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"La grande truffa siciliana dell’eolico senza vento", di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

Intascati gli incentivi verdi, nella valle di Mazara tutte le pale ora sono ferme. Chi gira a mille è Sgarbi: dal museo sulla mafia alla mostra «W Garibaldo»

Ferma. Ferma. Ferma. Ferma. Ferma. Non ce n’è una, nella selva di immense pale eoliche stagliate nel cielo della stupenda valle di Mazara, che accenni a muoversi sotto un refolo di vento. Non una. Don Chisciotte, che nel romanzo di Cervantes si scaglia lancia in resta ammonendo i mulini «potreste agitar più braccia del gigante Briareo, che me l’avete pur da pagare », non correrebbe alcun rischio, qui, di finire rovesciato a gambe all’aria. «Mai: non si muovono mai», maledice Vittorio Sgarbi, che il bidone dell’eolico in Sicilia lo ha denunciato da un pezzo, «Peggio: se anche si muovessero e producessero energia, quelli di Terna, che gestiscono la rete, hanno detto che non sarebbero in grado di prenderla e redistribuirla ». Eppure, per tirar su questi bestioni giganteschi, hanno sventrato i fianchi delle colline, devastato i crinali, annientato ettari ed ettari di vigne in tutta la valle, tutto il Belice, tutta la Sicilia. Anche a ridosso di aree di pregio altissimo dove aziende modello come Donnafugata, Pellegrino o Tasca d’Almerita tentano tra mille difficoltà di tenere alto con prodotti di eccellenza l’onore dell’isola.

Uno sconcio. Sia chiaro: quella dell’eolico è una fonte di energia alternativa che un Paese che dipende in modo eccessivo dall’estero non può trascurare. Ma c’è modo e modo. Luogo e luogo. Vento e vento. E la storia del boom di questi ultimissimi anni dice che l’ultimo dei problemi che si sono posti molti investitori è quello di produrre sul serio energia nel modo giusto, nel posto giusto, col vento giusto. Lo dimostra una tabella di Terna sull’attività degli impianti in Europa: le pale girano mediamente per 1880 ore in Danimarca, 1960 in Belgio, 2000 in Svizzera, 2046 in Spagna, 2067 in Olanda, 2082 in Grecia, 2233 in Portogallo. Sapete quante ore, da noi? Solo 1466. E la media siciliana, spiegano gli esperti, è ancora più bassa. E allora come mai Terna ha domande di connessione alla rete per il solo eolico pari a 88.171 megawatt, cioè una volta e mezzo la punta massima del consumo italiano, che è di 56.000 megawatt? L’Anev, che riunisce i produttori di energia eolica, stima che al massimo la produzione nel 2020 potrà raggiungere nel nostro paese 16.000 megawatt. Dieci anni prima già ci sono domande per 5 volte quel totale. Altra domanda: come è possibile che la potenza installata in Sicilia sia di 1.140 megawatt, cioè più di un quarto del totale italiano? Che senso c’è a installare pale a vento dove non c’è vento?

Il segreto è negli incentivi elevatissimi per le energie rinnovabili. Nettamente superiori alla media europea. Dice un rapporto dell’Autorità dell’energia che nel 2009 il costo totale per la spinta alle fonti rinnovabili, come l’eolico e il fotovoltaico, avrebbe superato i 2 miliardi di euro, per salire di questo passo a 3 miliardi quest’anno, 5 nel 2015 e 7 nel 2020. Chi paga? Semplice: gli utenti, sulle bollette. Che già sono le più care d’Europa a causa della scelta scellerata di dipendere dal petrolio e dal gas, e diventano ancora più care, paradossalmente, via via che aumenta la componente delle fonti rinnovabili. Introdotti nel ‘99 dal governo di centrosinistra con la durata di otto anni, gli incentivi sono stati poi portati a 12 e quindi, con l’ultima finanziaria Prodi, addirittura a 15. Il che significa che chi tira su una pala non solo becca un incentivo, ma lo becca per tre lustri dal momento in cui comincia a girare. Se gira. Il meccanismo è un po’ complesso. Si basa sui cosiddetti certificati verdi, dei veri e propri titoli che si vendono e si comprano alla borsa elettrica. Spiegare la cosa nei dettagli porterebbe via ore. Basti sapere che mediamente questi certificati verdi cui hanno diritto i produttori valgono 80 euro a megavattora. Ai quali vanno aggiunti i soldi che lo stesso produttore incassa per l’energia venduta al sistema e immessa in rete. Una somma che varia fra 60 e 70 euro a megavattora nella media italiana ma che in Sicilia sale fino a 90-100 euro. Risultato finale: fatti tutti i conti, l’installazione e la manutenzione d’una pala media costa un milione in Danimarca (lo stato europeo che più ha investito sull’eolico) e può arrivare a costare in Sicilia, in 15 anni di vita, il quadruplo: quattro milioni.

