attualità, memoria, politica italiana

«Carpi rock il 25 aprile e noi ci saremo», di Daniela Amenta

Era il 25 aprile del 1995. Uscì uno dei dischi più memorabili del «red wedge» italiano, il «cuneo rosso» dei musicisti che si trovava a fare i conti con il berlusconismo nascente e i vagiti della Lega. 25 aprile 1995, grande concerto a Correggio per i 50 anni dalla Liberazione. C’erano punk, mondine, vecchi e ragazzini. C’erano i gruppi più amati di quegli anni: gli Afa, i Csi, gli Ustmamò, i Modena City Ramblers a reinterpretare le canzoni della montagna, gli inni partigiani. Ne venne fuori un disco, un libro, un film di Davide Ferrario e Guido Chiesa. Si intitolava «Materiale Resistente», con una introduzione di Neznad Maksumic, poeta bosniaco, che spiegava le regole tragiche per sopravvivere alla guerra. Sulla copertina il cippo in memoria dei fratelli Saltini, Vittorio e Vandina, simili a tanti altri, di pietra umile e con le foto sbiadite ma sempre lì, presente, inamovibile. «La Resistenza è nel territorio, a dispetto degli smemorati, in quei monoliti di cemento o marmo corroso in un improbabile fasto floreale di lauro, edera o plastica. È questo il fiore del partigiano? Forse sì».
Quindici anni dopo, nella piazza dei Martiri di Carpi, la memoria si rinnova. Il luogo doveva essere l’ex campo di concentramento di Fossoli. Il maltempo ha imposto un cambio di location ma in quella che era l’area di smistamento dei deportati destinati ai lager dell’Europa del nord, si terranno tutti gli incontri e le iniziative già in programma (www.fondazionefossoli.org).
Quindici anni dopo, dunque. Con molti dei protagonisti di quella stagione fulminante: Mara Redeghieri degli Ustmamò, Cisco dei Modena con le Mondine di Novi, Massimo Zamboni già chitarra «grattuggiata» del Consorzio Suonatori Indipendenti, Fabrizio Tavernelli »guru» ecologista degli ipnotici Afa. Un concerto che ha come titolo «Materiali Resistenti», che riprende così il filo rosso e lo riannoda, lo lega al futuro, alle voci degli Offlaga Disco Pax, nipotini pestiferi dei Cccp, ai versi luciferini del Teatro degli Orrori considerati nel 2009 come la migliore indie band d’Italia. E non basta. Sul palco anche i Giardini di Mirò, i Tre allegri ragazzi morti e molti altri. Si comincia domenica alle 16.30, ingresso gratuito, con un pre-show ricchissimo che vedrà esibirsi tra gli altri anche gli attori della Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”. Interventi di Marzia Luppi direttrice della Fondazione Ex-Campo Fossoli, di Germano Nicolini ex partigiano, degli scrittori Paolo Nori e Carlo Lucarelli.
Quindici anni dopo. C’era chi nel ‘95 era solo un bambino, come Cecilia che oggi sul blog di materialiresistenti.com ricorda. «A Correggio, nel ‘95, i nonni e le nonne ci guardavano avanzare noi bambini della scuola elementare sotto la pioggia e negli occhi avevano una luce strana. Sorridevano in silenzio, con qualcosa in gola che allora non sapevo riconoscere ma oggi si, e doveva essere un misto di commozione e speranza». È questo il fiore del partigiano? Forse sì.

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L’Unità Mobile fa tappa in Emilia Romagna
Di nuovo in marcia. Dopo il viaggio dell’Unità a L’Aquila, nei giorni dell’anniversario del terremoto, riparte la nostra redazione mobile. Per raccontare l’Italia da vicino, per ascoltare i lettori, per mostrare come nasce il nostro il giornale, per costruirlo insieme a chi lo legge. La seconda tappa sarà nel cuore dell’Emilia. L’Emilia simbolo del buon governo del centrosinistra, ma anche terra di conquista della Lega che da qualche anno si è dimostrata capace di conquistare consensi rilevanti anche sotto il Po, di intercettare paure i bisogni di ceti popolari spaventati dalle trasformazioni della società e in particolare dall’ondata migratoria che sta cambiando la pelle della società anche lungo la via Emilia.
