memoria, politica italiana

«Noi, portatori sani di memoria con il nome dei nonni mai conosciuti», di Giovanni Bianconi

«Piacere, Aldo Moro». «Ma… è parente?».
«Sì, sono il nipote». L`ha dovuto ripetere tante volte, e crescendo l`orgoglio della sua risposta aumentava. Perché prima ha imparato a voler bene al nonno mai conosciuto, poi all`uomo politico strappato all`Italia col sequestro del 16 marzo 1978, la strage degli uomini della scorta, fino all`omicidio del 9 maggio.

Dieci anni dopo, nel 1988, è nato un altro Aldo Moro, figlio del figlio dello statista assassinato dalle Brigate rosse, che oggi fa il grafico, è contento di portare quel nome e non prova alcun imbarazzo di fronte a chi gliene chiede conto:

«E un onere che non mi pesa, posso affermare che i miei genitori non hanno commesso alcun azzardo a chiamarmi così. Sono lieto di evocare una persona tanto particolare e una storia che non ho vissuto personalmente, ma che interessa tutti; molti compagni di scuola hanno deciso di documentarsi sulla figura e la vicenda di mio nonno dopo avermi conosciuto».

II 9 maggio la Repubblica italiana celebra la giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Il giovane Aldo Moro si definisce «un portatore sano di memoria»: non si sente vittima ma testimone della traccia lasciata dal nonno nella famiglia di cui è parte e dall`uomo politico nella sua attività pubblica. «Mi piacerebbe stimolare chi m`incontra e mi conosce – dice – a informarsi, a decidere di scavare più a fondo, a non essere portatore di rancore.

Questo per me è il significato della memoria».

Anche Vittorio Occorsio, 22 anni, studente di Giurisprudenza prossimo a una laurea in tempi record, è fiero di chiamarsi come il sostituto procuratore di Roma assassinato il 1o luglio 1976 da un commando neofascista. Suo nonno. «Ho cominciato a scoprire da dove vengo – ricorda – quando un compagno delle elementari, istigato dal padre, mi domandò se avevo a che fare con il magistrato ucciso dai terroristi. Io non lo sapevo. Tornai a casa e chiesi a papà, che iniziò a raccontarmi qualcosa».

Con pochi particolari e un pudore rimasto intatto negli anni a seguire, fin quando quel bambino è diventato grande e ha deciso di approfondire il sacrificio del nonno: «Un po` mi spaventa la missione di dover coltivare la memoria di una storia rimasta laterale rispetto ai racconti sul terrorismo, ma lo faccio volentieri come posso. Perché penso che ci siano ancora tante cose da sapere da dire».

Vittorio Bachelet, è appena più adulto, ha 25 anni, ma nemmeno lui ha conosciuto il nonno che portava lo stesso nome, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ucci- so dalle Brigate rosse il 12 febbraio 1980. Lui la laurea in Legge l`ha già presa, e adesso si reca spesso in carcere per aiutare alcuni detenuti a studiare il diritto: «Quella del nonno è una presenza che ho sempre avvertito per le foto che vedevo in casa, i libri, i racconti di nonna e di papà. Una presenza viva, anche sedi luce riflessa.

Crescendo ho acquisito la consapevolezza che era una persona importante non solo per la famiglia ma anche per molte altre persone, e questo me l`ha reso ancor più ammirevole. Sotto certi aspetti chiamarmi come lui m`intimorisce, ma soprattutto mi stimola ad esserne degno.

A incamminarmi sul sentiero del servizio verso il prossimo, indicato da quella luce che non si spegne mai».

Tre nipoti di tre «servi dello Stato» eliminati dal piombo di quegli anni, divenuti testimoni involontari per via della carta d`identità che evoca una stagione buia, piena di conflitti e vite spezzate. Il giudice Vittorio Occorsio controbatteva definendosi servitore della legge, non del potere, come piace ripetere al nipote: «Ho letto ciò che sosteneva e scriveva, e ho potuto apprezzarne il fortissimo senso di appartenenza alle istituzioni. Anche quando si rese conto che le sue indagini sulla strage di piazza Fontana erano state depistate da altri soggetti delle stesse istituzioni. Se ancora oggi non sappiamo chi ha armato la mano degli assassini, forse, è perché qualche responsabilità della sua morte si annida pure nello Stato».

Aldo Moro dissente dalla visione degli anni Settanta confinata al piombo: «Non saranno stati luminosi, ma nemmeno soltanto bui.

Quel periodo ha prodotto grandi cambiamenti, alcuni molto positivi, di cui oggi possiamo beneficiare. C`è stata la violenza politica, certo, e coltivare la memoria significa anche rendersi conto di dove il Paese è stato condotto dall`incertezza giovanile e dalla brutalità con cui si sceglievano certi ideali. Era un periodo di teste calde, mentre oggi prevalgono le teste piatte. Forse una via di mezzo non sarebbe male, e credo che lo penserebbe anche nonno Aldo».

