economia, politica italiana

«Ora serve più Europa», di Piero Fassino

Sono ore drammatiche ad Atene, dove l’angoscia e la paura aprono spazi a forme di ribellismo sociale, con le conseguenze terribili dell’altro ieri. La crisi ha la gravità estrema che tutti sappiamo e il rischio è che la Grecia sia solo il primo infarto di un collasso che via via si estenda ad altri paesi. È forse per questo che nelle ultime ore da Berlino, Parigi, Roma vengono segni di una consapevolezza che per troppi giorni è invece mancata. Oggi si riuniranno i capi di governo e i ministri economici dell’Eurozona e finalmente sarà varato il piano che consentirà alla Grecia di onorare i suoi debiti.
Le vicende di queste settimane offrono l’occasione per tre considerazioni. La prima è che si può stare in mezzo al guado quando l’acqua è bassa. Ma quando l’acqua sale, nel guado si rischia di essere travolti. L’Unione europea per troppo tempo è rimasta in una condizione di incertezza e gli ultimi anni – dai referendum olandese e francese, al travaglio lunghissimo con cui si è giunti al Trattato di Lisbona – hanno fortemente logorato l’Ue e la sua credibilità. Oggi sotto l’incalzare della crisi l’Europa deve decidere: se tornare indietro alla riva da cui è partita o se approdare alla riva cui tende.
Il processo di integrazione europeo che è stato costruito in 50 anni non è più sufficiente per affrontare i processi di globalizzazione. Abbiamo una moneta unica, abbiamo un mercato unico, ma non abbiamo una politica economica coordinata fra i paesi europei, né abbiamo una politica fiscale comune. La proposta del Fondo monetario europeo si è arenata. Non abbiamo un mercato del lavoro governato da regole omogenee, così come ogni paese tende ad affrontare i problemi dello stato sociale con politiche fiscali e di finanza pubblica nazionali.
Tutto questo manifesta una debolezza strutturale che mette a repentaglio il processo di integrazione e abbiamo davvero la necessità di trarre da questa crisi un’unica conseguenza: va bandita qualsiasi suggestione alla rinazionalizzazione delle politiche, che nel tempo della globalizzazione sarebbe la scelta più sbagliata. Dalla crisi si esce non con l’Europa minima, ma con la massima Europa possibile. Non con meno Europa, ma con più Europa.
È questa la ragione per cui abbiamo guardato con apprensione alle incertezze tedesche, che hanno rivelato un inquietante rischio di ripiegamento. Sappiamo che non c’è Europa unita senza la Germania; ma la Germania a sua volta deve sapere che, anche se è il più grande paese di questo continente, da sola non sarebbe in grado di farcela.
Serve un’Europa che si muova insieme e in grado di portare con forza il suo processo di integrazione a stadi più avanzati.
La seconda considerazione riguarda l’Italia. Pur non essendo immune da rischi, il nostro paese appare oggi in una condizione di stabilità maggiore: ebbene ciò è merito anche delle politiche fatte dal governo Prodi e dal ministro Padoa Schioppa, contro cui la destra ha ingenerosamente sparato per molto tempo.
Nel 2006 il governo Prodi, di cui Padoa Schioppa era ministro, ereditò dalla destra una procedura di infrazione a cui l’Italia era esposta per lo sforamento del deficit pubblico e ricordo che quando, due anni dopo, Prodi lasciò palazzo Chigi, consegnò all’attuale governo un avanzo primario di 3,3 punti, un debito pubblico in riduzione, un deficit sotto controllo e un tasso di crescita dignitoso. Ed è tutto ciò che ha consentito a Tremonti – che ha finalmente capito che da quelle politiche non doveva discostarsi – di mettere l’Italia in una condizione di maggiore forza. Sarebbe intellettualmente onesto – e do atto al ministro Tremonti di averlo fatto qualche volta, negli ultimi mesi – riconoscere i meriti di Prodi e dei suoi ministri.
Infine, la terza considerazione: una condizione di stabilità finanziaria maggiore è essenziale, ma può non bastare.
L’Italia continua ad avere una spesa pubblica che cresce anno dopo anno e continuiamo a essere il paese con il minore tasso di crescita dell’Unione europea. In altri termini, stiamo mangiando le poche risorse che abbiamo per mantenere una spesa pubblica alta, mentre non spendiamo per investimenti e per sostenere la crescita, né per creare lavoro e tutelare i redditi. E così non stiamo accumulando le risorse necessarie per ridurre il debito, né per finanziare lo sviluppo. E tutto questo si traduce in maggiore disoccupazione e criticità sociale.
Per questo motivo, dalle vicende di queste settimane vanno tratte due scelte: l’Italia sia determinata nel sostenere politiche europee – serve più Europa e non meno Europa di fronte alla crisi – e lo faccia in tutte le sedi, abbandonando definitivamente ogni forma di diffidenza o scetticismo verso l’integrazione europea. In secondo luogo, alle politiche di stabilità finanziaria fin qui perseguite si accompagnino finalmente politiche di sostegno alla crescita, di creazione di lavoro e di tutela sociale. Bisogna fare molto di più se si vuole garantire al nostro paese di essere meno a rischio.

