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La faccia nera della Lega: altro che modello Carroccio

Il partito radicato, quello della gente, quello che combatte (e non è sempre una metafora) al fianco dei lavoratori. Sono solo alcuni degli appellativi a cui la Lega Nord si è abituata da quando, da piccolo partito secessionista e xenofobo, è salito al rango di grande partito di governo (sempre secessionista e xenofobo, anche se adesso questo aspetto sembra marginale). Ormai nelle orecchie dell’italiano mediamente informato risuonano solo due parole: Modello Lega. Che in buona sostanza vuol dire: fare come la Lega. Il punto è proprio questo: cosa fa la Lega?

1. Umilia i bambini. È già successo in due comuni. Ad Andro (Lombardia) e Montecchio (Veneto) le amministrazioni del Carroccio hanno dato una vera e propria prova di forza, punendo duramente… bambini della scuola elementare. I loro genitori non erano in regola con il pagamento della mensa scolastica, motivo per cui i due comuni hanno disposto la pubblica gogna dei piccoli, costretti a mangiare pane e acqua mentre ai loro compagni “regolari” venivano serviti primo, secondo e frutta. Niente male per un partito che si autoproclama paladino dei più deboli!

2. Nega la sepoltura ad una neonata. “E’ irrispettoso dei sentimenti della maggior parte della comunità”. Con queste parole, crudeli quanto insensate , gli esponenti della Lega di Paderno condannano il desiderio di due genitori mussulmani di dare sepoltura alla loro bambina morta poco dopo la nascita. Il loro crimine? Aver desiderato seppellire la bambina in un piccolo cimitero islamico costruito in zona, la cui particolarità è quella di ospitare circa 200 tombe scavate in obliquo in direzione de La Mecca. Contro un richiesta pacifica e addolorata la Lega ha mostrato ancora una volta i denti, organizzando raccolte di firme, fiaccolate e annunciando per sabato prossimo una manifestazione in piazza. Tutto per impedire che una neonata riceva una degna sepoltura, tutto per punire, come se la morte di un figlio non fosse abbastanza, due genitori, tutto per dimostrare che il dolore è degno di compassione e rispetto solo quando chi ne è afflitto è italiano!

3. Prende in giro gli elettori. Dopo mesi passati a riempirsi la bocca con parole come “la nostra gente”, anche le più alte sfere del Carroccio hanno ceduto all’andazzo di uno schieramento poco avvezzo alle regole. A quasi due settimane dalle elezioni,il neo governatore del Piemonte Roberto Cota non ha ancora presentato le sue dimissioni da deputato, né tantomeno da capogruppo alla Camera.
Ma il recordman rimane Daniele Molgora. Deputato dal ’94, il parlamentare del Carroccio si divide tra lo scranno di Montecitorio, la scrivania di sottosegretario all’Economia e alle Finanze e la poltrona di presidente della Provincia di Brescia.
Tre incarichi pure per Arianna Lazzarini: appena eletta in consiglio regionale in Veneto,dal 2009 assessore provinciale a Padova e consigliere comunale a Pozzonovo (dove si è dimessa da assessore però, 4 incarichi sono troppi).
Poi si stanno facendo le ossa Maurizio Conte, di San Martino di Lupari. Rieletto in consiglio regionale ha uno scranno pure nel consiglio comunale di San Martino di Lupari e fa parte del consiglio di amministrazione del Consorzio Zip.
Solo il doppio incarico per Massimo Bitonci, deputato leghista e sindaco di Cittadella e Paola Goisis deputata e consigliera comunale ad Este, Luciano Cagnin senatore e membro del consiglio di Piombino Dese.

Davide Zoggia, responsabile Enti locali, afferma: “Il divieto di cumulare cariche in più assemblee legislative non è stato previsto per legge per un vezzo, ma perché è oggettivamente impossibile svolgere con la dovuta accuratezza il ruolo di consigliere regionale e di deputato. Come è possibile, ci chiediamo, che il paladino del federalismo Bossi giudichi invece verosimile che Roberto Cota possa fare insieme il presidente di Regione e il capogruppo alla Camera? Ma non sono loro quelli che, dalle elezioni regionali in poi, stanno sperticando a dare lezioni a destra e a manca su come si sta sul territorio? E’ questo che intende la Lega Nord quando parla dello stare vicino ai cittadini? Nel frattempo, fino a che non deciderà, bontà sua, di optare per l’uno o l’altro incarico, Cota cumulerà un doppio stipendio, alla faccia dei privilegi della casta e di Roma ladrona. Sono queste le gravi contraddizioni in cui incappa chi vuole recitare tutte le parti in commedia?”.

4. Strumentalizza il dolore delle donne. E proprio Cota, appena eletto non ha tralasciato di giocare la carta del populismo. Con un teatrale: “Per quanto mi riguarda possono marcire in magazzino” ha cominciato la sua personale e strumentale battaglia contro la RU486, la cosiddetta pillola abortiva.

