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"Solo con le intercettazioni si può vincere la guerra contro gli evasori", di Oreste Pivetta

Se le parlo da ufficiale, le dico che il paese è sano. Rappresentando l’istituzione non posso darle risposte troppo brutte… In confidenza le direi che quasi tutti gli operatori economici evadono il fisco, che non evade solo chi non è capace. Il paese è sano? Un corno. L’evasione fa paura…». Grazie. Lo dice uno che al fisco non ha rubato neanche un centesimo e ammira la Guardia di Finanza come si può ammirare l’angelo vendicatore e sterminatore.

L’ufficiale delle Fiamme gialle che mi parla, due lauree, una in scienze politiche, un’altra in giurisprudenza, un master alla Bocconi, scuole di specializzazione, indagini dagli esiti clamorosi (ci sono Berlusconi e Mediaset nel suo libro nero), mi racconta il suo mestiere. Si spiega subito e trascrivo: «Le verifiche fiscali vengono effettuate in presenza di elementi che già si hanno agli atti, perché quando si inizia una verifica cosiddetta di iniziativa senza avere elementi in mano è difficile che si riesca a individuare qualche cosa che vada al di là delle semplici irregolarità formali». Non c’è il cadavere in strada.

«Sono le Procure della Repubblica che, registrando nel corso delle loro indagini reati di rilievo fiscale, ci forniscono i primi elementi. In parole semplici: se nel corso di un procedimento penale, avvalendosi degli strumenti che la legge mette a disposizione, intercettazioni telefoniche o perquisizioni, vengono acquisiti notizie e documenti di rilievo ai fini fiscali, chiuse le indagini, chiediamo noi, per i nostri scopi, al sostituto procuratore la prescritta autorizzazione per utilizzare quelle notizie e quei documenti. A quel punto si va in un’azienda e non c’è bisogno di tante ricerche complicate, cervellotiche, lunghe. Si va al posto giusto, si sa già come colpire il bersaglio, le false fatture, le false dichiarazioni… Lo dico sulla base della mia esperienza trentennale, in tutta Italia e in particolare al Nord, tra Brescia e Milano, zone ricche, dove gli operatori di un certo livello sono tanti e dove quindi il fenomeno dell’evasione ha una particolare incidenza. Ho lavorato anche nelle Marche.

Un posto vale l’altro. La differenza la fa la ricchezza, dal punto di vista dell’evasione». Ma è chiaro che attraverso le normali verifiche, quelle che per legge sono d’obbligo ogni due anni, si raccoglie poco: «I trenta giorni a disposizione, che possono diventare sessanta, sono insufficienti per capire la realtà finanziaria di un grosso gruppo. Se si va a sorpresa in una piccola azienda qualcosa salta fuori, ma nessuno è così pollo da lasciar documentati nel computer d’ufficio tutti i traffici in nero». Questione di poteri. Quelli della Guardia di Finanza vennero fissati nel 1924, poi via via aggiornati.

Ad esempio i «poteri di accesso»: una sorta di perquisizione, ma non sono la stessa cosa della perquisizione, perché puoi entrare in un’azienda ma se trovi un cassetto chiuso o una borsa chiusa non puoi aprirli senza il consenso del «soggetto», cioè dell’imprenditore su cui si indaga. Che cosa serve davvero? «Intercettazioni telefoniche, perché, se hai la possibilità di ascoltare la gente che si parla al telefono, vieni a sapere tante belle cose, che non scoprirai mai se stai lì a spulciare documenti per anni. È ovvio, lapalissiano. Un caso celebre… Quando ero nelle Marche, siamo partiti con le indagini su un gruppo calabrese: avevamo il sospetto di riciclaggio. Abbiamo cominciato proprio da intercettazioni telefoniche, scoprendo che quei soggetti non erano altro che prestanome, teste di legno, di un imprenditore marchigiano famoso, che fabbricava cappe per i camini, poi arrestato, che aveva fatto figurare tutta la sua manovalanza alla dipendenza di quei calabresi, che non pagavano niente, niente Iva, niente contributi con un danno per l’erario e per gli istituti di previdenza valutato in sei sette milioni. Nelle intercettazioni abbiamo sentito che era proprio lui, l’imprenditore, a dare ordini».

Il nostro ufficiale delle Fiamme gialle non mi sembra però convinto dell’efficacia della repressione. Non basta, data la mole dell’evasione: «Occorrerebbero una pattuglia di controllori per ogni operatore economico e, in aggiunta, una squadra che controlla i controllori. E quanto dovrebbe essere grande la Guardia di finanza per controllare pizzerie, parrucchieri, ristoranti, idraulici, autofficine». Una riforma del sistema fiscale, chiede il nostro ufficiale. E poi prevenzione. Sarebbero utili i famigerati «studi di settore», alzando un po’ la soglia, perché «si sa che gli studi nascono da accordi con le categorie ed allora la tendenza è di tenerli bassi per non scontentare nessuno».

