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"Con quali risorse si riconosce il merito?", di Fabrizio Dacrema e Gianni Gandola

La politica scolastica di questo governo, a parte i tagli (questi sì reali!), è costellata di annunci.
Affermazioni e proclami cui quasi sempre non seguono fatti concreti. Da tempo il ministro Gelmini va parlando di valorizzazione del “merito” e di riconoscimento della carriera degli insegnanti. Tema tra l’altro oggi largamente condiviso, almeno in linea di principio. Ma il problema concreto che si pone è: con quali risorse, sulla base di quali stanziamenti si compensano i docenti “capaci e meritevoli”? E, prima ancora, in base a quali criteri e modalità costoro vengono individuati? Com’è noto, sulla questione delicata della carriera dei docenti esiste da tempo una proposta di legge, quella dell’on. Aprea, che per il momento non ha ancora fatto passi avanti. Per altro, una sua approvazione provocherebbe uno scontro frontale con le organizzazioni sindacali perché, superando la contrattazione su una questione centrale come la progressione di carriera, rappresenterebbe un ritorno il ritorno allo stato giuridico dell’insegnante.
Non dimentichiamo che la contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, insegnanti compresi, è stata una delle scelte decisive compiute dai governi degli anni novanta per modernizzare il paese e condurci nell’Unione Europea.

Il controllo politico unilaterale, parlamentare e governativo, del rapporto di lavoro degli insegnanti non ha mai dato buona prova di sé in Italia: contratti scaduti per anni quasi sempre rinnovati prima delle elezioni, regolazione del lavoro rigida e arcaica, tempi lunghi e incerti per ogni cambiamento anche di scarsa rilevanza, attenzione dei politici più rivolta al consenso della categoria che all’interesse generale del funzionamento del servizio (Ministri come Cirino Pomicino apparivano ai sindacati confederali più sindacalisti corporativi degli stessi sindacati autonomi). È inoltre più coerente alla valorizzazione dell’autonomia professionale degli insegnanti una regolazione contrattuale, e quindi bilaterale e trasparente del rapporto di lavoro, piuttosto dell’imposizione unilaterale di norme stabilite da politici nazionali o regionali.

Ma ammettiamo pure, per un momento, che, per via contrattuale o legislativa, si arrivi ad una
definizione dei diversi livelli di progressione della carriera fra i docenti. Il punto da chiarire resta
sempre: con quali risorse finanziarie si intende retribuirli?

L’art. 64 della legge 133/2008 prevede che il 30% dei risparmi derivanti dalle riduzioni di organico
venga destinato “ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla
valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola”. Si parla di
“incremento”, cioè di risorse che dovrebbero aggiungersi a quelle ordinarie, da destinare – pare – soltanto ai docenti. A decorrere dal 2012, dal risparmio previsto di 3.188 milioni dovrebbe derivare una disponibilità annua di circa 1.000 milioni per la valorizzazione professionale dei docenti.

Ad oggi non ci sono le risorse per rinnovare il contratto nazionale del comparto scuola la cui nuova vigenza è 2010 – 2013. Il contratto è quindi già ampiamente scaduto, ma il governo si è ben guardato dallo stanziare le risorse necessarie per il rinnovo nella legge finanziaria. Si è solo limitato a corrispondere un aumento di circa otto euro medi lordi per tutti i comparti pubblici a titolo di indennità di vacanza contrattuale, senza lasciar intravedere alcun impegno nel reperire ulteriori risorse per i rinnovi contrattuali e quindi per aprire le trattative. È opportuno ricordare che le richieste di risorse adeguate per il rinnovo contrattuale e della conferma dei diritti contrattuali sono state alla base dello sciopero della Flc Cgil dell’11 dicembre scorso.

Finché il governo non scioglierà questo nodo non usciremo dal regno delle parole in libertà. Senzale risorse necessarie per il rinnovo del contratto ordinario non si possono avviare trattative sulle carriere professionali. Se tutti non ottengono aumenti stipendiali almeno sufficienti a recuperare l’inflazione reale, non è possibile attribuire ad una parte aumenti legati al merito.

