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"Federalismo fiscale: rivoluzione con incognite", di Anna Avitabile

Sindaci, sostenuti da una parte della cittadinanza, che negano il pasto ai bambini che frequentano le scuole pubbliche. Ancora sindaci, guidati dal Presidente dell’Anci lombarda, leghista e alla guida del Comune di Varese, che scendono in piazza per manifestare la propria impotenza a soddisfare le richieste dei cittadini. Cosa porterà il federalismo fiscale nella ricca Lombardia? Ne parliamo con Massimo Bordignon, docente di Scienza delle Finanze all’Università Cattolica di Milano, che sta curando, assieme ad altri colleghi, il progetto di ricerca “La finanza territoriale in Lombardia” per conto della Cgil Lombardia.

Rassegna Oggi i Comuni sono stretti da una morsa, la riduzione dell’autonomia tributaria da un lato e dall’altro i vincoli sempre più stringenti alla spesa. Che distorsioni comporta questa doppia costrizione nei bilanci comunali presi in esame dalla vostra ricerca?

Bordignon La distorsione più evidente riguarda la crescita straordinaria di alcuni tipi di entrate gestite autonomamente, come le multe e soprattutto gli oneri di urbanizzazione: in quest’ultimo caso la legge permette di utilizzare una parte del gettito per finanziare la spesa corrente. Un’opportunità che ha spinto i Comuni, che hanno margini di gestione del bilancio sempre più ridotti, a consentire un’urbanizzazione del territorio probabilmente superiore a quella ottimale, provocando effetti distorsivi sull’ambiente. Le difficoltà dal lato della spesa derivano da un Patto di stabilità interna sempre più asfissiante perché, ad esempio, vieta di investire anche ai soggetti virtuosi o a coloro che hanno ricavato risorse dalla vendita di propri beni. Le difficoltà si sono accentuate per effetto della crisi economica e del rallentamento dell’attività edilizia che ha ridotto le entrate fiscali legate agli immobili.

Rassegna L’abolizione dell’Ici sulla prima casa nel 2008 è stata un duro colpo per l’autonomia tributaria delle amministrazioni comunali. Con il federalismo fiscale si prevede che i Comuni amplieranno la gamma di strumenti fiscali autonomi, magari legati al patrimonio immobiliare?

Bordignon Il nostro studio si ferma al 2007 perché solo da pochi giorni sono stati pubblicati i bilanci certificati del 2008. Ma non c’è dubbio che la scelta, anticipata dal governo Prodi e pienamente attuata dal governo Berlusconi, sia stata deleteria, in primo luogo perché ha privato i Comuni di più di un quarto delle entrate proprie e, in secondo luogo, perché si sono ridotte l’efficienza e l’efficacia redistributiva del sistema fiscale. In precedenza, con un insieme di detrazioni e indicizzazioni autonomamente definite, i Comuni potevano dosare il carico fiscale sulla prima casa in modo progressivo. Quando l’imposta, che portava nelle casse comunali un gettito di 2.8 miliardi di euro, è stata sostituita con i trasferimenti diretti ai Comuni, peraltro parziali, le risorse necessarie sono state reperite mantenendo invariata la pressione fiscale. Il che vuol dire che si sono accentuati gli elementi distorsivi del nostro sistema tributario che, com’è noto, insiste molto sul reddito dei fattori produttivi, e in particolare su quello da lavoro dipendente, e molto poco sulla ricchezza finanziaria e immobiliare, contribuendo per questa via alla bassa crescita economica e all’accentuazione degli squilibri di reddito. È difficile prevedere cosa succederà con il federalismo fiscale perché la legge delega, pur conferendo maggiore autonomia tributaria a livello locale, non fa proposte precise: vi è qualche indicazione a favore di una compartecipazione all’Iva e di un’imposizione collegata al territorio e al patrimonio edilizio. Si è parlato, a quest’ultimo proposito, di un’imposta connessa ai servizi che il Comune fornisce ai residenti, dunque a proprietari e inquilini.

Rassegna È plausibile ipotizzare che, a riforma completata, i Comuni finiscano per subire una maggiore dipendenza dalla Regione per i trasferimenti di risorse che in precedenza erano assegnate direttamente dallo Stato?

