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"Veltroni: no a scissioni, siamo tra quelli che hanno fatto nascere il Pd"

Nessuna scissione, «non potremmo mai scinderci perché siamo quelli che ci credono di più, quelli che lo hanno fatto nascere». Così Walter Veltroni ha detto alla “minoranza” parlando al seminario di Area Democratica. «Non possiamo continuare – ha aggiunto – con i conservatorismi», ma serve che il Pd mantenga la sua identità, quel Pd che «forse abbiamo messo troppo tempo a fare ma a nessuno è permesso di disfare».

«L’idea di fare un partito pesante in una società frantumata come quella di oggi è sbagliata», ha spiegato l’ex segretario nel suo intervento al seminario di Area democratica a Cortona. La mozione di Pier Luigi Bersani proponeva «l’alleanza con l’Udc e il ritorno al partito con la P maiuscola», ha ricordato. Quanto ai rapporti con l’Unione di centro, «ieri già il professor Dalimonte ci ha spiegato l’esito». Quanto invece alla forma di partito, per Veltroni «ci vuole un partito moderno, aperto, capace di interpretare un bisogno reale. Non ci sono scorciatoie, nè Cln che i nostri partner non vogliono».

Dunque, ha insistito, «dobbiamo pensare a noi stessi come riformisti e ci sarà una volta che potremo diventare maggioranza», ha assicurato. Del resto è accaduto in Gran Bretagna con David Cameron ed è accaduto in Grecia. «Se non facciamo questo, se non abbiamo il coraggio di investire su una sfida riformista, pagheremo un prezzo molto alto», ha ammonito.

Dunque, no al ritorno all’Unione: «Se noi rispondiamo solo, di nuovo, con una coalizione puramente e semplicemente antiberlusconiana, sbagliamo di nuovo. Dobbiamo avere il coraggio di un respiro lungo, Enrico Berlinguer avrebbe detto di un pensiero lungo».

La linea uscita dal «congresso oggi va vista in un’altra luce». Una linea che va vista sotto una nuova luce perchè, spiega, si fondava su due punti essenzialmente: l’alleanza con l’Udc e «partito con la ‘p’ maiuscola».

In Italia, ha continuato, è in atto uno «scardinamento dell’opinione pubblica» facendo in modo che «si abitui a tutto». Veltroni ha citato ad esempio la telefonata tra Fassino e Consorte che sarebbe stata ascoltata dal premier. «Se fosse vero – ha detto – che il presidente del Consiglio ha ascoltato una registrazione» che gli veniva offerta per motivi di ricatto «di un leader dell’opposizione per di più di un gentiluomo come Fassino saremmo di fronte a qualcosa di gigantesco, qualcosa che in altri Paesi europei avrebbe portato a gravi problemi istituzionali, siamo oltre i confini della democrazia, delle regole del gioco, siamo alla mitridatizzazione». Per questo, secondo Veltroni, è necessario che il Pd si difenda lanciando la sua sfida che deve essere basata su «innovazione e conquista».

Poi sul governo: Silvio Berlusconi non resisterà tre anni senza andare a votare. «Sono convinto – dice – che Berlusconi non è in grado di reggere tre anni senza elezioni: non è un presidente del Consiglio, è uno straordinario organizzatore delle proprie campagne elettorali, ma non gli chiedete di occuparsi dei problemi del Paese». Inoltre, aggiunge, ci sono altri motivi che lasciano pensare ad una fine anticipata della legislatura: «La lega vuole incassare oggi, e Berlusconi può pensare di voler dare un colpo a Fini».

Parla anche di Fini: «Faremmo un torto gravissimo a Fini se cercassimo di dire all’opinione pubblica che è diventato un pezzo di centro sinistra: lui è il leader possibile di una destra moderata».

