economia, lavoro

"Il salario netto è di 22.027 dollari, dietro a Grecia Irlanda e Spagna", di Roberto Giovannini

Per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi questi numeri sono soltanto «tecnicalità» che il governo ha sempre messo in discussione. E a suo giudizio, peraltro, questi dati «uguali al passato» non «hanno francamente riscontro nella realtà». Chissà come la pensa chi vive di lavoro dipendente, a sapere che secondo l’Ocse i salari italiani medi sono tra i più bassi del lotto dei paesi industrializzati. Per la precisione, i nostri stipendi medi risultano al ventitreesimo posto della classifica, con il 16,5% in meno rispetto alla media Ocse, sia nel caso di lavoratori single che nel caso di lavoratori con famiglia. Classifica alla rovescia invece per il peso di tasse e contributi: con il 46,5% l’Italia risulta al sesto posto dei Paesi nei quali il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto il lavoratore effettivamente incassa, è più alto.
Una situazione molto chiara, e molto deprimente, quella fotografata dall’Ocse nel rapporto annuale «Taxing Wages». Il salario annuale netto del lavoratore medio è in Italia di 22.027 dollari, contro i 26.395 della media Ocse, i 28.454 della Ue a 15 e i 25.253 della Ue-19. Attenzione, però: stiamo parlando del salario netto annuale medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia, calcolato in dollari e a parità di potere d’acquisto. Se si guarda alla classifica del guadagno medio di un lavoratore con famiglia, unico percettore di reddito con a carico coniuge e due figli, il reddito netto degli italiani sale a 26.470 euro ma resta inchiodato, anche in questo caso, al 23° posto della classifica Ocse. Dietro Usa, Germania, Francia, ma anche alle spalle di Grecia, Irlanda e Spagna. Superiamo invece portoghesi, polacchi, ungheresi. In coda alla classifica i messicani.
E poi, c’è il cuneo fiscale. Il peso di tasse e contributi sui salari è in Italia al 46,5%. Nella classifica dei maggiori trenta Paesi, aggiornata al 2009, l’Italia è al sesto posto per tassazione sugli stipendi, dopo Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%). Il peso di imposte e contributi sui salari in Italia è rimasto stabile dal 2008 al 2009, registrando solo un lieve calo (-0,03%). Lo stesso segretario generale dell’Ocse Angel Gurria dice che «ridurre le tasse sul lavoro può aiutare ad accelerare la ripresa», ma chiarisce che questo si può fare «solo nell’ambito di un più ampio ed equilibrato intervento».
Bisogna «aumentare la produttività e scalare le tasse» per «dare al salario italiano una sua giusta dimensione», ha commentato il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. «Da mesi chiediamo al governo – ha detto il segretario confederale della Cgil Agostino Megale – un piano triennale di riforma fiscale per ridurre le tasse sul lavoro e sulle pensioni». Per Antonio Foccillo, segretario confederale Uil, «la questione dell’attuale potere d’acquisto di salari e pensioni è obiettivamente penalizzante non solo per le famiglie, ma anche per l’economia, e il basso livello dei consumi lo testimonia». «Dati che destano grandissimo allarme – dice il senatore del Pd Paolo Nerozzi – bisogna ridurre prioritariamente le tasse sulle pensioni e sui salari da lavoro dipendente».

La Stampa 12.05.10

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“Ocse: salari italiani fra i più bassi. Fmi: ripresa lenta e incerta. L’Euro perde terreno”, di Fulvio Lo Cicero
Il “cuneo fiscale” rende più leggere le retribuzioni nel nostro Paese, che si classifica al 23° posto, poco prima di Turchia e Repubblica Ceca. Sacconi: “Dati irreali”. Intanto l’Euro perde sul dollaro e gli operatori cominciano a nutrire qualche dubbio sul Piano europeo approvato durante il week-end

ROMA – Le Borse si sgonfiano dopo l’exploit di ieri e molti degli indicatori economici internazionali non sono positivi. L’Ocse, nel suo rapporto sulla tassazione dei salari (“Taxing Wages”) colloca il nostro Paese al 23° posto nel mondo, quindi con un potere di acquisto molto inferiore rispetto agli altri Paesi. Nello stesso tempo, il Governatore della Banca d’Italia Draghi vede più di una nube all’orizzonte, prospettando una ripresa molto incerta e lunga.