C’è poi da stupirsi se la corsa all’energia del vento, anche quando appare insensata, continua? Anche là dove i cavi di Terna non sono in grado di sopportare il carico elettrico, come spesso accade lungo la dorsale appenninica meridionale, con punte di crisi paradossali in Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia? Direte: niente energia fornita, niente soldi. Macché: i produttori hanno comunque diritto al saldo per l’energia che «avrebbero prodotto se…» E anche questo si scarica sulle bollette. Quanto ci costa? Boh… I certificati verdi non sono disaggregabili per tipologia di fonte d’energia. Ma le cifre contenute a gennaio nella segnalazione dell’Authority al governo lasciano basiti: nel 2008 abbiamo sborsato 1.230 milioni di euro. Per la metà (630 milioni) a causa «dell’eccesso di offerta». Testuale. Va da sé che i primi ad accorgersi dell’affarone, insieme ad alcuni imprenditori seri, sono stati certi affaristi, spesso legati alla mafia, con pochissimi scrupoli. Men che meno quello di devastare il paesaggio. Anche quando si tratta di terre incantate, punteggiate qua e là da antichi bagli di pietra tra vigne dal fascino struggente, come la Val di Mazara. Che il grande storico dell’arte Cesare Brandi definì «la più bella strada del mondo». E che Giuseppe Garibaldi risalì 160 anni fa da Marsala per arrivare a Salemi, l’antica Alicia. Dove, dal Palazzo che si affacciava sulla splendida piazza del Municipio oggi ribattezzata piazza della Dittatura, davanti a una folla festante che occupava tutta la non meno splendida scalinata che scende verso l’uscita del paese, tuonò: «Siciliani! Io vi ho guidato una schiera di prodi accorsi all’eroico grido della Sicilia, resto delle battaglie lombarde. Noi siamo con voi! Non chiediamo altro che la liberazione della nostra terra. Tutti uniti, l’opera sarà facile e breve. All’armi dunque!» Ciò detto, come molti siciliani ricordano con orgoglio, proclamò provvisoriamente Salemi prima capitale dell’Italia unita. Precisazione indispensabile: molti sono orgogliosi, non tutti. Anzi. Fu lo stesso Raffaele Lombardo, un paio di anni fa, a parlare a nome di altri siciliani convinti che l’Eroe dei due mondi sia stato per l’isola una specie di peste bubbonica. Al punto che Vittorio Sgarbi, paracadutatosi da Ferrara come sindaco per una specie di scommessa futurista, sbottò: «Non vorrei che per un pregiudizio ideologico nei confronti di Garibaldi si perdesse qualche milione di euro. Perché, sia chiaro, è questo il rischio che la Sicilia sta correndo. E forse è già troppo tardi». Esatto: per le grandi iniziative era già troppo tardi davvero. Così, visto che i soldi non c’erano, il pirotecnico critico d’arte si è arrangiato come poteva.