5. Chiude alle riforme e smentisce gli alleati. Al grido di “adesso le riforme”, la Lega e il Pdl stanno infilando nel calderone ogni genere di modifica, dal semipresidenzialismo al senato federale. Non è chiaro però su cosa, le due anime del governo siano d’accordo. A sentire le parole del leader della Lega, nonché ministro delle Riforme, Umberto Bossi, i punti in comune sono ben pochi. Il senatur avverte che la legge elettorale non è un discussione (alla faccia del popolo e del suo diritto di scegliere i suoi rappresentanti!), mentre il presidente del Senato Schifani chiede di non dimenticare che per le riforme è necessaria la collaborazione di una larga maggioranza parlamentare. Ma Bossi da quell’orecchio non sente e va per la sua strada: “vogliamo il senato federale”. Anche qui però la seconda carica dello Stato frena: “Non sarebbe giusto fare una camera di serie A e una di serie B”. Il segretario PD Pier Luigi Bersani definisce “impotabile” la bozza di riforme messe a punto dal ministro della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, e afferma ironicamente: “E’ curioso che Bossi voglia mantenere una legge definita ‘porcata’ dal suo stesso estensore. Tutti i gusti sono gusti ma i nostri sono totalmente diversi”.

Rosy Bindi analizza così il vivace scambio di battute: “Più si parla di riforme costituzionali e più cresce la confusione nella maggioranza. Non mi pare che le idee di Bossi coincidano con quelle del presidente Schifani. Ognuno parla per sé e non si capisce cosa vogliano fare salvo conservare una pessima legge elettorale. E’ evidente che si usano i problemi del Paese per interessi di parte e contingenti e che si prepara lo scambio politico tra Lega e Pdl su federalismo e presidenzialismo. Il mantra delle riforme istituzionali serve a coprire l’incapacità di affrontare i nodi della crisi economica, le difficoltà delle imprese e delle famiglie, i ritardi nelle infrastrutture le debolezze del sistema sociale. Noi non ci faremo incantare e non permetteremo che un tema così cruciale come quello delle riforme necessarie a rafforzare la democrazia e a migliorare la vita dei cittadini sia usato per consolidare il patto di potere che tiene unita la destra”.

5. Confonde politica e interesse privato. Non contento, il patron Bossi in giornata ha deliziato opinione pubblica e stampa con un’alta delle sue proverbiali uscite: “E’ chiaro che le banche più grosse del Nord ha detto – avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice prendetevi le banche e noi lo faremo. Una dichiarazione di guerra che fa ridere, o che forse passa inosservata nel governo in cui tutto è concesso. “Possibile – si chiede Michele Ventura, vicepresidente vicario dei deputati del PD – che non susciti alcuna reazione indignata dai mondi della politica, dell’economia e dalla finanza la dichiarazione del leader della Lega, nonché ministro delle Riforme che, senza troppi giri di parole sostiene : “E’ chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello. La gente ci dice prendetevi le banche e noi lo faremo”? Dobbiamo annoverare queste parole tra le battute che si perdono nell’etere o dobbiamo seriamente preoccuparci? Chiediamo a Bossi di rassicurare i cittadini che le nomine a cui sono chiamati, nei prossimi mesi, gli Enti Locali del Nord per i posti di loro competenza nelle Fondazioni bancarie saranno sottoposte ai soli criteri di professionalità, onorabilità, indipendenza e assenza di conflitto d’interessi. E non alla tessera del suo partito”.

Sconvolto da queste parole anche Alberto Fluvi, capogruppo Pd in commissione Finanze della Camera: “Le dichiarazioni di Bossi sulla presenza di uomini della Lega nelle banche lasciano a dir poco esterrefatti. Per molto meno un po’ di tempo fa ci fu una indignazione generale. E infine è il caso di ricordare che la Lega una banca ce l’aveva. Ha fatto una fine ingloriosa ed i costi gli hanno pagati i contribuenti”.
Insomma…Modello Lega? No, grazie!

Ivana Giannone
www.partitodemocratico.it

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“L’avanzata del boiardo padano: da Enimont e Credieuronord al potere della grande finanza”,
di Rinaldo Gianola

A pensarci bene, adesso è più chiaro perchè gli azionisti di Mediobanca hanno deciso proprio alla vigilia delle elezioni regionali di scegliere Cesare Geronzi come prossimo presidente delle Assicurazioni Generali di Trieste. Magari anche sulla scelta del vertice della perla più limpida del potere finanziario italiano Umberto Bossi avrebbe voluto dire la sua, forte del successo elettorale. Probabilmente avrebbe mostrato qualche perplessità per la scelta di un uomo simbolo del potere romano, inaffondabile e capace di qualsiasi metamorfosi, o magari si sarebbe accontentato delle garanzie di Silvio Berlusconi. Non è un’ipotesi campata in aria visto che ieri il leader leghista si è dato come obiettivo quello di «prendere le grandi banche del Nord, perchè ce lo chiede il popolo».

