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"Povera mamma, in Italia più di un milione in miseria", di Rachele Gonnelli

«Si può sapere cosa succede in Italia? Dal baby boom siete alla crescita zero…», pare abbia chiesto la principessa Margaret, presidente onoraria di Save The Children. «Fortunatamente – racconta l’interpellato, presidente italiano dell’ong, Claudio Tesauro – nel rigido protocollo reale non c’è stato tempo per articolare una risposta». La risposta viene dal rapporto presentato ieri a Roma “Le condizioni di povertà tra le madri in Italia”. Succede che da noi fare figli vuol dire impoverirsi. Il rapporto, realizzato dalla Fondazione Cittalia e dell’Anci in collaborazione con Istat e Caritas, è la radiografia di una malattia sociale del Belpaese, in un anno calato dal 16° al 17° posto nel mondo quanto a condizioni di vita delle madri e dei bambini.

Dalla culla al niente
Un Paese davvero strano, il nostro, con un tasso tra i più bassi al mondo di mortalità infantile (4 su mille) e di complicazioni post partum (il rischio di morte delle partorienti è 1 su 26mila) e contemporaneamente all’ultimo posto in Europa quanto ad occupazione femminile. Siamo penultimi tra i 27 Paesi dell’Unione europea, superati solo da Malta. Cosa c’entra? Il nodo – dicono i dati – sta proprio in questa divaricazione tra l’assistenza sanitaria alla nascita, che in Italia ha ancora ottimi standard, e l’assenza quasi totale di servizi e opportunità che accompagnino la madre e i suoi bambini nella crescita, a cominciare dagli asili nido per finire in una rigida organizzazione dei tempi di lavoro e dei ruoli familiari, un tutto che fa ricadere i costi e l’impegno di allevare i figli sulle madri, troppo spesso impedendo loro di lavorare e contribuire così al reddito. La donna è relegata in casa nel ruolo esclusivo di madre e questo che è tutt’altro che un bene per loro e per i bimbi. La povertà relativa, che significa vivere in due con nemmeno mille euro al mese, è largamente più alta dove la donna non trova o rinuncia a lavorare fuori casa. Le famiglie «relativamente povere» sono 2 milioni e 737 milioni, pari a quasi cinque milioni di individui, l’11,3 percento della popolazione. Le donne sono più della metà della «torta». Un fenomeno tutt’altro che marginale. Né riguarda in particolare gli immigrati, dove anzi il lavoro femminile, legato com’è al permesso di soggiorno, è generalmente diffuso tra i residenti, presi in esame nell’indagine, e concentrati al Nord. Mentre l’incidenza di madri povere è notevolmente più alta nel Meridione.

Non c’è neanche una prevalenza di nuclei monoparentali, cioè di madri sole o separate. Le madri che non riescono ad arrivare a fine mese, devono tagliare sul cibo, trascurare visite mediche e spese scolastiche, non riescono a pagare con regolarità affitto, mutuo e bollette sono un milione e 678 mila. Solo il 7,5% è sola con i figli, l’86,3% vive in coppia, con il padre dei bambini o con un secondo marito. In stragrande maggioranza si tratta di casalinghe e la loro povertà si appesantisce all’aumentare del numero dei figli. Non è così nel resto d’Europa, dove il disagio sociale inizia a farsi avanti dal terzo figlio in su. In Italia molto dipende dalla rete parentale di supporto, che però deve sobbarcarsi anche altri compiti di welfare autogestito e secondo Linda Sabbadini dell’Istat «è ormai profondamente sotto stress», un pilastro del nostro collante sociale che sta per rompersi. Dove ancora c’è una nonna in forze, è più facile che la giovane madre lavori e meno probabile un suo impoverimento. Nel biennio 2005-2006 – governo Prodi – c’era stato un miglioramento della condizione economica della madri single, che poi è calata di nuovo.

Il governo del Family Day
Ieri alla presentazione del rapporto di Save The Children è comparso all’improvviso il sottosegretario con delega alla Famiglia Carlo Giovanardi, tra gli inventori del Family Day. Ha tentato una giustificazione acrobatica del perché l’attuale governo non abbia fatto nulla per arginare l’impoverimento crescente delle madri, addossando le colpe alla congiuntura economica, al «rischio Grecia», e alla fine ha dato pilatescamente la responsabilità agli enti locali. Non ha convinto neanche Maria Luisa Tezza, rappresentante dell’Anci, Pdl, che con molti sorrisi gli ha ricordato la mancata introduzione del quoziente familiare. Dando atto che le misure prese sono state nel solco del governo precedente. «Il primo governo Prodi fece una finanziaria di sacrifici per l’euro – ricorda l’ex ministra Livia Turco – però non tagliò del 550% i fondi per la cooperazione». «Eppure gli italiani dimostrano di avere ancora tra le priorità gli aiuti internazionali e il sociale», dice il presidente Tesauro. Con la crisi le donazioni individuali a Save The Children sono aumentate. Abituati a fare da sé.
L’Unità 05.05.10

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