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"L'Europa a marcia indietro", di Moisés Naim

È iniziata con una tragedia greca, è proseguita con un’operetta spagnola e si potrebbe concludere con una dirompente opera tedesca. E ieri la tragedia è diventata realtà con la morte di tre persone per asfissia in una banca di Atene assaltata da manifestanti.
La crisi economica europea cresce, si diversifica e si complica. Se continua in questo modo, potrebbe mettere fine, anche in maniera drammatica, al progetto più brillante e innovativo della geopolitica mondiale: l’integrazione europea. Raggiungere l’ambizioso obiettivo di consolidare l’integrazione economica europea e di trasformare il continente in un protagonista politico coeso a livello internazionale è indispensabile per gli europei, e rappresenta uno sviluppo positivo per il resto del mondo. Se ricominciasse a dividersi, l’Europa non riuscirebbe a difendere efficacemente i propri interessi, mantenere gli standard di vita a cui i suoi cittadini si sono abituati e diventare un giocatore rilevante a livello mondiale. Purtroppo, un’Europa meno integrata ha smesso di rappresentare uno scenario così impensabile come lo era fino a pochi mesi fa.

Il post-crisi può svilupparsi in due modi: “Più Europa” e “Meno Europa”. Sarà l’ultima condizione a prevalere, a meno che non si verifichino cambiamenti drastici per tre diverse componenti: le politiche economiche dei governi; l’impunità con cui politici opportunisti, sia al governo che all’opposizione, mentono agli elettori sulla gravità della situazione e, non da meno, la condiscendenza di un pubblico propenso a ripudiare quei politici che dicono la verità. “Meno Europa” è lo scenario che sembra scaturire da una “soluzione” per la Grecia che si rivelerà insufficiente nel giro di pochi mesi, e richiederà la necessità di riproporre al paese altri aiuti finanziari.

M a questo aiuto non arriva né in tempo né in quantità sufficienti, e così il cataclisma greco diventa ancor più profondo, contamina e debilita gli altri paesi deboli dell’Europa. Spagna, Portogallo e Italia gridano ai quattro venti «non siamo la Grecia!»: si tratta di un’affermazione abbastanza precisa, che però nasconde il fatto che la loro stabilità economica sta diventando di giorno in giorno più precaria e le proprie debolezze sempre più pericolose. Nel frattempo, una Germania tanto ricca quanto restia a impiegare le proprie ricchezze per riscattare i suoi soci mediterranei interviene con decisioni tardive e insufficienti, dovute alla sensazione che il suo appoggio al progetto europeo abbia raggiunto costi ormai intollerabili per la propria popolazione. I cinesi, gli indiani, i petrolieri arabi e altri paesi ricchi di riserve monetarie smetterebbero di considerare l’euro come valuta equivalente al dollaro e, tra gli stessi paesi europei, alcuni lo abbandonerebbero.

Un clima di “si salvi chi può” e “ognuno per conto proprio” inizia ad emergere dai summit europei. Sono in molti ad applaudire la caduta di prestigio e la debolezza della burocrazia a Bruxelles, e in un video che sta spopolando in internet Lady Gaga sostituisce Lady Ashton nel suo ruolo di rappresentante della politica estera della Ue. In questo scenario, Germania e Francia continueranno ad essere paesi di notevole rilevanza nell’ordine mondiale, e la Gran Bretagna, grazie al suo rapporto privilegiato con gli Usa, potrà godere di un prestigio non giustificato dal suo ridotto potere economico. Non c’è dubbio che l’Europa continuerà ad esistere e a comportarsi come un continente apparentemente unito, economicamente sano e politicamente coordinato. Ma il resto del mondo risponderà alle sue mosse con un sorriso sornione, sapendo che provengono da un continente che è sì riuscito a superare la crisi, ma ne è uscito con meno potere di quanto ne avesse prima e molto meno di quanto ne avrebbe potuto avere.

Questo scenario è un disastro che va evitato. “Meno Europa” non è inevitabile e “Più Europa” non è soltanto auspicabile ma anche possibile. “Più Europa” non deve significare più Bruxelles, né più burocrazia, né altri vergognosi casi d’incompetenza come quelli a cui abbiamo assistito nelle scelte dei leader europei riguardo alla gestione della crisi del traffico aereo verificatasi dall’eruzione di un vulcano dal nome impronunciabile né alla patetica gestione della crisi greca.
“Più Europa” si costruisce a partire da quei leader che sanno come spiegare ai propri concittadini che i loro figli saranno condannati a standard di vita inferiori a quelli vissuti da loro, a meno che le economie europee non vengano riformate e s’integrino in modo ancor più profondo. Leader che spieghino che è necessario che l’Europa metta in pratica dolorosi aggiustamenti, riconoscendo che è insostenibile raggiungere guadagni ogni anno superiori, a meno che ogni anno non sia anche la produttività ad aumentare. Che i sindacati devono consentire più concorrenza nel mercato del lavoro e gli imprenditori in quello di beni e servizi, e che i guadagni stratosferici di alcune banche sono manifestazioni di distorsioni che devono essere corrette/compensate attraverso i prezzi pagati per le operazioni a rischio. Che da parte di tedeschi, francesi e altri che hanno accumulato immense riserve, conservare questi guadagni sotto il materasso rappresenta una strategia miope, soprattutto mentre l’Europa continua a frammentarsi, fino a rischiare, a lungo termine, di diventare contraria ai propri interessi.
Stiamo vivendo uno di quei momenti in cui il carattere, l’audacia e la visione dei leader possono modificare la direzione intrapresa dalle proprie società e cambiare la storia. L’opportunità di costruire “Più Europa” si trova lì, pronta per chi sappia approfittarne.
(Traduzione di Graziella Filipuzzi)
Il Sole 24 Ore 06.05.10