«L’Emilia sarà la prossima regione a diventare leghista se non ci sarà un cambio radicale e profondo. In larga parte lo è già», ha detto la politologa Nadia Urbinati in un’intervista al direttore dell’Unità ai primi di aprile, commentando il risultato delle regionali. «Li sento scandire parole d’ordine semplici che fanno presa. Vedo le persone a me vicine cambiare. L’Emilia oggi è la frontiera più avanzata, o più arretrata. È Little Big Horne. La Lega ha capito molto bene che è questa la sfida più grande. La rivincita…». Ne è nato un dibattito appassionato sulle colonne di questo giornale. «Io dico cominciamo dall’Emilia, perché l’Emilia può ancora proporre un modello competitivo, economico, sociale, politico che può essere di riferimento», ha risposto il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio. «Un modello basato su tre-quattro, parole chiave: capitale sociale, conoscenza, cura e, infine, comunità. Città aperte, dinamiche, e non chiuse sulla paura, città la cui forza è il «noi», la cura delle persone e del territorio, la responsabilità comune per uno sviluppo nuovo, l’educazione come cardine della cittadinanza. Per noi, essere emiliani, di questa parte della Pianura, vuol dire questo».
Il 24 aprile saremo anche noi a Reggio Emilia. Riunione di redazione aperta ai cittadini al Circolo Catomes Tot, in dialetto reggiano “troviamoci tutti” (in via Panciroli nelle vicinanze di Piazza Fiume). Il direttore Concita De Gregorio, il vicedirettore Pietro Spataro, gli inviati, la redazione web, i tecnici, faranno il giornale insieme a quanti vorranno partecipare, riempiranno le pagine con storie e testimonianze. Si inizia alle 10.30 con la riunione di redazione aperta, in collegamento ci sarà la redazione di Roma e la diretta sul nostro sito Unita.it. Ci saranno lo scrittore Giuseppe Caliceti, Silvia Barbagallo e Paola Cantarelli, dell’associazione Minimondi, le organizzatrici del festival di letteratura ed illustrazioni per ragazzi di Parma, Francesca Fornario che terrà alle 17 una lezione sulla satira e le vignette. Faremo il giornale anche insieme ai bambini, che disegneranno sui menabò pagine e articoli e proveranno a scrivere le loro storie. Alle 15.30 nuova riunione di redazione aperta e in diretta sul web. Poi letture, le storie della gente, la presentazione delle nuove cronache regionali dell’Unità. Alle 18.30 l’incontro-dibattito sui temi chiave lanciati dalla Urbinati con il direttore dell’Unità, il vicedirettore, il sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, la stessa Urbinati, il segretario provinciale del Pd Giulio Fantuzzi, l’assessore Natalia Maramotti e Paolo Stefanini, autore di inchieste sulla Lega.
Il 25 aprile, il giorno dopo, saremo nell’ex campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena. Il nostro modo per festeggiare il 25 aprile. La giornata a Fossoli è stata organizzata dal Comune di Carpi e dalla Fondazione ex Campo Fossoli, con il patrocinio dell’Anpi. Si parte alle 12 con le visite guidate al campo, poi letture con commento sonoro, performance di teatro, testimonianze dei protagonisti e l’inaugurazione di una mostra multimediale. Ci saranno gli scrittori Paolo Nori e Carlo Lucarelli e l’ex partigiano Germano Nicolini. Si chiude alle 16.30 con il concerto cui parteciperanno Cisco (leader dei Modena City Ramblers) con il coro delle mondine di Novi, Mara Redeghieri, gli Offlaga Disco Pax, l’ex chitarrista dei Csi Massimo Zamboni e tanti altri artisti.

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«Giovani, leghisti ed emiliani», di Paolo Stefanini
Imola è in provincia di Bologna ma si sente romagnola. Sergio Zuffa, 47 anni, va in città a volantinare con il Movimento giovani padani davanti a un istituto tecnico pieno di ragazzi immigrati, ogni sabato mattina. «Se mi sento giovane? Lo sono» rivendica. E non pare scherzare, mentre muove con sforzo le braccia distrutte da un antico incidente. «Sono rinato, dopo un lungo coma, il 25 marzo 1985. Ho appena compiuto, insomma, 25 anni». È romanista e della Lega («perché sono stufo di tutto. E se mi vuoi fare un grosso dispetto, dammi del comunista. In famiglia, però, non posso parlare… sono tutti rossi»). È uno di quei tipi di provincia un po’ coloriti che alla Lega Nord fa meno gioco, in questa fase. Imbarazzano un partito sempre più di governo, che cerca di nascondere nell’armadio le corna celtiche. Specialmente nelle regioni rosse, dove è in forte crescita.