Bordignon Sì, la legge delega prevede che le risorse trasferite dallo Stato agli enti locali non arriveranno direttamente ai destinatari, come avviene oggi, ma transiteranno attraverso la Regione che, entro un termine di tre settimane e con il consenso del costituendo “Consiglio delle Autonomie Locali”, può proporre criteri di distribuzione diversi dal passato. Il punto cruciale sta nello stabilire un sistema di decisione efficiente – non certo basato sull’unanimità dei soggetti interessanti – e democratico, cioè trasparente e consensuale, come quello adottato già da una decina di anni dalla Provincia autonoma di Trento e da altre autonomie a Statuto speciale. Credo che sia razionale muoversi verso un sistema di finanza locale regionalizzata, così come avviene in molti altri Stati federali, per rendere la distribuzione dei fondi perequativi più semplice ed equa. Difatti, come si evince anche dalla nostra ricerca, il prelievo fiscale è sempre più centralizzato della spesa e nessun Comune sarebbe in grado di sopravvivere esclusivamente con le proprie risorse. I trasferimenti statali che oggi arrivano direttamente ai Comuni sono stati calcolati sulla base di parametri poco oggettivi che per di più risalgono a una ventina di anni fa, senza che si sia riusciti a modificarli per tener conto dei cambiamenti intervenuti nel frattempo. Inoltre bisogna tener conto che la Costituzione rafforza il ruolo legislativo della Regione e che dunque sarebbe pericoloso avere un sistema nel quale le decisioni di legge siano stabilite da soggetti diversi da quelli che provvedono al finanziamento relativo.

Rassegna La politica tributaria di competenza dei Comuni, in particolare Ici e addizionale Irpef, ha alterato la progressività? In quale direzione? E cosa ha provocato la politica tariffaria?

Bordignon Sì l’ha modificata perché è chiaro che laddove si stabilisce un’aliquota unica per l’addizionale Irpef, la progressività si riduce. Secondo me si è dato ai Comuni eccessivo spazio di manovra sul reddito determinando due effetti deleteri: differenziazioni ingiustificate tra piccoli centri urbani tra loro vicini e, in secondo luogo, inutili e costose complicazioni. Basti pensare a un’impresa di cinquanta addetti che per compilare il Cud deve conoscere le diverse aliquote di una decina di Comuni. Bisogna tener conto che l’Irpef riguarda essenzialmente i redditi da lavoro, e in prevalenza quelli da lavoro dipendente e da pensione, e quindi gli effetti redistributivi dell’Irpef si esercitano esclusivamente all’interno di questo ambito. Per correggere davvero le disuguaglianze vanno utilizzati altri strumenti, come l’Isee, che permettono ai Comuni di stimare la ricchezza effettiva dei cittadini e su questa graduare le tariffe.

Rassegna Dalla ricerca emerge già oggi una grande differenziazione dei servizi forniti dai Comuni, ad esempio gli asilo nido, per quel che riguarda le risorse impegnate, la domanda soddisfatta, l’organizzazione e la politica tariffaria. Con il federalismo questa varietà è destinata a ridursi oppure ad articolarsi ulteriormente?

Bordignon La risposta è sì e no. Con la legge delega si sono riconosciute una serie di funzioni che il Comune deve necessariamente assicurare, tra le quali vi è anche l’asilo nido, e questo indirizzo darà luogo a una maggiore omogeneità tra i servizi essenziali. Il guaio è che le funzioni fondamentali attribuite alle amministrazioni municipali riguardano l’80 per cento della loro spesa. Credo che sarebbe una follia pensare di omologare in questa misura le attività dei Comuni, sia perché mancano le informazioni necessarie per farlo, sia perché, anche riuscendoci, questo sarebbe in contraddizione con le finalità del federalismo. Dunque, tranne che per alcuni obiettivi riconosciuti di interesse nazionale e finanziati con un intervento diretto dello Stato, credo che ci si possa aspettare una maggiore difformità tra una regione e l’altra e, al tempo stesso, una maggiore omogeneità dei servizi forniti dai Comuni nella medesima Regione che stabilisce gli stessi vincoli e incentivi alle amministrazioni locali. Naturalmente la difformità può assumere valenze opposte: neanche a me piace il sindaco leghista che nega il pasto ai bambini che frequentano la scuola, ma l’autonomia vuol dire anche questo, mettere in atto scelte politiche che si pensa siano in linea con la volontà della maggioranza degli elettori.

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