E allora si può anche sospettare che, dopo un pressing asfissiante iniziato già prima delle elezioni da parte dei neo-governatori Cota e Zaia , l’Unicredit di Alessandro Profumo abbia acconsentito alla nomina di un country manager per l’Italia, il signor Gabriele Piccini, affinchè la banca possa stare più vicino al territorio, alle migliaia di piccole imprese del nord produttivo e, in larga parte, leghista. Il trionfo elettorale alimenta appetiti furiosi e chi, come Bossi, una volta sognava ingenuamente di raccogliere i risparmi padani nella fallimentare Credieuronord e prima ancora nel progetto di Finanzaria Padana o Lombarda che negli anni Novanta era stata ipotizzata da Giancarlo Pagliarini, oggi può invece puntare più in alto, alle fondazioni bancarie, straordinario centro di potere e di quattrini dell’Italia democristiana, quindi a influenzare banche come Intesa SanPaolo e Unicredit, alla rete delle Popolari e, infine, alle imprese di Stato.

Sarebbe un errore pensare che quella di Bossi è una battuta figlia dell’euforia elettorale, c’è qualche cosa di più e di più concreto e pericoloso. In questi anni la Lega ha maturato non solo un ceto credibile di amministratori locali. Da tempo ha infilato i suoi uomini anche nel mondo delle ex Partecipazioni statali, ha iniziato a pensare in grande per incidere sul potere economico, grazie anche alla vicinanza e ai consigli di un uomo come Giulio Tremonti e alla tela tessuta da Giancarlo Giorgetti, il parlamentare leghista di Cazzago Brabbia, presidente della comissione Bilancio e Tesoro della Camera. Le dolci paroline riservate dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a Parma al successo della Lega testimoniano che il mondo delle imprese è sensibile alla vandea nordista, è disposto a chiudere un occhio sui vizi razzisti dei sodali di Bossi se si tratta di tutelare i supremi interessi dell’azienda. Quello che sta accadendo è una novità rilevante.

Nel mondo degli affari i leghisti, infatti, hanno spesso fatto la figura dei “pirla”. La definizione non è nostra, anche se possiamo condividerla, ma di Umberto Bossi che la usò per illustrare il caso di Alessandro Patelli, ex amministratore della Lega, quando incassò 200 milioni come modesto contributo della tangente Enimont. Pare che la busta di denaro fosse transitata dai manager Ferruzzi al povero “pirla” della Lega al Bar Doney di via Veneto, luogo culto della “Roma ladrona” secondo il verbo leghista. Per questo incidente Bossi è stato condannato in via definitiva a otto mesi per violazione della legge sul finanziamento dei partiti, ma siede sereno in parlamento, come altri. Ìn questi ultimi anni i principi della Lega in campo economico e bancario sono stati molto edulcorati, la vicinanza con le stanze dei bottoni e il profumo del potere hanno fatto miracoli.

La rigidità ideale di un tempo è un ricordo, oggi il pragmatismo e le poltrone, come praticavano un Cirino Pomicino o un De Michelis nella prima repubblica, fanno premio su tutto. Qualcuno ricorderà, ad esempio, che la Lega aveva criticato severamente l’azione dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, prima di cambiare repentinamente linea e prendere le sue difese, in nome dell’italianità. La svolta avvenne quando la Popolare di Lodi del raider Gianpiero Fiorani, che si vantava di essere protetto da Fazio, si prese cura della malmessa Credieuronord, la banca leghista prossima al disastro dopo aver dilapidato i risparmi dei sottoscrittori padani. Il tremendo Fiorani, ritemprato al sole della Sardegna in casa dell’impresario Lele Mora, è arrivato al punto di affermare al processo Antonveneta di aver erogato dei contributi al ministro Calderoli.

Così vanno a braccetto la politica e gli affari, anche tra i duri e puri della Lega. Ma ora sono finiti i tempi della banca fatta in casa o di altre “pirlate” leghiste come la Bingonet o la costruzione di un villaggio turistico in Istria. Tutto fallito. Bossi punta oggi al bersaglio grosso, alle banche e alle grandi imprese di Stato. Il suo fedelissimo economista Dario Fruscio è stato sei anni nel consiglio di amministrazione dell’Eni e si vanta di aver salvato la petrolchimica (provi a dirlo agli operai di Marghera o di Porto Torres…), nel consiglio dell’Enel la Lega è presente con il consigliere Gianfranco Tosi, ex sindaco di Busto Arsizio, in Finmeccanica tocca al varesino Dario Galli sventolare il fazzoletto verde. Ma siamo solo all’inizio. La Lega avvia la scalata alle fondazioni socie di Intesa SanPaolo e Unicredit e ha due obiettivi nel breve-medio periodo: sostituire Lucio Stanca alla guida dell’Expo 2015, occupare la carica di amministratore delegato alle Poste con il padano Danilo Poggi al posto di Massimo Sarmi. Con un presidente della Cisl e un leghista amministratore delegato le Poste potrebbero trasformarsi in un ente bilaterale, con la soddisfazione di Bonanni e Sacconi.

L’Unità 15.04.10