Una crescita che ha portato il movimento di Bossi, alle ultime regionali, al 13,67 per cento in Emilia-Romagna, grazie al travaso di voti dei delusi di sinistra, dei delusi di Fini, ma anche grazie a tanti giovani piuttosto entusiasti del leghismo e che, a differenza di Zuffa, hanno dalla loro il conforto reale dell’anagrafe. Giovani e giovanissimi che scherzano sul sigaro, «simbolo da strappare dalle bocche di Che Guevara e Bertinotti perché adesso il più grande rivoluzionario è Bossi», ma che si dicono sempre, ossessivamente, «attaccati al territorio, alle tradizioni». Che possono essere «anche solo i cappelletti, per fare un esempio. Noi come donne padane ci diamo da fare per raccogliere le ricette tipiche della nostra zona. Difendiamo in questo modo la nostra femminilità», risponde con orgogliosa sicurezza Silvia Dallaglio, 23 anni ancora da compiere, che per il Carroccio è consigliere comunale a Mezzani, nella Bassa parmense. Molto meno sicura è sulla posizione da prendere in merito alla pillola abortiva Ru486. Ma ritrova il piglio per dire: «Nel mio paese abbiamo avuto un grande successo con due raccolte firme. Su due temi che piacciono tanto tanto: il crocifisso e la castrazione chimica».
Un ventiduenne, quasi ad introdurre il viaggio tra i leghisti nelle regioni rosse aveva così sintetizzato la sua passione per la Lega: «Non riesco proprio a capire come quei signori della sinistra possano pensare di parlare a noi giovani. Quelli che sono rimasti fuori dal Parlamento hanno un vocabolario politico che ormai ci vuole il libro di storia aperto per capirli. Il Partito democratico, che si vuole vendere come “progressista” e moderno, è la fusione degli apparati residui di Pci e sinistra Dc. Sono gli avanzi del Novecento, come pretendono di interpretare il nostro futuro? Noi abbiamo un approccio più materialistico, forse più terra terra. Ma che ce ne facciamo delle grandi ideologie? I problemi della nostra generazione sono concreti: siamo lavoratori precari, siamo studenti e ricercatori costretti a fuggire all’estero, subiamo un’immigrazione aggressiva e senza regole. Noi non vogliamo cambiare il mondo. Vogliamo piccole certezze: un lavoro, il rispetto dei nostri diritti, essere padroni a casa nostra… Per questo riscopriamo il territorio, le tradizioni».
Sogni, insomma, a raggio limitato. Anche se Irene Zanichelli, una giovanissima agit-prop leghista di Sorbolo (Parma) non ci sta: «Siamo aperti al mondo; oltre alla Padania difendiamo anche l’indipendenza del Tibet». E poi con risposta politicamente prontissima, a dispetto dei 15 anni da poco compiuti: «I giovani sono più attratti dalla Lega perché sono i più interessati al futuro. I vecchi ormai la loro vita l’hanno vissuta e possono continuare a votare a sinistra». Un suo tema di quarta elementare fece piuttosto parlare: era un’analisi accurata del pensiero di Bossi. Nella sua cameretta ha tutto coordinato in verde, un poster del Senatùr e un po’ del merchindising di via Bellerio: matite, fazzolettini di carta, tatuaggi lavabili dell’Alberto da Giussano.
Fuori da quelle camerette c’è un mondo con poche certezze. Una i giovani padani d’Emilia però ce l’hanno: «Mai moschee!». Al di là del dispetto nei confronti del “comunismo” (inteso spesso come «Pd» o come «buonismo») è l’avversione all’islam avanzante a cementare di più la loro militanza. «Non sono razzista», premettono tutti. «Non sono razzista», premette anche Ilaria Montecroci, 22 anni, consigliere comunale della Lega Nord a Baiso, Appennino reggiano, «ma sono xenofoba. Nel senso che sì, paura ho paura di loro. Che vengono qua senza rispettare le nostre tradizioni e, anzi, cercando di imporci le loro». «L’immigrazione», «i clandestini», «gli stranieri irregolari». Hanno risposto praticamente all’unisono alla domanda «Cosa ti fa più arrabbiare in Italia?», i giovani leghisti durante una festa in una discoteca di Imola.
