partito democratico

"Non erano schiaffi", di Marina Sereni

«Basta schiaffi al leader» titola oggi un grande giornale parlando dell’atmosfera che avrebbe contrassegnato una riunione della maggioranza del Pd in risposta all’iniziativa di Area Democratica.
Poiché i resoconti giornalistici, con la parziale eccezione dei giornali amici come Europa, non hanno consentito di cogliere appieno né il clima né la ricchezza del dibattito (peraltro pubblico e disponibile sul sito www.areademocratica.it) di Cortona, forse non possiamo fidarci neppure della ricostruzione di quella riunione di “bersaniani”…Il seminario di Area Democratica è stato un successo, per la partecipazione di tante persone da tutta Italia, per la discussione approfondita sui molti temi politici cruciali per il Pd: il Nord e il Sud, il lavoro, la scuola e l’università, le riforme istituzionali, il futuro del bipolarismo, la strategia del Pd dopo il voto. A Cortona la minoranza del partito si è interrogata, con l’aiuto di esperti come D’Alimonte, Feltrin, Viesti, su come aiutare il Pd a comprendere la società italiana, a entrare in sintonia con ceti e territori che ci avvertono distanti dai loro problemi quotidiani ed incapaci di offrire una alternativa credibile alla destra. Sbaglierebbe dunque la maggioranza del partito a considerare con irritazione quell’appuntamento.
Intervenendo lì ho usato un’espressione, poi ripresa sia da Fassino che da Franceschini nella giornata conclusiva (cedo volentieri il copyright): la nostra tre giorni è stata «un atto d’amore verso il Pd», una sollecitazione a riflettere criticamente su ciò che non funziona nel profilo e nella strategia politica del nostro partito, alla luce dei molteplici segnali che il voto ci ha consegnato. I problemi che il Pd deve affrontare sono profondi e di medio periodo, non nascono con l’ultimo congresso. L’esito delle elezioni ci parla di una seria difficoltà di rapporto con l’Italia reale e dell’incapacità di fare sintesi efficaci su problemi complessi, nuovi e dirompenti nella società italiana: l’immigrazione, il patto fiscale tra stato e cittadini e l’efficienza della spesa pubblica, la flessibilità nel mercato del lavoro e l’equità tra le generazioni, la modernizzazione del sistema pubblico come fattore di equità sostanziale tra i cittadini, le modificazioni nella famiglia e le nuove esigenze di protezione sociale. Insomma non è imputabile solo a Bersani se il Pd appare oggi incapace di dare risposte convincenti alle domande che ci rivolgono sia aree sociali impaurite e impoverite dalla crisi sia ceti dinamici – come i milioni di operatori che si sono riuniti nella Rete Imprese Italia – vogliosi di affermare le proprie capacità e risorse per trasformare il paese.
Ci sono però almeno quattro punti su cui invece ci sembra indispensabile chiedere al segretario del partito di introdurre delle correzioni: l’abbandono di scorciatoie politiciste (le alleanze come surrogato del progetto) e organizzativistiche (la nostalgia per modelli di partito non più proponibili nella società atomizzata e complessa di oggi); l’accentuazione di un profilo del Pd come un partito “di sinistra”, che ritaglia per sé uno spazio ristretto a mondi considerati a torto “nostri”, e che magari guarda con favore ad un terzo polo “centrista”; un qualche fastidio per il pluralismo interno che rischia, soprattutto sul territorio, di spingere ai margini energie fondamentali per il Pd.
L’assemblea del 21 e 22 maggio dovrebbe avere al centro l’Europa e l’Italia, i problemi economici e sociali che toccano lavoratori e piccole imprese, le nostre proposte per far ripartire la crescita e per riformare le istituzioni, per l’università e per la green economy. Area Democratica non perderà l’occasione per portare in quella sede un contributo di idee e di contenuti.
Con lo stesso spirito ci confronteremo nella commissione statuto che sta predisponendo delle proposte da sottoporre alla stessa assemblea nazionale. Lo statuto è la carta fondamentale dello stare insieme nel partito, fu approvato all’unanimità ed è decisamente auspicabile che le regole siano frutto di una larga convergenza. Lo statuto non è intoccabile, ovviamente, e alcuni aggiustamenti sono opportuni anche alla luce dei problemi che si sono prodotti nel territorio all’atto concreto dell’attuazione di quelle norme.
Ciò che noi consideriamo prioritario e irrinunciabile è che le primarie per la scelta di candidati a sindaco, a presidente di provincia o di regione – preferibilmente di coalizione, altrimenti di partito – possano essere consolidate come uno strumento positivo, di rinnovamento della politica e di partecipazione dei cittadini. Nessuno ci capirebbe se riaprissimo una stucchevole discussione “di principio” su primarie sì/primarie no mentre centinaia di migliaia di persone si attendono da noi un’iniziativa politica che parli della loro vita quotidiana, delle loro paure e delle loro speranze in questa crisi. Ma nessuno ci capirebbe neppure se, anziché lavorare per migliorare il funzionamento di una delle innovazioni che gli elettori del centrosinistra hanno mostrato di apprezzare, facessimo dei passi indietro in un clima di così forte disaffezione e distanza dei cittadini dalla politica e dalle sue istanze.
Un partito grande e moderno per definizione non può essere monolitico e omogeneo nei riferimenti culturali e sociali, deve saper discutere, confrontarsi, fare sintesi. Pluralismo e unità stanno insieme, parlarsi e confrontarsi sulle idee è sempre meglio che chiudersi nei propri recinti magari per potersi dare meglio gli schiaffi.

da Europa Quotidiano 14.05.10