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"Quando manca la politica", di Tito Boeri

E’ stata quella di ieri un’altra giornata di grande nervosismo sui mercati finanziari.
Non solo in Europa, ma anche oltre Oceano. Si teme il contagio della crisi greca attraverso un nuovo collasso del sistema finanziario con epicentro questa volta nel Mediterraneo anziché negli Stati Uniti. Moody´s aveva lanciato in mattinata un allarme sul rischio di effetti-domino sul sistema bancario «non solo di Portogallo e Spagna, ma anche di Irlanda, Regno Unito e Italia». La nota dell´agenzia di rating è stata accompagnata da un ulteriore calo dei nostri titoli bancari. La capitalizzazione di borsa di Unicredit, Intesa-San Paolo e Mediobanca si è ridotta di un quarto nell´ultimo mese, trascinando verso il basso Piazza Affari. Tutto questo nonostante le ripetute rassicurazioni di Banca d´Italia sulla solidità del nostro sistema bancario e sul «basso debito complessivo di famiglie, imprese e Stato» nel nostro paese.
Cosa preoccupa gli investitori? E perché le rassicurazioni di Banca d´Italia non sembrano sufficienti a placare questi timori? Il problema non è tanto legato all´esposizione delle banche italiane nei confronti dei titoli di stato della Repubblica Ellenica. Per fortuna questa esposizione è limitata a 5 miliardi, secondo le stime della Bri, vale a dire a un settimo del valore nominale dei titoli greci detenuti dalle banche tedesche, che hanno subito in queste settimane diminuzioni dei loro corsi azionari più contenute di quelle patite dalle banche italiane.
I timori degli investitori riguardano soprattutto la tenuta del debito pubblico italiano, i cui titoli formano una parte preponderante del patrimonio delle nostre banche. Se anche l´Italia dovesse incontrare forti difficoltà nel trovare compratori nelle aste dei titoli di stato, il nostro sistema bancario rischierebbe di venire travolto dalla crisi del debito, come successo in Grecia, il cui sistema bancario è sopravvissuto nelle ultime settimane solo grazie ai continui interventi di rifinanziamento della Bce.
La differenza fondamentale fra la Grecia, lo stesso Portogallo, e l´Italia è, tuttavia, che il debito pubblico da noi è compensato da un forte risparmio privato (il risparmio nazionale è pari a quasi un quinto del nostro prodotto interno lordo). Ciò significa che per finanziare il nostro debito pubblico non abbiamo necessariamente bisogno, come altri paesi, di attrarre capitali dall´estero, dunque non dobbiamo per forza bussare alla porta di investitori stranieri che possono essere molto riluttanti a esporsi verso il Mediterraneo in questi frangenti. Possiamo, invece, farcela anche da soli attingendo ai risparmi delle famiglie e delle imprese italiane. Giusto, dunque, rimarcare, come fa Banca d´Italia, che il debito privato, di famiglie e imprese, è in Italia relativamente contenuto e compensa l´alto debito pubblico. Ma ai mercati queste rassicurazioni non sembrano bastare, forse perché non è la Banca d´Italia che può attivare i risparmi di imprese e famiglie e indirizzarli, in caso di necessità, al finanziamento del nostro debito. Sono interventi alla portata dei governi, che possono agire in questi casi riducendo la spesa pubblica, i trasferimenti al settore privato, o aumentando la raccolta fiscale, per rendere il debito sostenibile.
Per rassicurare i mercati servono, dunque, atti politici, non rassicurazioni tecniche, per quanto corrette e autorevoli. Il nostro governo ha tenuto ben stretti, soprattutto nella prima fase della crisi, i cordoni della borsa, lasciando che questa avesse effetti pesanti sull´economia (il Pil è calato di più da noi che in tutti i paesi del G20 ad eccezione del Giappone, nonostante il nostro paese non sia stato investito da grandi crisi bancarie o dallo scoppio di una bolla immobiliare). Questo ci porta ora ad avere un deficit pubblico relativamente contenuto rispetto a quello degli altri paesi nel mirino dei mercati. E´, in questa congiuntura, un vantaggio importante, di cui dobbiamo essere riconoscenti al nostro ministro dell´Economia. Ma questo vantaggio rischia di rivelarsi effimero in assenza di un piano realistico di rientro del debito. La Relazione Unificata sull´Economia e la Finanza Pubblica presentata proprio ieri dal governo, invece, lascia che il nostro debito pubblico si stabilizzi ai livelli record del 1992, e questo in presenza di stime della crescita tendenziale (in assenza di nuove misure di politica economica) che, alla luce della crisi greca, appaiono troppo ottimistiche .
Per abbattere il debito pubblico bisogna sostenere la crescita varando le tante riforme, per lo più a costo zero per le casse dello Stato, che servono a migliorare il funzionamento del nostro mercato del lavoro, del nostro sistema educativo, ad allungare la vita lavorativa e a rendere più spessi i mercati dei servizi e delle professioni. Sono riforme di cui si discute da anni e che vanno varate al più presto sulla spinta dell´emergenza nazionale. Serviranno a rassicurare i mercati anche se sappiamo già che non hanno effetti immediati sulla crescita. I dubbi sulla tenuta del nostro paese riguardano, infatti, soprattutto il medio periodo.
Ma oggi il governo pensa ad altro. L´unica riforma su cui sembra davvero impegnato, anche a seguito della crescente forza politica acquisita dopo le elezioni amministrative dalla Lega, è il federalismo fiscale. Vuole questa volta fare sul serio per potersi presentare fra tre anni con un trofeo da esibire agli elettori. E´ una riforma che in altri paesi ha portato a forti peggioramenti dei conti pubblici. Legittimo, dunque, il timore, che qualcosa di simile possa avvenire anche da noi, in considerazione dell´irresponsabilità fiscale mostrata da molte amministrazioni decentrate.
Il nostro ministro dell´Economia ha più volte sottolineato che il nostro federalismo fiscale porterà a migliorare i conti pubblici, ma sin qui non ha voluto fornire alcuna cifra sulle implicazioni di finanza pubblica dell´attuazione della legge delega. Questo continuo rinvio alimenta i sospetti, come da molto tempo rimarcato da Luigi Guiso su www.lavoce.info, che il rigore mostrato sin qui dal nostro Ministro dell´Economia fosse volto unicamente a mettere fieno in cascina, risorse da spendere per realizzare il federalismo fiscale, nella consapevolezza che questo sarebbe stato “un bagno di sangue” per le casse dello Stato.
Per questo oggi il Governo ha il dovere di rendere pubblici subito i conti del federalismo fiscale. È un´informazione fondamentale per rassicurare i mercati. Se non è in grado di farlo o se le stime di cui dispone indicano un peggioramento dei saldi di bilancio, bene che l´esecutivo chiarisca subito che intende rinviare questa riforma a tempi migliori. Meglio affidare questo annuncio non solo al ministero dell´Economia, ma anche a Umberto Bossi. Lo renderebbe più credibile e mostrerebbe a tutti gli italiani che la Lega è un partito che ha a cuore la stabilità della nostra economia e del nostro paese.

La Repubblica 07.05.10