Se non ci fossero le risorse per la difesa del potere d’acquisto di tutti gli operatori o se fossero insufficienti, la domanda legittima è: come verrà utilizzata questa disponibilità?

Ricordiamo che nel 1999 il ministro Berlinguer, aveva messo a disposizione una somma cospicua che avrebbe dovuto consentire un premio individuale annuo, permanente, pari a 6 milioni di lire (più di 3mila euro attuali). Questo come risultato degli esiti del famoso “concorsone”. Tutto poi finì con la caduta del concorsone e dello stesso ministro. E da allora non se ne fece più nulla, almeno per quanto riguarda il merito. Si trattava comunque, in quel caso, di risorse aggiuntive a quelle per la contrattazione ordinaria.

E’ evidente che ora se la disponibilità prevista – quel 30% dei risparmi – dovesse rientrare all’interno delle risorse contrattuali per tutti, allora poco o nulla rimarrebbe per il riconoscimento
del merito. E ancora una volta alle parole non corrisponderebbero i fatti. Insomma la coperta è corta e la Gelmini rischia di rimanere scoperta, da una parte o dall’altra. Il Governo si assuma in modo trasparente le proprie responsabilità, eviti l’ennesima litania sulle inesistenti resistenze conservatrici dei sindacati o sulla divisione tra sindacati buoni e cattivi. Su questo punto le posizioni sindacali sono molto simili – unanimi sulla pre-condizione della difesa del potere d’acquisto per tutti – e tutti sono favorevoli alla valorizzazione e carriere professionale della
funzione docente.

La Flc Cgil ha già presentato una piattaforma, sulla quale ha consultato i lavoratori, che prevede tre piste di lavoro per la valorizzazione del lavoro docente:
– impegno orario e degli incarichi aggiuntivi (forme di orario potenziato per attività frontali e per attività funzionali e/o formazione);

– impegni connessi al lavoro d’aula (esperienza, formazione, progettazione, innovazione, ricerca, produzione materiali, esiti degli alunni, …). La valutazione del lavoro d’aula dovrà salvaguardare l’autonomia professionale ed essere determinata sulla base di criteri trasparenti. Rimane aperto il tema di “chi valuta”, ma si accetta la valutazione del lavoro docente;

– contesti lavorativi disagiati (scuole a rischio individuate sulla base dei dati sulla dispersione e/o della presenza degli stranieri superiori ad una certa percentuale), prevedendo un tempo di permanenza per garantire stabilità dei progetti e continuità didattica.

Anche sul fronte politico non ci sono ostacoli all’introduzione di aumenti retributivi legati al merito, a differenza del centrodestra che nel 2000 si schierò contro il coraggioso tentativo di Berlinguer, il centro sinistra vede con favore questa innovazione così lungamente attesa. In una recente intervista l’on. Giovanni Bachelet, presidente del Forum Istruzione del Partito democratico, esprime un giudizio favorevole sull’introduzione di una parte della retribuzione docente legata “alla quantità e alla qualità dell’impegno didattico profuso”. Ritiene necessaria un’ampia discussione per individuare le modalità della valutazione, suggerisce l’utilizzo di più indicatori e soggetti valutatori, (fra questi anche il dirigente scolastico ma non in un ruolo preponderante perché – secondo Bachelet – “il lavoro fianco a fianco può introdurre rilevanti distorsioni emotive o, in altri casiconflitti di interesse forieri di valutazioni professionalmente non attendibili”). Considera fondamentale il coinvolgimento degli insegnanti e delle loro organizzazioni di rappresentanza sindacali e professionali.

Il Ministro Gelmini scopra le sue carte, spieghi se dispone di risorse effettivamente aggiuntive per le carriere professionali e se vuole trattare con i sindacati che rappresentano gli insegnanti. Il tempodella propaganda è finito.

ScuolaOggi 29.04.10