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«La crisi è devastante, l'Europa non si rende ancora conto della gravità», intervista a Jacques Attali di Stefano Miliani

Finché c’è vita c’è speranza, per dirla alla Alberto Sordi. Ciononostante anche se non tutto è perduto siamo messi male e non ce ne rendiamo conto come dovremmo. A partire da noi europei, cittadini, governanti, élites, almeno a leggere Sopravvivere alla crisi dell’intellettuale francese Jacques Attali. Il quale, se deve indicare un film che rispecchi il suo pensiero sul nostro oggi fosco e turbolento, indica Blade Runner , capolavoro di Ridley Scott tratto da un romanzo di Philip K. Dick che immagina un futuro cupo, devastato nell’ambiente e nelle relazioni umane, e che solo nella prima versione tagliata e piegata al mercato prefigura una possibile speranza.

Di Attali l’editore Fazi ha appena dato alle stampe il suo saggio-pamphlet Sopravvivere alla crisi . Conferenziere, giornalista, considerato una delle menti più brillanti d’Europa, già primo presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, già alla guida della Commissione per la liberazione della crescita nel governo Sarkozy e al contempo direttore della Ong per il microcredito nei paesi in via di sviluppo Planet Finance, questo intellettuale sempre di corsa nel libro uscito in Francia nel 2009 scrive, sulla scorta del quasi crack finanziario mondiale, che la crisi non è finita, che nessuno può ritenersi in salvo. I fatti della Grecia sembrano avergli dato ragione. Ne parla dal suo studio parigino con la scure dei minuti a scandire il tempo della conversazione telefonica.

Professore, a suo parere come si stanno comportando i paesi europei di fronte a quanto accade ad esempio in Grecia?

«Il fatto è che in Europa la gente e gli Stati non vogliono valutare cosa accade, i governi non vogliono sembrare pessimisti, ma non ci rendiamo conto del pericolo e della sua gravità, non lo si vuole vedere».

In un passaggio del libro lei muove un’accusa dura all’Unione Europea: non dispone di creatività sufficiente per fronteggiare le sfide attuali.

«Sì, perché non facciamo abbastanza innovazione, non ce ne occupiamo e non ci investiamo a sufficienza, non c’è innovazione ad esempio nel rapporto tra università e aziende e non vengono prese decisioni per sviluppare la crescita. C’è un difetto di creatività, col che intendo che manca un modo nuovo di porsi di fronte a situazioni nuove».

A suo giudizio l’Unione europea attraverso l’Euro sta proteggendo in misura adeguata i paesi membri da un collasso?

«Sono convinto che fin quando non avremo un ministro delle finanze europeo che possa controllare le tasse, fino a quando la banca centrale non avrà un ministro che possa esercitare il controllo adeguato, l’euro sarà una moneta fragile».

In un passo del suo saggio lei scrive che in situazioni estreme e di pericolo per la sopravvivenza è legittimo opporsi anche con mezzi illegali. Ad Atene ci sono stati scontri. Prefigura moti violenti?

«È bene chiarire che sono contrario a qualsiasi violenza, che non penso sia giusto reagire violentemente. Ma il fatto è che tutti, il governo, i cittadini greci, sono stati in qualche modo truffati, anche il governo greco dovrebbe essere infuriato».

Sempre dal suo saggio: lei sostiene che ognuno di noi dovrà affrontare i problemi da solo. Però, per restare alla Grecia, se Atene si salverà sarà grazie al soccorso europeo. Questo non la contraddice?

«No. La Grecia doveva risolvere il problema da sola, non fare troppi debiti, se avesse agito così in modo corretto non saremmo ora qui a discuterne. E nel futuro non può sperare in una seconda chance perché non l’avrà. Non ci si può aspettare aiuti da altri, un supporto dall’esterno, perché la crisi c’è, è innegabile. Neppure l’Italia è lontana da una “lista” di crisi».

Perché l’Italia?

«Perché il vostro paese, come la Spagna, ha molti, troppi debiti, e dovrebbe impegnarsi per diventare credibile».

Possiamo farcela?

«Avete tutti i mezzi e le risorse per uscire dalla crisi, serve che abbia un governo sufficientemente forte e che si renda conto che non stiamo affatto uscendo dalla crisi. A mio parere il governo italiano, ma anche l’opposizione e l’opinione pubblica, sono troppo ottimisti, nel senso che non c’è piena consapevolezza della situazione».

Però ad Atene, come accade quasi sempre, chi paga lo scotto più caro e sulla propria pelle sono i ceti più popolari e chi ha meno garanzie. Non è ingiusto?

«Quando una nazione ha un deficit eccessivo perché spende troppo tutti dovrebbero pagare ma in modo equo. E tutti dovrebbero pagare sempre le tasse. Il dramma autentico è che questa generazione ha speso troppo, ha speso i soldi della prossima generazione».

A suo parere le innovazioni e le ricchezze saranno gestite sempre più spesso in modo autoritario. Considera le democrazie a rischio?

«No, tutt’altro, non penso che le nostre democrazie siano in pericolo. Anzi, non solo le giudico sufficientemente forti ma credo che questa crisi le renderà più forti e che il Parlamento europeo alla fine ne uscirà o potrà uscirne rafforzato».

Trasformare le minacce in opportunità: è quanto lei auspica nel libro. Scusi, ma come, in che modo?

«È importante e anzi essenziale vedere una minaccia quando non la si può evitare. Solo ora iniziamo a capire, nel nostro mondo, che siamo minacciati. Faccio un paragone calcistico: è come una partita, se non sai la forza dei tuoi avversari perdi perché non puoi prendere le contromisure, se invece sai quanto sono forti puoi studiarli e prepararti e allora potrai vincere il match».

Se dovesse indicare un libro che rispecchia il suo pensiero, che titolo darebbe?

«Il mio».

E un film?

«Blade Runner, il film di Ridley Scott».

L’Unità 13.05.10