economia

"La crisi dell'Europa incompiuta", di Teodoro Chiarelli

Che fosse una fragile tregua, che l’intervento concertato a sostegno della Grecia non sarebbe bastato a placare i mercati, si era capito dai sinistri scricchiolii dei giorni scorsi. Ieri, puntuale, è arrivato l’ennesimo venerdì nero. Le Borse europee hanno tutte chiuso con tonfi rovinosi bruciando 166 miliardi; malissimo pure l’euro sceso sotto 1,24 dollari.
Sono bastate un paio di sparate intempestive per favorire nuovi allarmismi, seminare panico e scatenare la speculazione. Giovedì sera il numero uno della Deutsche Bank, Josef Ackerman, ha sollevato nuovi dubbi sulla solvibilità della Grecia. Seguito dal consigliere economico di Barack Obama, l’ottantatreenne Paul Volker, ex presidente della Fed con Carter e Reagan, secondo cui se l’Europa non procede verso una maggiore integrazione l’euro verrebbe messo in discussione.

La presa di distanza dei mercati è evidente e vanifica l’effetto calmierante delle massicce misure stabilizzatrici annunciate nello scorso weekend da Ue e Bce. Placate le tensioni sul mercato dei bond, restano ancora troppe le incognite sull’attuazione e l’efficacia delle misure anti-deficit, mentre inevitabilmente si profila il loro impatto negativo in termini di crescita economica e di tensioni sociali.

Il rischio di veder riproporre in giro per l’Europa gli scontri che hanno insanguinato Atene, purtroppo, è tutt’altro che remoto. La stessa Bce chiede ai governi operazioni che favoriscano lo sviluppo prefigurando il pericolo che la già fragile ripresina di Eurolandia finisca per essere subito soffocata. Nel frattempo dalla Grecia, al Portogallo, dall’Irlanda alla Spagna, tornano d’attualità parole come austerità e sacrifici. In Italia è in arrivo una manovra da 25 miliardi per il biennio 2011-2012 e si ipotizzano strette su pensioni di invalidità e finestre di anzianità.

In fondo il caso Grecia è stato un test sul futuro dell’Europa, sulla capacità dei Paesi Ue di stare insieme. Spiegava Romano Prodi qualche giorno fa che «un problema nato piccolo e trascurabile ha assunto dimensioni ben diverse a causa della divisione tra i partner Ue e del populismo: il mondo è cambiato, se non stiamo insieme scompariamo». La speculazione si sta scatenando sull’euro a causa della debolezza politica dell’Europa. Crisi fiscale, contagio, collasso della moneta unica: scenari da brividi che potrebbero avere conseguenze peggiori dello tsunami subprime.

I tanto temuti «criteri di Maastricht» e «patto di stabilità» stanno mostrando in realtà tutti i loro limiti. Abbiamo una moneta unica, ma mancano regole europee comuni e condivise. Decisioni fondamentali come quelle fiscali sono rimaste appannaggio dei singoli governi che procedono in ordine sparso, seguendo logiche politiche interne di breve periodo, spesso legate a scadenze elettorali (basti vedere i guasti prodotti nella crisi greca dalle elezioni tedesche in Nordreno-Vestfalia).

La speculazione che per sua natura non fa beneficenza né opere di bene ha colto questa contraddizione e si è insinuata nelle divisioni politiche all’interno dell’Ue scatenando le ondate di attacchi contro la moneta unica. La posta in palio è esattamente questa, uno scenario fino a poco tempo fa impensabile: la possibile rottura del sistema euro. Le conseguenze, soprattutto per un paese come l’Italia endemicamente malato di debito pubblico, sarebbero drammatiche. Nata con una moneta forte, l’Unione Europea non è stata in grado di dotarsi di strumenti adeguati, non ha voluto darsi un’autorità di controllo e sorveglianza né preventiva, né successiva.

C’è chi sostiene che l’unica via d’uscita sia andare oltre Maastricht e patto di strabilità, varando limiti comunitari vincolanti e istituzioni a cui assoggettare le leggi di bilancio nazionali. Insomma, strutture sovranazionali e istituzioni fiscali federali. La domanda da porsi è tutto sommato semplice: arrivati a questo punto, meglio fare un passo avanti o farne uno indietro?

La Stampa 15.05.10