Sull`omicidio del proprio nonno, Vittorio Occorsio ha letto carte e ascoltato il racconto diretto degli inquirenti. I risultati lo soddisfano soltanto a metà. Forse meno: «Non si sono scoperti i mandanti, ed è ridicolo pensare che non ce ne siano. Non sono così scemo da credere che Pierluigi Concutelli (il killer di Ordine nuovo condannato all`ergastolo, ndr) abbia deciso quell`azione da solo per vendetta». Anche perché il lavoro di Occorsio non si limitava al gruppo neofascista di cui faceva parte Concutelli, ma stava seguendo le prime tracce di pote- ri occulti, come la Loggia segreta P2, che si sarebbero scoperti dopo la sua morte. «Ci sono aspetti del terrorismo di destra rimasti oscuri – dice il giovane Occorsio -, le sentenze non li hanno chiariti, sebbene io su certi personaggi abbia emesso le mie. Credo che non ci sia la giusta percezione di ciò che è accaduto in quegli anni, e non solo tra noi ragazzi. Per questo sento il peso della testimonianza, ma a volte mi viene il dubbio se debba essere io a portarlo.

Forse toccherebbe prima ad altri, a cominciare dai politici che allora erano al potere e da quelli arrivati dopo ma cresciuti in quella stagione».

Sul «caso Moro» e quello che s`è scoperto in oltre trent`anni di processi, inchieste e testimonianza, il nipote che si chiama come la vittima si considera un «insoddisfatto propositivo»;

non un contestatore a oltranza delle ricostruzioni ufficiali, ma nemmeno un rassegnato ai buchi neri: «E una vicenda sulla quale si devono ancora scrivere capitoli importanti. Negare che tante cose siano state taciute dagli uni e dagli altri protagonisti, delle Br e dello Stato, sarebbe assurdo. Ma questo non mi turba più di tanto, è una situazione che vivo con serenità.

Fin da bambino ho respirato un`aria di ingiustizia per quello che è successo a mio nonno e che hanno subito mia nonna, mio padre e le mie zie, ma crescendo si cambia e si diventa propositivi. Con un nome e radici diverse sarei stata una persona diversa, ma oggi sono contento di essere quello che sono, il nipote di Aldo Moro. Con tutto ciò che ha comportato e comporta».

I brigatisti che hanno rapito e ucciso il presidente della Dc, a parte un paio di casi, sono tor-.

nati liberi. «Ci sono fatti che mi disturbano molto di più – commenta il nipote -. Se le leggi e i processi hanno stabilito così vuol dire che così doveva essere. Ed è consentito che queste persone parlino, scrivano, perfino che tengano conferenze. Non è uno scandalo, semmai in certe situazioni è una questione di buono o cattivo gusto. Parlare è un diritto, non una concessione, e interpellare è un dovere.

Poi c`è modo e modo di farlo. È giusto che ci siano vittime che contestano questa situazione, ed è giustificata la polemica nei confronti degli ex terroristi. Ma io non ne faccio parte».

Il padre del giovane Vittorio Bachelet, Giovanni, ai funerali del suo papà recitò una preghiera per gli assassini che l`avevano ucciso, rimasta famosa. «Senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare – disse nel silenzio della grande chiesa -, perché sulle nostre bocche ci sia sempre il per- dono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Suo figlio Vittorio ne parla come di un episodio «straordinario ma normale», e spiega: «Non era una sfida per ostentare grandezza o diversità, ma una preghiera spontanea, scaturita dai sentimenti che mio padre provava in quel momento. E io sono contento di essere stato educato con quell`impostazione e quei valori». Quanto agli ex terroristi in libertà, Vittorio che non ha voluto approfondire più di tanto l`omicidio del nonno «perché un po` mi spaventa, anche se mi tranquillizza sapere che è stato ucciso un uomo buono», dice: «Credo che il nonno sarebbe contento di sapere cbe la vita tolta a lui è stata restituita ai suoi assassini. In fondo è la vittoria della democrazia e della civiltà, che lui ha servito attraverso il proprio lavoro e il servizio offerto alla comunità». Incontrarli, però, gli farebbe impressione: «Anche sconcerto, penso.

Quello che m`ha sempre colpito è immaginarli a studiare le abitudini quotidiane di un uomo prima di ucciderlo. È qualcosa che toglie umanità a chi lo fa. Spero che oggi siano consapevoli che lo Stato che volevano abbattere gli ha consentito di tornare a vivere; per loro potrebbe essere una sorta di resurrezione».

Sulla redenzione degli assassini del nonno, Vittorio Occorsio la pensa diversamente: « È un bel punto di vista, ma non mi appartiene. Sin – ceramente del destino di Concutelli, di quello che racconta e non racconta, mi interessa poco o nulla. Io non devo perdonare nessuno, per fortuna. E non sopporto il pietismo verso i terroristi, al pari di quello nei confronti delle vittime.

Noi nipoti non abbiamo subito il peso diretto della sofferenza imposta dagli assassini, come invece è toccato a mio padre, perciò dobbiamo avere la lucidità e la fermezza per affrontare una questione che comunque ci riguarda.

Questo vuol dire essere portatori sani di memoria, senza avallare ricostruzioni superficiali o di comodo; se la memoria dovesse diventare strumentale, ad usum delphini, sarebbe persino meglio l`oblio. Anche per salvaguardare il nome che porto. Non perché è il mio, ma perché è quello di mio nonno, ucciso per difendere questo Stato»

dal Corriere della Sera