memoria

"Quella bambina in camicia nera costretta a subire una lezione di odio", di Goffredo Buccini

GIULINO DI MEZZEGRA (Como) – Quest’anno si sono tirati dietro i bambini. Come alla gita fuoriporta. Davanti al cancello della fucilazione, a Villa Belmonte, c’è uno scricciolo con la maglietta gialla, a stento arriva al muretto di cinta. Punta verso la croce dove c’è scritto «Benito Mussolini, 28 aprile 1945» l’obiettivo del suo Nintendo DS, quello con cui gioca normalmente a Super Mario. E c’è lei, che avrà sei anni scarsi: le hanno infilato una camicetta nera, calzato in testa il basco della Repubblica sociale, con il gladio e l’alloro per stemma. Pure lei scatta foto, con una macchinetta digitale. Pare di sentirla. «Dai zio, alza il braccio e sorridi, eja-eja». Alle sue spalle una coppia attempata (papà e mamma? nonni?), teschi sul cappello come comparse sbrindellate del «Salò» di Pasolini, con accanto un bamboccione occhialuto coperto di gladi che pare un puntaspilli (fratello maggiore?). Nella marmellata pop della pacificazione nazionale, tra coriandoli d’identità dove le t-shirt della Rsi vanno via online a nove euro «con logo prestampato», eccoci quindi alla scampagnata di famiglia repubblichina.

Le immagini ci raccontano una giornata piena di sole che cozza con le cupe icone di battaglia, una banalità del male che profuma di frittata di maccheroni. Quelli di Giulino di Mezzegra ci hanno fatto il callo, ogni anno è così per l’anniversario della morte di Mussolini. Sarebbe il 28 aprile, ma in tre o quattrocento hanno anticipato alla domenica, capirete: ci scappava la gitarella sui laghi e pazienza se i partigiani dell’Anpi hanno preso storta la coincidenza col 25 e la Liberazione.

Solita roba, dicono qui annoiati, soliti saluti romani; i reduci, sempre di meno – quest’anno è rimasto solo il Mario Nicolini (98 anni!) che fa sempre lo stesso discorso – e gli skinheads, sempre di più, crani che brillano al sole, muscoli gonfi. Davanti alle foto di giornata, uno può sorridere, intristirsi, magari arrabbiarsi. Forse la reazione più saggia ce l’ha la gente del posto: «Quelli là? Non ci facciamo neanche più caso». Ma è la prima volta che alla parata di Giulino si vedono tanti bambini: intabarrati in divisa, imprigionati in una nostalgia per qualcosa che nessuno ha vissuto (tranne il Mario, s’intende). Bambini che andrebbero lasciati in pace, in quest’Italia pacificata. Bambini con una fantasia dura da incastrare in una pagina di odio: uno s’è portato il pallone e lì, sul prato, tra grinte imbronciate di padri e zii che pare la notte del 25 luglio, baschi neri e calzoni alla zuava negli stivali che sembrano tutti controfigure di Pavolini, parte in dribbling, dritto in porta. La squadra dei neri è numerosa, ma lui corre e corre, ha tutta una storia davanti.

Il Corriere della Sera 26.04.10