economia

"Nessuno è al sicuro", di Massimo Riva

Non è vero che l´Italia può starsene tranquilla al riparo del così pur decantato rigore del ministro Tremonti. Ora, infatti, è lo stesso governo ad ammettere che una manovra di tagli alla spesa pubblica va allestita al più presto nella classica forma delle procedure d´urgenza, con un decreto-legge da varare entro il mese di giugno.
Con ogni probabilità non saranno provvedimenti da lacrime e sangue, come quelli adottati dapprima in Grecia e poi in Spagna e Portogallo, ma non potranno nemmeno essere carezze. È significativo, del resto, di un destino comune dei paesi mediterranei il fatto che anche a Roma si stia pensando di agire sugli stessi fronti contabili, che sono al centro delle manovre altrui. Segnatamente sulla componente principale della spesa che, da noi come altrove, è rappresentata da salari e stipendi delle pubbliche amministrazioni.
Le prime indiscrezioni sui lavori in corso dicono, infatti, che non si pensa magari a sforbiciare di netto le buste paga dei dipendenti pubblici e però si punta a fermare la crescita del monte salari del pubblico impiego con uno slittamento – che potrebbe arrivare fino al 2013 – dei relativi rinnovi contrattuali. Misura che tecnicamente non si può chiamare taglio, ma che di questo ha i medesimi effetti pratici seppure scaglionati nel tempo.
Nella stessa direzione vanno altre ipotesi di intervento allo studio. Come quella di portare da 90 a 180 giorni il tempo di pagamento delle liquidazioni ai lavoratori pubblici che vanno in quiescenza. O come l´altra di chiudere già da quest´anno una o due finestre di uscita per coloro che vogliano usufruire delle pensioni d´anzianità. Al momento, naturalmente, è difficile distinguere fra le tante indiscrezioni fatte filtrare quali siano effettivamente fondate e quali altre magari siano dei puri «ballon d´essai» messi in circolazione solo per saggiare le reazioni del mondo sindacale e delle categorie interessate.
Di sicuro c´è comunque un fatto: la maschera dell´ottimismo fino a ieri ostentata dal governo è già andata in frantumi. Come non sta più in piedi l´abusato giochetto di presentare questo intervento come il naturale seguito di una ben calcolata manovra triennale.
Se si ritiene necessario intervenire per decreto a giugno 2010, ciò significa che si vogliono raccogliere i frutti degli interventi già per tutto il secondo semestre dell´anno in corso. Dunque, che le previsioni sull´andamento dei conti di quest´anno erano sbagliate e devono subire una rapida correzione.
Né serve che per rendere meno indigesta questa svolta ci sia qualcuno che si fa avanti con la proposta di un taglio del 5 per cento agli stipendi di ministri e parlamentari. Come il ministro Calderoli, che parla in proposito di un doveroso atto di buon esempio da parte della classe politica. Il danno pazienza, ma la beffa questa è davvero eccessiva. Il problema dei costi della politica si risolve con una limatura a un migliaio di buste paga?
Sembra uno scherzo. A parte il fatto che nel denaro versato ai parlamentari l´indennità costituisce una parte sempre meno importante, forse è il caso di ricordare che i veri e più sostanziosi costi della politica riguardano l´esistenza di una struttura pletorica di organismi: alcuni dei quali, come le province, svolgono compiti assai limitati ma dando sovrabbondante foraggio a coloro che le amministrano. Invece di cercare di fare bella figura con espedienti a buon mercato, perché il ministro Calderoli non spiega l´opposizione della Lega all´abolizione delle province?
Ora che sul paese sta già per abbattersi il rendiconto con le false promesse di non mettere le mani nelle tasche degli italiani, non guasterebbe almeno un po´ di rispetto per l´intelligenza – oltre che per il portafoglio – dei cittadini.