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"Prodi al Pd: potere a leader regionali. Bersani: il partito sarà federale", di Maria Zegarelli

Entra nel dibattito, attraverso le colonne de «Il Messaggero», da padre nobile del Pd che quando vede il progetto vacillare pericolosamente non può fare a meno di suggerire interventi di consolidamento, anche se stavolta è alle stesse fondamenta del Partito democratico che guarda. Romano Prodi parte da un’antica riflessione, nata in seguito alla crisi dei partiti della prima Repubblica e pensata per la vecchia Dc prima del suo sgretolamento: ricostruire il partito su «su base strettamente regionale ma con un forte patto federativo nazionale».

Oggi la ricetta, in fondo è la stessa: «Gli iscritti al Pd di ogni regione italiana dovrebbero cioè eleggere, naturalmente tramite le primarie, il proprio segretario regionale. L’esecutivo nazionale dovrebbe essere semplicemente formato dai venti segretari regionali, avendo il coraggio di cancellare gli organi nazionali che si sono dimostrati inefficaci». Un partito federale, con «venti uomini forti» che dovrebbero eleggere il segretario nazionale., «decidere sulle grandi strategie politiche del partito e, naturalmente insieme agli organi regionali, le candidature per le rappresentanze parlamentari».

Prodi descrive il modello- partito come una stretta connessione tra la base e il vertice fondata su una forza che arriva dal basso, gli elettori (più degli iscritti) vero ago della bilancia nei rapporti di forza interna. Tanto più consistenti il numero dei votanti Pd di una regione, tanto più forte nel partito quel segretario regionale. Venti uomini forti, «senza le infinite code di benemeriti e aventi diritti, compresi gli ex segretari del partito e gli ex presidenti del Consiglio». Una riflessione, la sua, che non si ferma al Pd ma si estende all’intero sistema dei partiti, anche se il Pd «per completare la fusione delle radici storiche che lo compongono , ha bisogno più degli altri di rinnovare i modelli di reclutamento della sua classe dirigente». Da qui l’esigenza «di un cambiamento radicale della vita del partito» verso una maggiore trasparenza ed efficienza. «Naturalmente questo può funzionare solo se si impongono durissime regole di pulizia e trasparenza nelle procedure di tesseramento».

Molti big del partito tacciono, alcuni come Merlo ci leggono un impallinamento del segretario. Beppe Fioroni apprezza i contributi, ma, dice, «ritengo che le formule organizzative e gli schemi gestionali non siamo mai una scorciatoia utile per risolvere i problemi». Il segretario Pierluigi Bersani, oggi risponde al Professore sullo stesso giornale, con un lungo intervento. «Organizziamo i partiti alla luce dello Stato che vogliamo», spiega, perché «oggi la scelta federalista per lo Stato può essere un progetto per una nuova unità o altrimenti per il suo affossamento». Bersani non vede affatto nell’intervento di Prodi un attacco alla segreteria, i suoi collaboratori spiegano che «il confronto sulla forma-partito è costante tra i due e lo sguardo va nella stessa direzione».

L’unica differenza è che i tempi di un partito non sono quelli puri della ragione. Maurizio Migliavacca, presidente della Commissione Statuto, a dicembre ha concluso la sua relazione che a giorni sarà sottoposta a tutti i componenti con le prime proposte di modifica. Definisce il contributo di Prodi «utile a disegnare una strada di riforme in senso federalista dello Stato e costruire un partito più radicato e capace di valorizzare dal basso le migliori esperienze». Quanto al ruolo chiave dei segretari, secondo Migliavacca, «è un disegno di lungo termine». Per il breve termine, il coordinatore della segreteria, nella sua relazione punta su un assetto del partito completamente federale; sulla selezione dei dirigenti dal basso verso l’alto e non soltanto viceversa come accade oggi; ad una maggiore trasparenza che passa attraverso un rafforzamento del Codice etico e un controllo dei bilanci economici dei candidati.

L’Unità 12.04.10