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"Schiavisti per bene: blitz a Rosarno, arrestate trenta persone", di Claudia Fusani

I nuovi schiavisti hanno la faccia tranquilla e quasi per bene di Biagio, Maria Pia, Sebastiano, proprietari di piccoli grandi latifondi nella piana di Rosarno. Sfruttavano, «come bestie» raccontano gli investigatori, giovani africani, per lo più arrivati lungo le piste del deserto e dopo viaggi sulle carrette del mare dalle zone a sud del Sahara. Per loro, per Biagio, Maria e tutti gli altri (ventuno in tutto i proprietari di aziende agricole arrestati) erano braccia senza nome, gli anelli terminali di una catena di cui conoscevano solo la faccia dei “caporali”, stranieri come gli sfruttati, forse a loro volta sfruttati e poi emancipati sulla pelle degli ultimi arrivati.

E’ un quadro da brividi quello che viene fuori dalle 421 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare con cui la procuratore di Palmi Creazzo e i sostituti Musolino e Papalia hanno ottenuto l’arresto di 31 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina e alla truffa. E’ una storia antica e secolare che si ripete oggi sotto i nostri occhi: gli schiavisti, sotto di loro i caporali che hanno il pelo sullo stomaco e il fegato di chi è disposto a tutto, bulgari, rumeni, marocchini, tunisini, «in genere uno per ogni etnia» scrive il gip Silvia Capone.

Ultimi degli ultimi, gli sfruttati, gli africani subsahariani. Ma questa volta la Storia segna una svolta: gli schiavi si sono ribellati. Lo fecero già a gennaio, perchè non ne potevano più di sopravvivere in quelle condizioni. Ci furono i moti di Rosarno, i braccianti clandestini furono portati lontano perchè qualcuno si divertiva a sparare loro addosso. «Ecco cosa succede ad avere troppa tolleranza con i clandestini» furono le prime parole del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Gli schiavi riempirono i loro sacchi di plastica e salirono su pullman. Ma poi hanno cominciato a parlare. Con i volontari dell’Oim prima. Con gli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria poi. «Hanno trovato il coraggio e la forza di ribellarsi, di vincere la paura e hanno cominciato a raccontare. La loro collaborazione è stata fondamentale» racconta il capo della squadra mobile Renato Cortese.

Mai come questa volta tre mesi di indagini hanno potuto raccontare il sistema della moderna schiavitù. Non c’è ombra di ‘ndrangheta in questa inchiesta. Almeno per ora e nonostante alcuni cognomi che rinviano alle grandi famiglie padrone della piana di Gioia Tauro. Ma risulta difficile pensare che schiavisti e caporali possano aver messo in piedi una simile organizzazione senza il via libera dei clan. Tre mesi di indagini documentano lo sfruttamento di almeno 500-600 lavoratori. Ogni caporale ne gestisce 20-30 messi a lavorare in circa 20 aziende agricole di agrumeti. «Sono gli intermediari a prelevare ed a pagare i lavoratori» si legge nell’ordinanza. «I caporali si presentano come dei veri e propri padroni senza legge dietro i quali vi sono imprenditori dell’agricoltura di piccoli e grandi appezzamenti terrieri che, dovendo assumere personale stagionale per la raccolta nei campi, preferiscono scegliere la “scorciatoia” del caporale che, spesso, è un soggetto di nazionalità straniera che proviene dalla stessa area geografica delle persone sfruttate». Gli schiavisti arrestati sono i 21 italiani di Rosarno (tutti incensurati e quindi agli arresti domiciliari). In cella i 9 caporali individuati: 4 marocchini, un sudanese, due egiziani e due algerini. Coinvolte due donne: Rokawska, una bulgara di 54 anni che ogni mattina guidava il camion per i trasferimenti; Maria Mangano detta Pia, vicepresidente della cooperativa Citrus.

La giornata lavorativa inizia alle prime luci dell’alba e termina al tramonto. Poi, come casa, i ruderi e i topi delle ex fabbrica Pomona. Gli schiavi sono stati precisi nel descrivere chi li sfrutta e come. «La paga – si legge – varia in base alle imposizioni dell’intermediario ed oscilla intorno ai 25 euro al giorno, 1 euro a cassetta per i mandarini e 50 centesimi a cassetta per le arance. Dalla cifra complessiva bisognava detrarre 3 euro per il trasferimento trattenute dal caporale». Il titolare dell’azienda agricola paga 30-35 euro al giorno, La differenza, circa dieci euro, va ai caporali. I quali, a volte, «neppure volevano pagare e sottraevano le cassette di prodotto raccolto in modo da dover pagare molto meno». Bulgari e rumeni «sfruttano anche i minori». E comunque «tutti i caporali si conoscono tra di loro e fanno blocco quando qualche lavoratore crea problemi assoggettandoli totalmente al loro potere». Schiavisti incensurati. Quasi per bene. E assolutamente consapevoli tanto che sono state sequestrate 20 aziende e 200 terreni per un valore di 10 milioni di uero. Oltre alle dichiarazioni dei testimoni (15 cittadini stranieri hanno ottenuto il permesso di soggiorno) la prova arriva da numerose telefonate intercettate. «A mezzogiorno mi servono due ragazzi» dice Maria Mangano, detta Pia, a Mohammed Fethani il 10 febbraio scorso, pochi giorni dopo l’inferno di Rosarno. «Portami i più bravi, portali tu perchè il camion arriva dopo. Però stai attento ai controlli. E non li lasciare mai soli».
L’Unità 27.04.10

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