I SALARI ITALIANI VALGONO POCO

Le principali organizzazioni sindacali lo ripetono da almeno venti anni ma sono considerate – da numerosi esponenti della destra – “conservatori”, perché non vedono le “anticipazioni del futuro”, cioè una società dove i lavoratori siano sempre più sfruttati e mal pagati. Ora, almeno per quanto concerne l’Italia, l’Ocse suggella le lamentele dei rappresentanti del lavoratori. Nella speciale classifica stilata nel Rapporto annuale sulla tassazione dei salari, il nostro Paese risulta al 23° posto, dopo la Corea (dove un lavoratore “single” incassa al netto circa 40 mila dollari l’anno), il Regno Unito, la Svizzera, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e molti altri Paesi dell’Ue e prima di Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Polonia, Turchia, Ungheria. Il salario netto del lavoratore italiano, senza assegni familiari, supera di poco i 22 mila dollari. Ciò che incide molto negativamente sul livello medio della retribuzione, spiegano i tecnici dell’Ocse, è soprattutto il cosiddetto “cuneo fiscale” (cioè, la differenza fra salario lordo e salario netto del lavoratore), formato da contributi sociali, oneri parafiscali e imposte, che, in Italia, pesa per il 46,5% ma non è il più pesante, perché in altri Paesi è più alto: Belgio (55,2%), Ungheria (53,4%), Germania (50,9%), Francia (49,2%), Austria (47,9%). A determinare il basso livello dei salari italiani, dunque, contribuisce una micidiale miscela fatta da tassazione molto alta (siamo al sesto posto) e retribuzioni contrattuali inferiori rispetto agli altri Paesi industrializzati. Ad esempio, in Francia, dove il cuneo fiscale è più alto, il salario medio di un lavoratore senza carichi di famiglia è superiore di 6000 dollari l’anno. Ovviamente, essendo un dato negativo, il Governo, con l’ineffabile ministro Sacconi, nega che sia vero. Per Sacconi, i lavoratori italiani vivono, come asseriva il personaggio di Voltaire in “Candide”, Pangloss, nel migliore dei mondi possibili. Grazie ovviamente a Berlusconi e alle sue virtù taumaturgiche.

DRAGHI: “BATTAGLIA LUNGA CONTRO LA CRISI”

Il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, al margine del convegno Fmi e Banca centrale svizzera, ha affermato che la strada per il risanamento economico in Europa è ancora molto lunga e che non ci sono alternative alle riforme strutturali. «Sono battaglie che bisogna combattere, non si vincono subito» ha aggiunto con riferimento anche alla situazione dei mercati finanziari, sovente preda degli speculatori. Il dato positivo, però, è che «ora c’è la presenza della Bce che tende a riparare alcuni mercati che avevano smesso di funzionare per i titoli di alcuni Paesi».

FMI: RIPRESA LENTA ED INCERTA

Le analisi di Draghi coincidono con quelle del Fondo Monetario Internazionale che, nel suo “Regional Economic Outlook”, parla di «una ripresa moderata e disomogenea, che sta prendendo forma in Europa. La crescita nell’area è prevista rafforzarsi nel 2010-2011, anche se i tradizionali motori della ripresa saranno probabilmente più deboli del solito». Le stime del Fmi indicano una crescita per l’Ue e i Paesi della moneta unica pari all’1% nel corrente anno e con un’inflazione oscillante fra l’1% e l’1,5%. Ma il problema più serio, secondo il Fmi è che, pur mostrandosi necessaria una politica generalizzata di risanamento dei bilanci pubblici in Europa, le decisioni prese dai Governi in tal senso inciderebbero negativamente sulla ripresa economica, stimolando ancora una volta la recessione. Infatti, la contrazione della spesa pubblica – fondamentale in una politica di risanamento – non si concilia con la necessità di interventi di sostegno alla domanda interna, che appare tuttora molto debole. Però, sottolinea ancora il Fmi, entro il 2011, una «crescita più dinamica e la ripresa della convergenza negli introiti reali dovrebbe emergere insieme alla normalizzazione dei mercati finanziari e a un graduale ritorno a un sano flusso di capitali».