Le pale eoliche sono irrimediabilmente ferme? Vittorio gira a mille. Organizza mostre d’arte, convoca architetti, insulta sconosciuti al cellula re, ammaestra muratori, sfiducia assessori, pubblica libri, restaura palazzi, nomina consulenti, litiga con Oliviero Toscani, fa la pace con Oliviero Toscani, abbraccia Oliviero Toscani, scopre artisti sconosciuti, scegli piastrelle per il restauro del municipio, tampina una mora dai vistosi davanzali, prende per i fondelli i mafiosi, sbuffa con gli antimafiosi «che sono peggio dei mafiosi », rastrella volontari da tutta Europa disposti a partecipare «all’unico sforzo davvero utopista in corso in Italia», manda a spasso chi lo fa arrabbiare, sale scalini, scende scalini, si arrampica sui bastioni dell’antica rocca, declama versi davanti ai ruderi della Matrice lasciata appositamente scoperchiata dal progetto del portoghese Alvaro Siza, rimorchia qualche biondona di passaggio, fa spostare un paio di quadri, esalta le varie fasi del pittore Fausto Pirandello, maltratta un po’ di collaboratori troppo lenti… Un tornado. Infaticabile, incontenibile, irrefrenabile. Attaccassero a lui i cavi elettrici invece che alle pale, accenderebbe i fari di uno stadio. Arrivò quaggiù nella primavera del 2008, invelenito come solo lui sa essere contro il sindaco Letizia Moratti che lo aveva fatto fuori come assessore alla cultura di Milano, deciso a dimostrare che tutti quelli che lo giudicavano un genialoide troppo collerico donnaiolo e dispersivo per combinare qualcosa di buono non capivano un fico secco. Candidato per sfizio dall’incandidabile signorotto politico locale, Pino Giammarinaro («Giamburattinaro», lo chiama Toscani) alle prese con qualche grana giudiziaria, fu incredibilmente eletto. Da quel momento, la bellissima e sventurata Salemi è il suo «giocattolo». Il luogo dove vuole dimostrare, sia pure in scala ridotta, cosa potrebbe fare se avesse lui per le mani il patrimonio artistico italiano. Cosa che il Cavaliere («Il berlusconismo cominciò a finire il 20 giugno 2002, quando fui cacciato dal governo») si è ben guardato dal fare.

Da quel momento, ne ha fatte di tutti i colori. Per cominciare, «assunse» (gratis, si capisce) come «assessore alla creatività» Oliviero Toscani, il quale radunò mezzo migliaio di ragazzi per selezionarne una cinquantina da coinvolgere (gratis) nel «Progetto terremoto», una fucina di idee come non se ne vedevano dai tempi in cui nel cielo del paese, nel 1911, con la gente a bocca aperta per la meraviglia, si levò una mongolfiera destinata però, di lì a poco, a sgonfiarsi e ad afflosciarsi sui tetti. Episodio documentato da un’immagine in bianco e nero nel libro fotografico «Ritratto di paese/Salemi da Cicerone a Sgarbi». Libro che il nostro apprezza assai. Soprattutto per l’accostamento con il retore, che in questo caso non ritiene riduttivo. Fare un elenco di tutte le iniziative varate a Salemi in questi due anni sarebbe troppo lungo. Mostre, concerti, presentazione di libri, conferenze… Di tutto. Dalla piscina riempita di vino per la kermesse eno-gastronomica «Benedivino» alla nomina dell’artista Graziano Cecchini quale «assessore al nulla». Dalla delega al grande chef Fulvio Pierangelini come «assessore alle mani in pasta » all’arruolamento come bibliotecario di Philippe Daverio, critico d’ arte già assessore alla cultura di Milano. C’è chi dirà: «uffa, le solite sgarbate ». Errore. Non si tratta solo di fuochi d’artificio. Basti ricordare un po’ di cose che resteranno patrimonio della cittadina anche «dopo». Come l’accelerazione dei restauri della Rocca e del palazzo municipale. O lo stop imposto alla demolizione di palazzi di grande valore storico. O il progetto di recuperare un antico e straordinario baglio. O la battaglia, appunto, contro l’installazione di nuove pale eoliche. Battaglia che avrebbe procurato al sindaco una delle sorprese più brutte: il ritrovamento d’una testa mozza di maiale con un biglietto per Sgarbi contenente l’invito ad «andare via dal paese, per non fare la stessa fine».