da Europa

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Fassino: «Tremonti ringrazi Prodi se l’Italia non è come la Grecia», di Andrea Carugati
«Sono state le scelte di rigore di Prodi e Padoa-Schioppa a garantire all’Italia la stabilità finanziaria che ora ci mette al riparo dai rischi della Grecia, del Portogallo e della Spagna. E Tremonti, dopo aver definito quelle politiche irresponsabili, ne ha ottenuto grandi benefici e, contraddicendo se stesso, le ha proseguite». Piero Fassino guarda alla crisi greca e ai suoi riflessi per l’Europa e per l’Italia con lo sguardo di un europeista convinto, assolutamente non pentito. «Da questa crisi si uscirà solo con più Europa, andando oltre la moneta unica, non certo con dei passi indietro. Ora servono politiche economiche e fiscali coordinate, regole comuni nel mercato del lavoro, un Fondo monetario europeo».

Come valuta l’azione dell’Europa e dell’Italia nella crisi greca?
«Nelle ultime 48 ore è emersa una maggiore consapevolezza nell’Ue, le troppe incertezze delle ultime settimane sono state lasciate alle spalle e si è dato corso al piano di aiuti che consentirà alla Grecia, il 18 maggio, di pagare un notevole stock di interessi sui titoli in scadenza. Questa decisione poteva essere presa nelle settimane scorse. Ma c’è stato un forte rischio di sottovalutazione, soprattutto in Germania e Francia, dell’impatto drammatico che avrebbe avuto un abbandono della Grecia al suo destino. Sarebbe stata la dimostrazione che l’Europa non era in grado di difendere il suo processo di integrazione. La crisi ci dice che i paesi dell’Europa sono legati da un destino comune, nessuno può credere che se un pezzo di Europa è in crisi è un problema solo di quel paese, si è deciso di intervenire per evitare che il collasso di una parte portasse al collasso del tutto».

L’Italia corre dei rischi?
«Nessuno è immune, c’è il rischio che l’ondata speculativa colpisca il Portogallo e anche la Spagna, con un impatto ancora più drammatico. L’Italia ha dei fattori di maggiore stabilità, a partire dalle banche, da un apparato produttivo sano e da un debito pubblico contratto in gran parte all’interno e non con l’estero. Ma questi fattori non bastano, visto che abbiamo anche il debito più alto d’Europa e la crescita più bassa e che il governo non si sta muovendo per ridurre il debito e per finanziare lo sviluppo».

Però è difficile ridurre il debito e contemporaneamente investire…
«Non è impossibile e negli anni del centrosinistra lo si è fatto. Bisogna controllare la spesa pubblica, ridurre l’evasione fiscale e sollecitare le banche a mettere in campo risorse per rilanciare gli investimenti. E invece questo governo sta fermo: nessun intervento sulle opere pubbliche, nessuna riforma degli ammortizzatori sociali, nessun investimento su scuola e ricerca. Senza crescita, la stabilità finanziaria non è sufficiente».

Lei loda l’intervento dell’Ue per la Grecia. Ma se dovessero saltare anche Spagna e Portogallo ci sarebbero le risorse per tamponare anche queste falle?
«Le conseguenze sarebbero drammatiche, per questo l’Unione deve dare dei segnali chiari: non tollerare aggressioni speculative nei confronti dei paesi più deboli».

In Grecia la crisi ha risvolti sociali pesantissimi, con rivolte e violenze. È uno scenario che si può allargare anche ad altri paesi?
«La crisi può portare fenomeni di ribellione sociale e questo è un pericolo che ci riguarda tutti. Per questo l’Europa deve governare la crisi con piglio deciso, senza incertezze. E il nostro governo dovrebbe mettersi alla testa di questo processo, abbandonando definitivamente ogni forma di scetticismo e diffidenza verso l’Europa».

Teme il diffondersi di sentimenti antieuropei anche in Italia?
«C’è stata in questi anni una propaganda falsa e dannosa della destra populista che ha attribuito ogni problema all’Europa: dalla concorrenza cinese all’afflusso di immigrati. Ma sono messaggi falsi, perché davanti a giganti come Usa, Cina e India nessun paese europeo da solo può farcela. E non ci si può difendere certo con i dazi, ma solo rendendosi più competitivi dei cinesi. E per farlo l’Europa deve unire il suo potenziale finanziario, tecnologico e di capacità produttiva».

A chi teme per i propri risparmi lei cosa si sente di dire?
«Che l’euro ha salvato il valore dei redditi e delle pensioni. Con la lira oggi avremmo un’inflazione 3-4 volte superiore e se tornassimo indietro il valore dei nostri risparmi andrebbe rapidamente in fumo. Solo un euro forte può tutelarci».

L’Unità 07.05.10