Anche se più bravo a spiegare il perché di queste paure e di questa fiducia di molti giovani emiliani nella Lega è stato il ferrarese Fabio Bergamini, coetaneo e braccio destro di Alan Fabbri, sindaco leghista trentunenne di Bondeno (prima città d’Emilia sopra i quindicimila abitanti a essere amministrata dal Carroccio): «In genere quelli che si avvicinano a noi sono ragazzi stanchi di una politica che non ha più passione, non ha simboli. Che non accende. Perse le ideologie (forse è un bene, forse un male) questi ragazzi vedono in noi almeno un’identità forte, quella del loro territorio. Il Pd, invece, è un partito freddo, di apparato. Che per sua costituzione non vuole essere passionario. E che in queste zone appare tradizionalista: conserva un voto di generazione in generazione». E poi ha spiegato quello che qui, appena al di sotto del Po, hanno ribattezzato «il ’68 alla rovescia».
«Anzi», precisa, «un ’68 finalmente nel senso giusto. Giovani e operai si sono uniti. Si sono dati al senso pratico. Al pragmatismo. Si sono avvicinati a noi persino ragazzi dei centri sociali e di Rifondazione: orfani che cercavano qualcuno in grado di rispondere alle loro rivalse, a un disagio sociale crescente. Ora diamo più punti in graduatoria in base agli anni di residenza e alle donne che lavorano, visto che i musulmani di solito le tengono a casa. Qui non potevamo pensare di eleggere il sindaco gridando “Padania libera!”, dovevamo farci vedere attenti ai problemi del territorio, in un momento di crisi come questo e con elettori, anche giovani, che spesso provengono da tradizioni di sinistra. L’Emilia è un caso-scuola, per noi».

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«Falce, martello e camicia verde», di Paolo Stefanini

Marco Casalini in Lega è entrato da destra, da Forza Nuova. Fa il facchino a Faenza. Ha 33 anni. «Non voglio sembrare quello che nel film di Benigni diceva che il problema di Palermo è il traffico, ma, secondo me, il problema delle nostre città in Emilia e in Romagna sono i posteggi. La sinistra ha riempito i centri storici di strisce per i portatori di handicap, strisce di carico-scarico, strisce blu a pagamento. La gente non sa dove parcheggiare, i negozietti chiudono. I clienti si spostano nei grandi ipermercati costruiti dagli amici della sinistra, dove posto per la macchina ce n’è in abbondanza. E i centri storici muoiono per questa moda delle aree pedonali. Nel vuoto lasciato si insediano gli stranieri. Le case perdono valore…». Il suo, insomma, pare innanzitutto un leghismo da piano regolatore.
A dargli manforte c’è Laura Calderoni, 28 anni, disoccupata («ma laureata in giurisprudenza», sottolinea). Indica una piazza a portici che potrebbe essere ovunque in questa regione e che, almeno in questo momento (un dopopranzo d’un sabato soleggiato), è disabitata e fa: «Ecco qua, sembra una steppa russa. Guardate che deserto. Ai comunisti dovevano piacere così tanto le steppe che le hanno volute rifare qui in centro». Lei viene – dice – da sinistra. Ha votato i Ds; non il Pd. Perché? Ha un attimo di esitazione. Si sistema il fazzoletto verde al collo e poi risponde: «Sono arrabbiata. A quelli di sinistra interessano solo i matrimoni gay, gli extracomunitari, e far abortire le donne. Non si occupano dei precari e di chi non ha il lavoro». Non sopporta soprattutto gli immigrati di fede islamica: «Nei condomini fanno problemi anche a chi ha il cane perché per loro è un animale impuro. Ma non ci faremo imporre il gatto da qualche imam. Non saremo mai vittime delle loro tradizioni».
Ogni tanto con Casalini e altri “fratelli” (l’appellativo che ha preso il posto di “compagno”, nella Lega) organizza delle cene padane a base di maiale. Tanto per ribadire il concetto, anche con la salsiccia. Il motto più semplice, per mettere d’accordo tutti è «né neri né rossi, ma liberi con Bossi». «Non siamo né di destra né di sinistra» amano dire in tanti. E Berlusconi? «Solo un alleato affidabile per arrivare alle riforme». E Fini? Meglio non parlare di lui in questo momento. Soprattutto con quelli che, in Emilia-Romagna arrivano proprio da Alleanza Nazionale. Il Movimento giovani padani aveva preparato qualche mese fa un manifesto che è andato molto di moda nelle sezioni leghiste d’Emilia e non solo: «No compagno Fini!» c’era scritto a grandi lettere. E l’ex delfino di Almirante appariva a pugno chiuso, fazzoletto rosso da partigiano e con uno sfondo di coste d’Italia invase da immigrati.
