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"Istituti tecnici, la Confindustria coglionata", di Pino Patroncini

Quattro anni fa la riforma della secondaria superiore della Moratti era stata bloccata anche per l’opposizione anche di Confindustria che non gradiva la trasformazione degli istituti tecnici in generici licei tecnologici. In quella occasione gli istituti tecnici, rievocati come i grandi accompagnatori del processo di industrializzazione degli anni sessanta, erano stati persino definiti “i gioielli di famiglia”, i quali, per l’appunto, non potevano essere alienati.
Gelmini sapeva tutto ciò. Suo obiettivo fu quindi quello non cadere nello stesso errore di trovarsi praticamente nemici (e che nemici!) in casa. Pensò quindi di accattivarsi le simpatie di Confindustria per i suoi tagli-gabellati-per-riforma coinvolgendo gli industriali nella gestione scolastica da subito, senza attendere la riforma degli organi collegiali a cui stava lavorando la sua amica-rivale Aprea, e istituendo i cosiddetti comitati tecnico-scientifici paritetici tra componenti interne alla scuola e componenti esterne. Di fronte a questa proposta a Confindustria non parve vero di ritornare ai vecchi consigli di amministrazione degli istituti tecnici e professionali degli anni cinquanta e sessanta nella illusione di rinverdire le glorie industriali di quegli anni insieme alle glorie scolastiche.

Illusione perché fino al 1965 in realtà di glorie scolastiche ce ne erano poche: dalla scuola media usciva si e no il 35% dei ragazzi per ogni classe di età (dati ISTAT: vedere per credere!) ed ancor meno erano quelli che proseguivano alle superiori. Per di più la metà di questi, essendo i figli delle famiglie più colte e facoltose andavano al liceo e solo un’altra metà ai tecnici e ai professionali. Gli istituti tecnici in particolare finivano per raccogliere i più bravi in matematica della scuola media. Quindi la buona qualità degli istituti tecnici di allora era condizionata non dai consigli di amministrazione presieduti da qualche industriale ma dalla qualità degli alunni che uscivano, i migliori figli della classe operaia per lo più, quelli che a scuola andavano meglio, perchè gli altri andavano direttamente a lavorare senza aver fatto né terminato la scuola media e spesso neppure l’avviamento professionale che allora ancora esisteva.

Ma Confindustria abboccò all’amo accettando, praticamente a scatola chiusa, le misure della Gelmini.

Risultato?
Secondo i testi finali delle norme varate dalla Gelmini i comitati paritetici non sono obbligatori. Il Consiglio di stato infatti aveva fatto notare al ministro che la delega ottenuta dal Parlamento in merito non conteneva la riforma degli organi collegiali e quindi non si poteva procedere per decreto o regolamento alla modifica degli organismi di gestione.

Ma non è tutto. Alcuni mesi fa Confindustria si riunì a convegno per parlare di scuola a e mercato del lavoro, disse di avere bisogno che la scuola sfornasse almeno 250.000 tecnici all’anno e lamentò che gli istituti tecnici ne sfornavano solo 138.000 ( dati del 2008). Confindustria non sapeva che i tecnici non escono solo dagli istituti tecnici ma anche da quelli professionali, i quali da triennali che erano sono diventati appositamente quinquennali e sfornano circa 67.000 tecnici all’anno (sempre dati del 2008). Né il ministro Gelmini, che in merito è probabilmente più ignorante di Confindustria, pensò bene di ricordarglielo. Eppure 138.000 + 67.000 fanno 205.000: un dato assai più vicino alle necessità di Confindustria.
Se non che dai dati che stanno arrivando sulle iscrizioni alle prime classi si sta assistendo all’ennesimo incremento delle iscrizioni ai licei ai danni soprattutto degli istituti tecnici. Altro che più tecnici come vorrebbe Confindustria !!!

Come mai questo dato? E’ presto detto: una tendenza alla licealizzazione dell’utenza è in corso da anni e nei periodi di trambusto scolastico, come quelli interessati da riforme contestate come quelle di Moratti e Gelmini, questa aumenta poiché i licei sono sempre i meno interessati da modifiche e quelli che appaiono all’utenza come il porto più sicuro. Inoltre questa volta gli istituti tecnici sono schiacciati tra una moltiplicazione degli indirizzi dei licei e il ritorno di una istruzione e formazione professionale di durata triennale: da un lato 14 indirizzi liceali ( con i nuovi linguistici, musicali, economico-sociale, design, scienze applicate ecc,) al posto dei tradizionali classico, scientifico, artistico e dall’altro l’illusione dell’autosufficienza di un ciclo breve di avviamento al lavoro. E’ esemplare da questo punto di vista il caso della Lombardia, che non è propriamente l’ultima regione in fatto sia di produzione che di istruzione. Lì il 48% dell’utenza quest’anno sceglie i licei, l’11% l’istruzione professionale, il 17% la formazione professionale regionale o convenzionata, e appena il 23% sceglie l’istruzione tecnica. Se queste percentuali dovessero riprodursi a livello nazionale i tecnici tanto desiderati da Confindustria scenderebbero tra cinque anni da 138.000 a 115.000 per la parte sfornata dagli istituti tecnici e da 67.000 a 35.000 per la parte sfornata dai professionali, che Confindustria neppure prende in considerazione..

E non è finita qui: le famiglie sceglievano gli istituti tecnici perchè volevano che i loro figli diventassero periti, geometri, agrotecnici, ragionieri ecc., ma tra cinque anni nessuno degli immatricolati di quest’anno avrà questi titoli. Due norme dei regolamenti Gelmini sia sui tecnici che sui professionali si incaricano una di dire che alla fine gli studenti saranno semplicemente dei diplomati e l’altra di cancellare la norma che dichiarava la loro competenza professionale.
Il fatto è che queste cose ancora le famiglie non le sanno. Le scuole non gliele hanno dette, per paura di perdere iscritti. Ma quando questo sarà chiaro possiamo immaginarci dove finirà l’appeal già in calo di queste scuole.

Per compiere la giostra al fine di produrre un taglio maggiore e più immediato di risorse il governo non ha trovato di meglio che stabilire che, se in tutti gli istituti (licei, tecnici e professionali) partiranno con le nuove norme solo le prime, i tecnici e i professionali, ma non i licei, ridurranno comunque orari e curricoli anche nelle seconde nelle terze e nelle quarte. Oltre all’odiosità di questa discriminazione che puzza di classismo e di razzismo, è evidente il messaggio di scarsa considerazione che si vuole dare a questi percorsi, riducibili e manipolabili ad libitum secondo il gusto di chi governa.

Insomma Confindustria si è fatta coglionare su tutta la linea. Il guaio è che con lei è stato coglionato l’intero Paese.

da ScuolaOggi 14.05.10