costruito senza il doppio turno perché l´attuale sistema «ha funzionato bene, ha tutelato il bipolarismo e la stabilità, ha portato in Parlamento solo cinque gruppi. Non accetterò mai che venga cambiato. Lo sappia anche Gianfranco». Il suo timore “ufficiale” è che si ritorni ad un meccanismo che favorisca «i boss locali e il malaffare». Quello “ufficioso” è fondato sulle paure che il doppio turno coalizzi tutti gli «anti-Berlusconi» mentre la Lega può correre da sola al primo turno.

Persino le richieste pervenute da Bersani rafforzano l´opzione referendaria. «Io vorrei l´accordo con la sinistra, lo vorrei tanto, ma temo che saremo costretti a fare da soli. Lavorare solo sul Senato federale e sulla riduzione dei parlamentari, come chiede il segretario Pd, equivale a non fare niente. Vedo che pure Violante sostiene questa tesi. Ma a che serve? La verità è che non hanno un leader, non hanno uno in grado di “tenere”, di difendere le mediazioni come fece Togliatti nel ´48. Non sapranno resistere a Di Pietro e a quel Grillo. Dovranno dirci di no e noi procederemo con il referendum».

Il percorso triennale studiato da Berlusconi terminerà dunque con la legislatura. E negli ultimi giorni, il presidente del consiglio ha ricominciato a parlare del suo «futuro» in politica con uno sguardo di lungo periodo. «Io – si è sfogato con i suoi – vorrei tanto poter fare un passo indietro. Comportarmi come con le mie aziende: ho trovato una persona di cui fidarmi come Fedele che le gestisce benissimo. Ma un Confalonieri in politica non l´ho trovato». Eppoi ha azzardato un paragone che ha lasciato tutti di stucco e ha insinuato il sospetto anche tra lo staff: «Mi dicono che nel 2013 sarei troppo vecchio, eppure io vedo quanto è attivo Napolitano. E allora perché non posso andare avanti io che sono pure più giovane?».
La Repubblica 10.04.10