da www.unita.it

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Pd, la minoranza vuole la svolta riformista: «Se non ora, quando», di Maria Zegarelli
Se non ora quando? Dario Franceschini cita Primo Levi per dettare il passo alla convention di Area Democratica in corso da ieri a Cortona per ridefinire il peso specifico della componente dentro il partito e il profilo che il partito stesso dovrebbe darsi.
Non è una messa in discussione della leadership di Pier Luigi Bersani, ma della sua linea politica senza dubbio sì e non è neanche più l’ispirazione del Lingotto, «ormai siamo oltre», come dice uno dei suoi collaboratori.
Questo è il momento di un cambio di passo verso la svolta riformista, per la risalita nei consensi, «le regionali hanno dimostrato che siamo al punto più basso». L’ex segretario rivendica quel milione di democratici che al congresso hanno scelto la sua mozione e ricorda che «il partito è di tutti, di chi ha vinto e di chi ha perso insieme».
E chissà che Cortona 2 – dove stavolta arriva anche Franco Marini e Beppe Fioroni segue i lavori dall’inizio – non diventi anche lo sfondo su cui costruire nuove intese tra chi ha perso. Ignazio Marino è qui, «possiamo lavorare insieme», dice Franceschini, e le due mozioni insieme fanno il 48%, complicato non tenerne conto, soprattutto in vista dell’Assemblea nazionale.

PRIMARIE IRRINUNCIABILI
Un punto su cui sono entrambi d’accordo riguarda le primarie: il leader della coalizione di centro sinistra si sceglie con le primarie, «sono irrinunciabili, un pezzo della nostra ragione sociale. Non si può affidare al veto di uno qualsiasi dei partiti di una futura colazione la possibilità o meno di fare le primarie» dice l’ex segretario. Né si può continuare con lo «stucchevole» dibattito interno sul terremoto che sta squassando il Pdl: «Gianfranco Fini pone questioni molto serie» a cui il Pd non può essere indifferente,«ma Fini è e resterà un nostro avversario». Poi arriva ai cinque pilastri sui cui puntellare le riforme: una sola Camera legiferante che dà la fiducia al governo; un Senato federale e delle autonomie, con relativa diminuzione dei parlamentari; più poteri di controllo per il Parlamento; più poteri al presidente del Consiglio e contestuale «rigorosa» legge sul conflitto di interessi; una legge elettorale che spinga al bipolarismo e che ripristini i collegi uninominali.
Ma il vero nodo che resta da sciogliere è la «riforma» interna del Pd e se Franceschini getta un ponte – «c’è stata lealtà fin dal giorno del congresso, anche quando sarebbe stato facile assaltare la diligenza», «basta pensare alla Puglia» o alla Calabria, «dove chiedo un immediato commissariamento con un dirigente di alto profilo» – non rinuncia a lanciare l’ultima chiamata. «Dentro il partito – dice – mai una identità deve prevalere sulle altre e le regole dello statuto devono impedire che questo avvenga, perché non c’è nulla di più pericoloso del senso di estraneità». Fioroni, per citarne uno, è tra quelli che scalpitano. Pierluigi Castagnetti getta acqua gelata sulla platea riunita nel centro congressi Sant’Agostino: «Si può anche parlare di legge elettorale e conflitto di interessi, ma noi siamo minoranza e questi sono temi lontanissimi dalla maggioranza». Meglio sarebbe parlare di Europa, di crisi mondiale e di rischio di voto anticipato: «La maggioranza è sul precipizio e il Pd non è pronto. L’attuale gruppo dirigente, tutto, e non si offenda chi è qui, non è in grado di affrontare questo passaggio».

«IL DISARMO DELLE DIVISIONI»
E se «Bersani non se ne rende conto, noi dobbiamo chiudere e offrire il disarmo delle divisioni ereditate dalle ultime primarie». Sarebbe pericoloso «se passeranno le idee di chi vuole riarticolare il paesaggio politico. Non c’è chi se ne vuole andare, ma si ritiene giusto che qualcuno se ne vada per riarticolare il paesaggio politico. Questa è una sciagura». Disarmare «le organizzazioni », è la sfida alla maggioranza che, aggiunge, «sono certo dirà di no perché è talmente fragile da tenere in piedi una barriera che blocca qui a Cortona le nostre idee». Il veltroniano Walter Verini, rivendica lo spirito del Lingotto, la vocazione maggioritaria e la coincidenza tra la leadership del partito quella della coalizione. Quanto ad Ad «anche noi dovremmo fare un cambio di passo, perché alle ultime regionali siamo stati caratterizzati per la battaglia per le liste, la cannibalizzazioni delle preferenze»

da L’Unità