economia, politica italiana

"L’avanzata del boiardo padano: da Enimont e Credieuronord al potere della grande finanza", di Rinaldo Gianola

A pensarci bene, adesso è più chiaro perchè gli azionisti di Mediobanca hanno deciso proprio alla vigilia delle elezioni regionali di scegliere Cesare Geronzi come prossimo presidente delle Assicurazioni Generali di Trieste. Magari anche sulla scelta del vertice della perla più limpida del potere finanziario italiano Umberto Bossi avrebbe voluto dire la sua, forte del successo elettorale. Probabilmente avrebbe mostrato qualche perplessità per la scelta di un uomo simbolo del potere romano, inaffondabile e capace di qualsiasi metamorfosi, o magari si sarebbe accontentato delle garanzie di Silvio Berlusconi. Non è un’ipotesi campata in aria visto che ieri il leader leghista si è dato come obiettivo quello di «prendere le grandi banche del Nord, perchè ce lo chiede il popolo».

E allora si può anche sospettare che, dopo un pressing asfissiante iniziato già prima delle elezioni da parte dei neo-governatori Cota e Zaia , l’Unicredit di Alessandro Profumo abbia acconsentito alla nomina di un country manager per l’Italia, il signor Gabriele Piccini, affinchè la banca possa stare più vicino al territorio, alle migliaia di piccole imprese del nord produttivo e, in larga parte, leghista. Il trionfo elettorale alimenta appetiti furiosi e chi, come Bossi, una volta sognava ingenuamente di raccogliere i risparmi padani nella fallimentare Credieuronord e prima ancora nel progetto di Finanzaria Padana o Lombarda che negli anni Novanta era stata ipotizzata da Giancarlo Pagliarini, oggi può invece puntare più in alto, alle fondazioni bancarie, straordinario centro di potere e di quattrini dell’Italia democristiana, quindi a influenzare banche come Intesa SanPaolo e Unicredit, alla rete delle Popolari e, infine, alle imprese di Stato.

Sarebbe un errore pensare che quella di Bossi è una battuta figlia dell’euforia elettorale, c’è qualche cosa di più e di più concreto e pericoloso. In questi anni la Lega ha maturato non solo un ceto credibile di amministratori locali. Da tempo ha infilato i suoi uomini anche nel mondo delle ex Partecipazioni statali, ha iniziato a pensare in grande per incidere sul potere economico, grazie anche alla vicinanza e ai consigli di un uomo come Giulio Tremonti e alla tela tessuta da Giancarlo Giorgetti, il parlamentare leghista di Cazzago Brabbia, presidente della comissione Bilancio e Tesoro della Camera. Le dolci paroline riservate dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a Parma al successo della Lega testimoniano che il mondo delle imprese è sensibile alla vandea nordista, è disposto a chiudere un occhio sui vizi razzisti dei sodali di Bossi se si tratta di tutelare i supremi interessi dell’azienda. Quello che sta accadendo è una novità rilevante.

Nel mondo degli affari i leghisti, infatti, hanno spesso fatto la figura dei “pirla”. La definizione non è nostra, anche se possiamo condividerla, ma di Umberto Bossi che la usò per illustrare il caso di Alessandro Patelli, ex amministratore della Lega, quando incassò 200 milioni come modesto contributo della tangente Enimont. Pare che la busta di denaro fosse transitata dai manager Ferruzzi al povero “pirla” della Lega al Bar Doney di via Veneto, luogo culto della “Roma ladrona” secondo il verbo leghista. Per questo incidente Bossi è stato condannato in via definitiva a otto mesi per violazione della legge sul finanziamento dei partiti, ma siede sereno in parlamento, come altri. Ìn questi ultimi anni i principi della Lega in campo economico e bancario sono stati molto edulcorati, la vicinanza con le stanze dei bottoni e il profumo del potere hanno fatto miracoli.

La rigidità ideale di un tempo è un ricordo, oggi il pragmatismo e le poltrone, come praticavano un Cirino Pomicino o un De Michelis nella prima repubblica, fanno premio su tutto. Qualcuno ricorderà, ad esempio, che la Lega aveva criticato severamente l’azione dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, prima di cambiare repentinamente linea e prendere le sue difese, in nome dell’italianità. La svolta avvenne quando la Popolare di Lodi del raider Gianpiero Fiorani, che si vantava di essere protetto da Fazio, si prese cura della malmessa Credieuronord, la banca leghista prossima al disastro dopo aver dilapidato i risparmi dei sottoscrittori padani. Il tremendo Fiorani, ritemprato al sole della Sardegna in casa dell’impresario Lele Mora, è arrivato al punto di affermare al processo Antonveneta di aver erogato dei contributi al ministro Calderoli.

Così vanno a braccetto la politica e gli affari, anche tra i duri e puri della Lega. Ma ora sono finiti i tempi della banca fatta in casa o di altre “pirlate” leghiste come la Bingonet o la costruzione di un villaggio turistico in Istria. Tutto fallito. Bossi punta oggi al bersaglio grosso, alle banche e alle grandi imprese di Stato. Il suo fedelissimo economista Dario Fruscio è stato sei anni nel consiglio di amministrazione dell’Eni e si vanta di aver salvato la petrolchimica (provi a dirlo agli operai di Marghera o di Porto Torres…), nel consiglio dell’Enel la Lega è presente con il consigliere Gianfranco Tosi, ex sindaco di Busto Arsizio, in Finmeccanica tocca al varesino Dario Galli sventolare il fazzoletto verde. Ma siamo solo all’inizio. La Lega avvia la scalata alle fondazioni socie di Intesa SanPaolo e Unicredit e ha due obiettivi nel breve-medio periodo: sostituire Lucio Stanca alla guida dell’Expo 2015, occupare la carica di amministratore delegato alle Poste con il padano Danilo Poggi al posto di Massimo Sarmi. Con un presidente della Cisl e un leghista amministratore delegato le Poste potrebbero trasformarsi in un ente bilaterale, con la soddisfazione di Bonanni e Sacconi.

L’Unità 15.04.10