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"L'agonia della scuola italiana", di Fausto Pacciato

La scuola italiana è povera in canna. Il governo ha smesso di considerarla, come hanno sempre fatto anche i governi precedenti, un sistema migliorabile tramite adeguati cambiamenti. Negli anni scorsi almeno andava in scena il finto dibattito tra maggioranza e opposizione sulle riforme. Adesso si rinuncia anche alla commedia e si va al sodo. A colpi di machete, viene tagliato non solo il tagliabile ma anche lo stretto necessario, dagli edifici che vanno in malora ai posti di lavoro. Docenti che perdono l’insegnamento, personale sussidiario decimato, clima di precarizzazione nell’unico scopo confessato senza pudore: un risparmio selvaggio su ciò che rimane del sistema educativo, su tutto ciò che ha a che fare con la Cultura. Al Veneto il trattamento non viene certo evitato e anche qui i dirigenti scolastici cominciano a rivolgersi alle famiglie per farsi aiutare, per tenere in piedi la baracca che rischia di non poter più fornire un servizio nei confini della decenza. In questa opera di sistematica demolizione (la crisi economica non sta scatenando la stessa follia in altri Paese europei) l’aspetto forse più inquietante è il silenzio rassegnato dei genitori, in una società ammutolita che non si scandalizza più, dove l’«opinione pubblica» è soltanto un ricordo. A parte qualche voce isolata, non ci sono proteste, comunque nulla di paragonabile al malumore di chi arranca verso la fine del mese. Una scuola già immersa nella mediocrità, ora viene legalmente depredata, quindi depotenziata, quindi resa ridicola agli occhi dei suoi stessi discepoli. Si rischia così che della nostra «più grande industria culturale» rimanga un enorme scheletro senza vita in questa Italia del 150?anniversario dell’Unità che si auto-celebra nel peggiore dei modi. L’idea, suggerita dall’indigenza, di compensare la chiusura del rubinetto statale attingendo «confidenzialmente» ai bilanci delle famiglie sembra il più bizzarro tentativo di privatizzazione mai escogitato. Forse non c’è un legame diretto fra la caduta verticale di prestigio scolastico e il diffondersi ormai incontrollato del bullismo e del teppismo fra i giovani nelle nostre città. Forse no. Ma il loro coincidere nel tempo non è casuale. E non lo è neppure il silenzio-assenso della società che assiste al degrado senza reagire e che in tal modo ammette di considerare gli investimenti relativi un inutile spreco. Ma la ministra in carica della Pubblica Istruzione vi spiegherà che si tratta di un disboscamento necessario, grazie al quale l’albero della Cultura potrà crescere ancora più forte e rigoglioso. Non importa se nel frattempo, nell’attesa della nuova giovinezza, si scopre che tanti giovani non sanno scrivere una frase corretta e leggono con palese difficoltà, degni figli di questo periodo di transizione di cui non conosciamo né la durata, né le reali conseguenze.

Il Corriere del Veneto 13.05.10

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