E poi ancora «strumenti più penetranti tipo il monitoraggio di tutte le movimentazioni», che avevano introdotto Bersani e Visco e che Tremonti ha ridimensionato: «E’ chiaro che non si sconfigge l’evasione controllando l’operazione da cinquecento euro. La si rende più difficile». «Alla fine – aggiunge – è questione di cultura, di moralità pubblica, di senso civico. Noi ci crediamo furbi ed allora si raggira il fisco, recitando a giustificazione il ritornello: le tasse sono troppo pesanti, ci difendiamo non pagandole». Una volta lo disse pure il nostro presidente del consiglio… «Invece, in base al noto principio della traslazione delle imposte, quello che non paga uno, lo paga tutta la comunità. Non ci spremerebbero come limoni, se pagassimo tutti».

L’Unità 13.05.10

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L’ALLARME DEI PM SULLE NUOVE NORME “DISARMATI CONTRO MAFIA E TERRORISMO”, di Liana Milella
«Mi auguro che questa legge non la facciano e chiedano non a noi, vissuti del tutto infondatamente come nemici, ma agli investigatori che fanno questo mestiere da anni, quali danni possono fare disposizioni del genere sull`efficacia investigativa. La risposta sarà: il disastro». Giuseppe Cascini, pm a Roma e segretario dell`Anm, parla così con Repubblica Tv. Giusto quando, in un albergo a due passi dal Viminale, i poliziotti lanciano l`allarme sulla riforma delle intercettazioni davanti a una platea di super toghe.

Il procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, quello di Roma Nello Rossi, quello di Palermo Antonio Ingroia. Un coro disperato. Il poliziotto è Claudio Giardullo, segretario del Silp-Cgil, dieci pagine per smontare il ddl Alfano.

«Nel tentativo di rendere più ampia la tutela della privacy, rifinisce per gettare via il bambino con l`acqua sporca». E giù un pesante j`accuse contro i paletti per chiedere un ascolto, la durata breve, l`autorizzazione del giudice collegiale, la stretta sulle ambientali ed controllo dei tabulati, il divieto di usare una registrazione in un altro processo. In questa legge, per Giardullo, non si salva niente. E’ il poliziotto che chiamava in causa Cascini, non la toga “nemica”.

Non salvano nulla neppure Ingroia, Spataro, Rossi. Ingroia: «Se fosse stata in vigore questa legge Riina e Provenzano sarebbero ancora latitanti». Ha sentito Maroni? Ingroia spiega perché: «Quando cercavamo di catturare Riina tappezzammo Palermo di telecamere.

Ma con questa legge non avremmo più potuto farlo, perché non in tutti i luoghi c`era la certezza che si stesse commettendo un reato». Senza video il pentito Di Maggio non avrebbe riconosciuto Riina nelle immagini.

Il relatore del ddl Roberto Centaro, ex toga prestata al Pdl, dice che contro la mafia non cambia niente? Ingroialo smentisce. Per il terrorismo lo fa Spataro: «Saranno a rischio le indagini su quello italiano e su quello internazionale. Con danni pesantissimi. Non riesco a capire come si possa dire che la sicurezza è un obiettivo da perseguire con determinazione e poi indebolire il più importante mezzo di investigazione». Spataro fa un esempio: «A marzo abbiamo chiuso un inchiesta su un traffico d`armi verso l`Iran. Non avremmo potuto intercettare per mesi e mesi prima di acquisire prove che il giudice ha ritenuto valide. Una massa neppure conteggiabile di indagini saranno irrimediabilmente danneggiate».

Spataro ammette «la tracimazione degli ascolti per voyerismo giornalistico, ma la via per evitarlo è un archivio riservato delle carte, non certo la “morte” degli ascolti.

Rossi critica la censura sulla stampa. «Viene incredibilmente cancellata, e al suo posto se ne mette una confusa e oscura, la norma dei codice che garantisce di poter pubblicare gli atti non più coperti dal segreto. Il divieto non reggerà né alla prova dei fatti, né a quella del diritto perché si traduce in uno scontro frontale, brutale, insostenibile con le libertà fondamentali delle moderne società democratiche. L`asticella è stata fissata troppo in alto. Il Parlamento corre il rischio che le sue norme divengano grida inascoltate e siano smentite dagli organi di garanzia nazionali ed esteri».

La Repubblica 13.05.10

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