EURO E BORSE DEBOLI

Intanto, a distanza di sole ventiquattro ore dalle importanti decisioni prese durante il vertice dei Capi di Governo dell’Ue, i mercati sembrano essere tornati scettici sulla reale efficacia del Piano anticrisi. Secondo gli operatori, lo scetticismo ha numerose cause, una delle principali essendo che, nella realtà, dei 750 miliardi messi in campo dall’Ue, soltanto 60 sono immediatamente disponibili, mentre tutti gli altri sono legati a meccanismi istituzionali la cui farraginosità non produce immediate aspettative reali, di cui, come è noto, i mercati si nutrono.

A dimostrazione di ciò, c’è oggi la quotazione dell’Euro che, rispetto al dollaro, è sceso a 1,2836, dopo il “rimbalzino” di ieri (1,3093). Ma secondo numerosi osservatori, l’Euro risulta ancora sopravalutato rispetto al dollaro ed è destinato a scendere. Almeno su questo puntano i molti “ribassisti” che scommettono contro la moneta unica. Ma, si fa osservare sui mercati, questo dato non è affatto negativo per le economie europee e soprattutto per quelle “export-oriented” come l’Italia: un Euro anche sotto la soglia di 1,26 significa un aiuto insperato alle esportazioni, che possono contribuire grandemente alla ripresa economica.

Le Borse oggi sembrano aver approfittato del rimbalzo di ieri e gli operatori hanno optato per le prese di beneficio. In calo sia quelle europee, sia quella americana, anche se in finale c’è stata una netta ripresa. Gli indici americani sono in pareggio e il Ftse-Mib a Milano perde lo 0,46.

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“Cipputi paga, i ricchi no”, di Rinaldo Gianola