Lui, fedele al personaggio, fa spallucce: «Con Oliviero siamo riusciti a portare gratis a Salemi strappandola a New York (dico: a Salemi!) la collezione “Kim’s video”, donataci da Yongman Kim, un ricco americano di origine coreana che aveva messi insieme 55.000 pellicole, cassette, dvd: la più straordinaria raccolta del cinema indipendente che esista». Per non dire del progetto «una casa a un euro»: «Mi hanno fatto diventare pazzo, coi problemi burocratici, ma finalmente ci siamo. Possiamo cominciare a distribuire le abitazioni acquisite dal comune dopo che tanti terremotati hanno preferito prendere i soldi per la ricostruzione e andarsi a rifare la casa, nuova, ai piedi del paese. I patti sono chiari: un euro e la casa va (ce ne sono di bellissime) a chi si impegna a ripararla entro due anni con criteri rispettosi ». Mille case, giura, diecimila richieste: da Massimo Moratti a Bill Gates. Per l’arrivo di Giorgio Napolitano, martedì prossimo, il cuore del paese è tutto un cantiere. Il presidente della Repubblica, oltre a un intervento del giurista Michele Ainis sul valore della costituzione, troverà tra il Castello normanno e il collegio dei Gesuiti una serie di mostre. Dal nuovo museo del Risorgimento ai «Paesaggi d’Italia» in collaborazione con il FAI, da «La Sicilia, il suo cuore» (ritratti d’autore di Leonardo Sciascia) all’esposizione «W Garibaldo».

Su tutto, però, svetta un museo che la Sicilia e l’Italia intera non hanno mai avuto e che non piacerà non solo ai mammasantissima ma neppure, viste le ultime battute su «Gomorra», a Silvio Berlusconi: il Museo della mafia. L’hanno voluto Sgarbi e Toscani (che ha disegnato il logo: una macchia di sangue a forma di Sicilia), l’hanno costruito Nicolas Ballario, Elisabetta Rizzuto e i ragazzi della «gruppo terremoto», l’ha ideato nella struttura Cesare Inzerillo, un giovane artista palermitano. Niente coppole, lupare, oggetti simbolici che poi ammuffiscono sotto la polvere. Ma un percorso multimediale. Nere le pareti, neri i pavimenti, nera l’atmosfera. Dentro, dieci cabine elettorali ognuna delle quali «arredata» per un tema: la violenza, la Chiesa, la famiglia, il potere, il carcere, l’informazione, la sanità… Pochi mezzi, pochi soldi (63.000 euro in totale, tutto compreso: un terzo di quello che costerà la «La Regata dei Mille» della vicina Marsala, che ha tappezzato i muri di manifesti accorgendosi troppo tardi che il lungomare era quello di Trapani!) ma in compenso tante idee. Sviluppate soprattutto attraverso i video. Intriganti. Affascinanti. Agghiaccianti. Da non perdere la strepitosa ricostruzione della storia della mafia attraverso le prime pagine dell’ultimo secolo, dall’uccisione di Petrosino all’arrivo del prefetto Mori, dal delitto Notarbartolo al sacco di Palermo, dalla morte di Salvatore Giuliano alla strage di Capaci. Undici sale complessive ricche di storia, dolore, orrore. Come quella dedicata a «Palermo felicissima » dove, dopo un amaro raffronto tra quella che era la bella città d’un tempo e la devastazione palazzinara, Inzerillo ha riprodotto un vero e proprio abuso edilizio, che culmina nella mummia di un morto ammazzato dalla mafia e cementata in un pilone. Non farà buona pubblicità all’Italia? Può darsi. Ma la mafia, al di là delle chiacchiere, si sfida anche così. A proposito: perché Garibaldi quella volta scelse Salemi? Lo ha spiegato ieri mattina, su Repubblica di Palermo, Lino Buscemi: perché la cittadina, dopo essere stata per secoli un esempio di convivenza con le sue comunità cristiana, islamica e ebraica, era piena anche di massoni e la massoneria…
Ma ne parleremo nella prossima puntata.

da www.corriere.it