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"Le telefonate di Obama cruciali per l'accordo", di Marco Valsania

Ancora una volta il ruolo degli Stati Uniti, dall’amministrazione di Barack Obama alla Federal Reserve, è stato cruciale in una crisi sul Vecchio continente. E’ presto per sapere come la bufera greca e i grandi piani di risanamento evolveranno, ma il presidente e il governatore della Banca centrale americani si sono adoperati per far scattare gli accordi e le iniziative di salvataggio senza precedenti di queste ore.

Gli aiuti in arrivo dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale – un pacchetto complessivo fino a 750 miliardi di euro per fermare il rischio contagio – sono affiorati al termine di un frenetico giro di telefonate, nel corso della giornata di domenica, fra Obama e leader europei. In particolare Obama ha parlato con il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nikolas Sarkozy, durante telefonate che fonti americane hanno definito “personali”. Subito dopo l’annuncio del pacchetto, con alle spalle quei colloqui, l’intero gruppo delle sette pricipali potenze industrializzate e il più allargato contingente del G20 hanno appoggiato l’azione.

La Fed, nel frattempo, si è mossa coordinando rapidamente e poi annunciando uno sforzo congiunto d’emergenza con gli istituti centrali dell’Unione Europea, della Gran Bretagna, del Canada, della Svizzera e del Giappone: colossali swap di dollari per euro destinati a impedire un’eventuale paralisi del flusso di prestiti bancari. Si tratta di un programma straordinario per assicurare liquidità già utilizzato durante i giorni più bui della crisi finanziaria globale del 2008. Con i dettagli ancora in fase di definizione, la Fed ha fatto sapere che “le facility sono ideate per aiutare a migliorare le condizioni di liquidità e prevenire la diffusione di tensioni ad altri mercati e centri finanziari”. Il problema, per l’Europa, nasce dall’impennata dei costi per ottenere dollari – valuta indispensabile per le transazioni sui mercati internazionali, dal petrolio al debito – in seguito al declino dell’euro e all’incremento dei premi sul rischio.

L’intervento americano nella crisi è stato reso necessario, agli occhi di Washington, dai rischi sempre maggiori ormai corsi dagli stessi Stati Uniti davanti al precipitare della situazione in Europa. Rischi di cui si erano convinti tanto la Fed che l’amministrazione dopo le forti scosse subite da Wall Street nell’ultima settimana. Nuove drammatiche crisi del credito sul Vecchio continente potrebbero contagiare i mercati globali, scatenare terremoti sul debito sovrano che ventino difficili da arrestare e aumentare i pericoli di un “double dip”, cioè di una ricaduta in recessione mentre le economie mondiali sono ancora reduci dalla più grave debacle dagli anni Trenta. Anzitutto gli Stati Uniti, dove ora è tornata a fare capolino la crescita ma dove la disoccupazione resta elevata, quasi al 10% e con oltre otto milioni di posti di lavoro persi.

Il Sole 24 Ore 11.05.10