La situazione è questa: i lavoratori italiani incassano salari e stipendi tra i più bassi nei paesi industrializzati e sono gravati da una pressione fiscale tra le più alte. Niente di nuovo, lo sapevamo già, non c’era bisogno dell’ultima statistica dell’Ocse per conoscere le condizioni penalizzanti in cui sono costretti a vivere milioni di italiani. I numeri, tuttavia, sono sempre interessanti e, se possibile, accentuano il senso di ingiustizia sociale che caratterizza la nostra società. Operai e impiegati, ricercatori e precari, incassano retribuzioni vergognose ma pagano le tasse fino all’ultimo centesimo in un sistema dove chi dichiara più di 100mila euro l’anno bisogna andarlo a cercare con i Ros. Lo scorso gennaio Cipputi ha ricevuto la prima tranche dell’aumento previsto nel rinnovo del contratto (separato, purtroppo…) dei metalmeccanici: a fine mese ha incassato 28 euro, lordi però. Che dire? Uno potrebbe anche sostenere che di fronte a una crisi economica spaventosa, senza paragoni possibili negli ultimi decenni, i governi europei sono legittimati a chiedere ai lavoratori sacrifici e impegni per fronteggiare la difficile congiuntura e le difficoltà finanziarie. I lavoratori e i sindacati italiani non si sono mai tirati indietro, hanno pagato e sofferto quando c’era da pagare e soffrire, hanno rinunciato a diritti e a pezzi di salario come all’inizio degli anni Novanta quando il nostro paese veniva accomunato ai grandi debitori latino-americani (vi ricordate? la sindrome messicana sull’Italia…) e hanno fatto la loro parte, anche di più, quando Ciampi e Prodi lanciarono l’appello alle forze migliori e solidali per conquistare l’Europa. Ora, però, c’è qualche cosa di profondamente ingiusto che emerge e si rafforza in questi giorni. Nel momento in cui l’Europa decide di mettere in campo uno scudo di 750 miliardi di euro da impiegare nei prossimi anni per difendere il nostro sistema bancario e la nostra moneta unica dagli attacchi dei mercati e della speculazione, nel momento in cui Bruxelles sollecita la sistemazione dei conti pubblici e Tremonti prepara la sua manovra da circa 30 miliardi in un paio d’anni, allora bisogna dire forte e chiaro che i lavoratori italiani hanno già dato e sono talmente indeboliti, impoveriti, delusi dopo due anni di crisi che davvero non si può chiedere di più. Il dramma sociale che vive il paese è accentuato da un governo che per due anni ha sostanzialmente negato le gravi difficoltà in cui ci dibattiamo, lanciando inutili proclami di ottimismo o strumentali giuramenti (vero Tremonti?) sul valore assoluto, morale del posto unico in contrasto con la dannosa e ingiustificata precarietà. Uno spot per ottenere un titolo nel tg di Minzolini e poi, di nuovo, il silenzio. Ora, ci risiamo. Davanti alla necessità di sistemare i conti, di rispettare i parametri di Maastricht, di mostrare una virtù assoluta nel bilancio pubblico affinché nessun gangster del mercato osi attaccare la nostra stabilità, ritorna la solita storia: bisogna tagliare e si parte come sempre dai fondi ai comuni, dai dipendenti pubblici e, state sicuri, verrà il turno dei contratti di lavoro. Non si esce dalla crisi se non si affrontano e non si risolvono le grandi ingiustizie determinate dall’iniqua distribuzione delle risorse e dalla sistematica violazione del dovere di pagare le tasse da parte di una larga fetta di cittadini benestanti, ricchi, dotati di grandi patrimoni. Non usciremo da questa emergenza se il governo non metterà al centro della sua proposta e della sua azione la priorità della crescita, del rilancio dei consumi, della creazione di lavoro e di ricchezza da distribuire tra le famiglie. I tassi di sviluppo attesi nel 2010 e nel 2011 per l’Italia sono modesti secondo il Fondo Monetario Internazionale, roba da prefisso telefonico. Nell’ultimo biennio la nostra economia è arretrata del 6%, ci vorranno anni per tornare ai livelli del 2008 che già non erano brillanti. E allora, cosa vogliamo fare? Tirare a campare e ascoltare in silenzio le promesse di Silvio? L’ingiustizia fiscale è talmente evidente oggi, proprio in questo momento in cui trionfa la speculazione finanziaria, che non può più essere tollerata. Nel nostro sistema fiscale le rendite finanziarie sono tassate al 12,5%, una cifra troppo bassa, che rappresenta solo un quarto di quello che versa al fisco il lavoratore dipendente e un terzo di quanto pagano le imprese. È «un sistema demenziale» sostiene giustamente il segretario dell Cisl, Raffaele Bonanni, ma questa mostruosità favorisce, alimenta un’evasione fiscale enorme, un’evasione contributiva smisurata, una diffusione dell’illegalità, del lavoro sommerso che, in alcune zone del paese, ad esempio nel Mezzogiorno, è diventato un elemento strutturale e non momentaneo dell’economia. Ora pare che il “governo del fare”, sostenuto dal “partito dell’amore”, non abbia alcuna intenzione di realizzare la tanto attesa riforma fiscale, nè tantomeno di scatenare una guerra aperta agli evasori. Ma così non si va da nessuna parte, continueranno a pagare i soliti, cioè i lavoratori e i pensionati. E alla prossima speculazione sui mercati, al prossimo attacco degli hedge funds all’euro e ai titoli delle nostre banche si lancerà nuovamente l’allarme per rafforzare le nostre difese, per salvare i confini nazionali, la sovranità. Ma è un gioco che non può durare a lungo. Al recente congresso di Rimini della Cgil, i leader delle tre confederazioni sindacali, che probabilmente restano divisi su molte questioni, hanno sottolineato tutti la necessità di arrivare a un rafforzamento dei redditi da lavoro e da pensione. La strada è quella mille volte ripetuta di una riforma del fisco, di una coerente lotta all’evasione, ma si potrebbe aggiungere che in questo momento c’è bisogno di qualche idea nuova, di una discontinuità nelle scelte di politica economica. Quando si sarà calmata la bufera ci accorgeremo, probabilmente, che alcune produzioni, qualche lavoro, certe professioni saranno andate perse, saranno finite altrove mentre si presenteranno altre opportunità per il nostro sistema industriale. Per questo motivo la crisi, che sta davvero cambiando il mondo e le relazioni tra aree economiche, dovrebbe essere anche l’occasione per delineare oggi un nuovo modello di sviluppo, scelte di investimenti industriali innovative e coraggiose legate all’ambiente e alle tecnologie, una svolta profonda per il lavoro, per i giovani. Ma il governo, la classe politica, quella imprenditoriale, la stessa proposta del partito democratico sono all’altezza della sfida? Su un giornale importante, l’International Herald Tribune, ieri è comparso un articolo che voleva indagare sul ruolo degli algoritmi nella spirale speculativa che ha colpito i mercati nei giorni scorsi. Ora bisognerebbe inventare unalgoritmo per sostenere la ripresa e mettere un po’ di soldi in tasca ai lavoratori. Questa sì sarebbe una bella svolta.

L’Unità 12.05.10