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Le nostre riforme

È arrivato il tempo delle riforme. Un ritornello che periodicamente torna sulla bocca di Berlusconi: a volte per distrarre l’attenzione dai problemi seri che colpiscono l’Italia, a volte per risolvere i numerosi conflitti personali e garantire maggiore solidità al suo governo. Mai, però, per il bene del Paese. Allora rifomiamo l’Italia! Sì ma come?

Tra litigi di potere e rese dei conti post-elezioni, il governo ha deciso che la prima riforma sarà quella del presidenzialismo. A fare da motore della riforma subito la Lega ha avanzato pretese senza sapere bene, oltre al federalismo di facciata, verso quale strada indirizzare i cambiamenti.

Ma la mossa a sorpresa è stata quella di cercare anche la disponibilità del Pd: un vero paradosso visto che la posizione dei democratici su quali riforme possano essere essenziali sono note fin dall’Assemblea del 2009 con cui Pier Luigi Bersani è stato eletto segretario e le ha ribadite lunedì sera ad Otto e mezzo, su La7.
Per il leader del Pd, “non è Berlusconi a dover misurare la nostra disponibilità. Siamo noi che abbiamo verificato, dopo cinquanta decreti e trentuno fiducie, la sua indisponibilità a discutere, perché per fare le riforme deve funzionare il Parlamento”.

“La nostra agenda – ha proseguito Bersani – è chiara: occupazione, piccole e medie imprese, redditi bassi. Su questo siamo pronti a discutere. Anzi, sarebbe ora, a partire dalle norme sul lavoro, rinviate alle Camere dal Presidente della Repubblica. Sulle riforme istituzionali il presidente del Consiglio sa benissimo qual è la nostra posizione: superamento del bicameralismo, diminuzione dei parlamentari, nuova legge elettorale, legge sui partiti, rafforzamento reciproco dei poteri di Parlamento e governo. Su tutte queste materie la maggioranza non ce la meni con il dialogo o non dialogo”.

Parallelamente all’obiettivo di risolvere la crisi economica, il Pd propone di partire da quattro punti, prioritari:
1) speramento del bicameralismo perfetto, Senato federale, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento delle funzioni reciproche di Governo e Parlamento;
2) attuazione dell’art. 49 della Costituzione con una coerente e moderna legislazione sui partiti;
3) nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i Parlamentari, attraverso un confronto con le forze politiche cominciare da quelle dell’opposizione senza escludere una legge di iniziativa popolare;
4) nuove norme sui costi della politica fissando parametri che ci mettano stabilmente e chiaramente nella media comparata dei principali Paesi europei.

Prima di qualunque forma di presidenzialismo è necessario guardare al benessere della collettività e non del solo Presidente del Consiglio/Repubblica. È totalmente fuori dalla realtà affermare che i poteri concessi al Capo dell’Esecutivo siano talmente risicati da non consentirgli un buon operato. Poi i numeri parlano molto chiaro: con la grande maggioranza che il governo ha sia al Senato, sia alla Camera è impensabile concepire il Parlamento come semplice luogo di ratifica delle decisioni e delle fiducie del governo.

Per Rosy Bindi, presidente dell’Assemblea del Pd, “non ci siamo mai sottratti al confronto sulle riforme istituzionali e da tempo abbiamo presentato le nostre proposte. Ma quali sono quelle del centrodestra? Prima devono chiarirsi le idee tra di loro e mettersi d’accordo, se ci riescono. Siamo pronti a discutere del Senato federale, della riduzione del numero dei parlamentari e di una legge elettorale che restituisca ai cittadini il diritto di scelta. Berlusconi però sembra più interessato a intervenire sulle intercettazioni che sui veri problemi del Paese. Le riforme istituzionali sono importanti ma non possono essere usate come alibi per non affrontare la crisi economica e per non fare le riforme sociali di cui c’è bisogno per tornare a crescere”.

“Più che a una proposta di riforma dello Stato, a giudicare dai primi passi sembra di assistere a una partita tutta interna alla maggioranza di centrodestra, con lo sguardo molto corto, rivolto principalmente al 2013: il nostro auspicio è che non perdano ulteriore tempo e si orientino rapidamente tra le innumerevoli ipotesi di riforma delle istituzioni e della legge elettorale sui quali discutono questi giorni sulla stampa”. Così Marco Meloni, responsabile Pd della riforma dello Stato.

“Il PD – ha continuato Meloni – ha una sua proposta, la bozza Violante, che è stata approvata anche dalla maggioranza in Parlamento. Facciano la loro, se hanno cambiato idea spieghino perché, e confrontiamoci in Parlamento. Il nostro punto di partenza: istituzioni snelle, sobrie ed efficienti; ridare centralità al Parlamento; riconsegnare agli elettori il diritto di scegliere i parlamentari, con una nuova legge elettorale che cancelli la Calderoli. Quel che sarebbe comunque imperdonabile è che, nel frattempo, si tengano ancora nel cassetto le riforme necessarie per far ripartire il Paese: fisco, mercato del lavoro e welfare, sistema dell’istruzione. Su questi punti continueremo a essere propositivi ma pungoleremo quotidianamente il Governo, perché altri tre anni di continui annunci e di sostanziale inazione sono un prezzo che l’Italia non può permettersi di pagare”.

!Nel caso il governo avesse ancora dubbi sulle priorità delle riforme per questo Paese ci pensano i dati dell’Istat a ridestarlo con la certificazione della Caporetto dei redditi delle famiglie: mai così bassi da vent’anni. Le risorse disponibili delle famiglie italiane sono diminuite dal 2008 del 2,8%”. Così Giuseppe Fioroni Responsabile Pd Area Welfare.

“L’agenda delle riforme sta tutta in queste cifre drammatiche: se non si parte da qui si rischia una crisi sociale dai risvolti imprevedibili. In queste condizioni il presidenzialismo e il sistema elettorale rischiano di essere delle brioches promesse a chi non ha più neanche il pane”.

A puntare il dito sulle divisioni interne alla maggioranza è stato Davide Zoggia, responsabile Enti Locali del Pd. “Dopo l’Opa sulle riforme lanciata dal ministro Maroni per conto della Lega, anche nel Pdl c’è chi comincia a rendersi conto di quanto sarà salato il conto che il carroccio presenterà al governo dopo l’esito del voto regionale, che ha visto un pesante arretramento del partito del presidente”. “Questa lotta intestina – ha continuato – ha come principale effetto quello di paralizzare l’attività amministrativa e di governo, con esiti che possono rivelarsi disastrosi innanzitutto in quelle regioni produttive che di questo scontro stanno diventando il ring e che invece ora più che mai avrebbero bisogno di una accelerazione sul cammino della ripresa e dello sviluppo”. “Il Pd continuerà a portare avanti le sue proposte per le riforme – ha concluso Zoggia –, consapevoli che il Paese ha bisogno di una spinta verso la modernità. Quello che manca, allo stato, è la necessaria chiarezza all’interno dello schieramento alla guida del Paese”.

A.Dra

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