Quella della convivenza nella Lega Nord tra ex di destra ed ex di sinistra (particolarmente numerosi in una regione rossa) è uno dei motivi di vanto diventato quasi luogo comune. Angelo Alessandri, il Bossi d’Emilia che ha fatto crescere il partito ed è stato ricompensato, a Milano, già cinque anni fa, con la presidenza del partito, lo ripete spesso. Anche la sera delle selezioni bolognesi di Miss Padania lo aveva sottolineato: «Il Muro di Berlino è crollato pure qui, con vent’anni di ritardo, ma è crollato! Ero a un gazebo e c’erano con me due militanti. Uno è un ex di Lotta continua, l’altro di Ordine nuovo. Negli anni settanta si sarebbero ammazzati o pestati a sangue, ora nella Lega scherzano e collaborano. Il giorno che faremo la Padania, e prima o poi magari la faremo, tanti capiranno di essere stati leghisti per anni, solo che non se ne erano accorti, accecati dalle vecchie ideologie…». Ma l’afflusso nel partito da storie personali e tradizioni politiche tanto differenti talora preoccupa. Un segretario locale del ferrarese teme molto gli arrivi di quelli che «vanno in pellegrinaggio a Predappio e tornano con i santini di Mussolini, sospirando “Ah, quando c’era il Duce… Sono tremendi. Arrivano solo in funzione antimmigrati senza condividere molto altro delle idee del movimento, neanche il federalismo».
Ma anche da sinistra sono entrati in Lega vissuti a prima vista poco in linea con il più stretto vangelo leghista. Il modenese Mauro Manfredini è stato rieletto consigliere regionale alle ultime elezioni (recordman di preferenze). Lui, classe 1942, ex venditore ambulante, fu, nel 1997, per le elezioni secessioniste del Parlamento del Nord, il fondatore dei Comunisti padani: «Lo facemmo perché quando votavamo il Pci ci sentivamo di sinistra, ma ora che eravamo passati alla Lega, non ci sentivamo comunque di destra». Fu convocato in tutta fretta da un Bossi severissimo che lo riproverò: «Ma lo sai o no che lo hanno tirato giù il Muro di Berlino?». «Mi sembra di aver visto qualcosa alla televisione» gli rispose lui, ottenne il permesso di presentare la lista. Qualche giorno dopo fu Maroni a sgranare gli occhi, quando depositarono il simbolo: «Ma pure la falce e martello rossa ci volete?» «Si capisce». Ancora oggi che legge il telegiornale in dialetto per TelePadania e lotta contro «l’invasione straniera» Manfredini dice di sentirsi in un certo qual modo di sinistra: «Sono nato povero, come potrei essere di destra?». Un po’ più a est, in Romagna, la Lega Nord si è vista richiedere la tessera col sole verde delle Alpi pure da molti che ne avevano in tasca, in passato, una con l’edera verde.
Anche Gianluigi Forte, segretario del Carroccio a Brisighella, è un ex repubblicano che tanto teneva alla divisione tra Stato e Chiesa e alla laicità dello Stato. Nei mesi scorsi ha partecipato entusiasticamente all’organizzazione delle raccolte firme per «la difesa del crocifisso»: «Penso che sia una battaglia strettamente laica per la difesa di un simbolo occidentale» dice. «Magari, anzi, contro il clericalismo musulmano. Non penso che ci sia dietro nessuna strizzata d’occhio al Vaticano. O almeno, lo spero.» Così, nella Lega, si può stare sentendosi di sinistra o di destra, definendosi laici o cattolici tradizionalisti. Tanto più nelle regioni di recente crescita, come l’Emilia. E queste contraddizioni, per ora, non sembrano indebolire il partito. Che ne ha in seno una più profonda: quella tra la dimensione locale, della sempre evocata «difesa del territorio» e la dimensione di partito romano con un ruolo chiave (e sempre più delicato dopo la spaccatura nel Pdl) nel governo.

da www.unita.it