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"Poche culle, gli italiani sono a rischio estinzione" di Cesare Buquicchio

Gli italiani sono in via d’estinzione, ma a nessuno sembra importare. Sembra bizzarro, ma non sembra importare nemmeno a chi sulla tutela degli “italiani” ci costruisce slogan e campagne elettorali. Per tutto questo c’è anche una spiegazione, ma la rimandiamo a tra poco. Intanto, va detto, che il destino della popolazione del nostro paese interessa a Fred Pearce, giornalista scientifico inglese pluripremiato per i suoi libri e per le sue inchieste.
Pearce ha da poco pubblicato un libro (edito in Italia da Bruno Mondadori) che si intitola Il pianeta del futuro. Dal baby boom al crollo demografico e che studia gli andamenti demografici della popolazione umana e gli scenari futuri. Affrontando questo studio ricco, oltre che di dati, di testimonianze e racconti raccolti in giro per il mondo, Pearce non ha potuto non soffermarsi sul paese più vecchio del mondo (l’Italia) e con un tasso di crescita demografica disastroso (sempre l’Italia).
Italiani in via d’estinzione, dicevamo, perché, scrive Pearce, se si continuerà a fare figli con questo ritmo entro la fine del secolo gli italiani sarebbero l’86% in meno di adesso, scendendo a 8 milioni di abitanti contro i 56 milioni attuali. Perché sta succedendo?
«Quello sta capitando in Italia è una anteprima di una tendenza mondiale che vedrà nei prossimi anni un picco di crescita della popolazione umana e poi un brusco e prolungato calo – ci spiega Pearce in un incontro nella redazione de l’Unità –. Ci sono spiegazioni diverse in ogni paese per questo: dalla legge del figlio unico cinese, agli effetti della recessione globale per le economie avanzate. Ma, lo “sciopero delle culle” italiano risponde a dinamiche anche più concrete».
Quali sono?
«I giovani non hanno nessuna fiducia nel futuro, si sentono a stento in grado di badare alla propria sopravvivenza, figurarsi a quella di una famiglia. Le giovani donne, inoltre, condividono queste preoccupazioni e ci aggiungono la scarsa affidabilità dei loro compagni a condividere il peso dei figli e le scarsissime tutele che il mercato del lavoro assegna loro».
Scusi Pearce, ma come si fa ad immaginare un paese che tutela i suoi giovani se, dall’altra parte, invitiamo gli anziani, che sono sempre di più e che occupano tutti gli spazi decisionali della società, a comportarsi come trentenni, a godersi la vita, a vendere
le loro grandi case rimaste vuote per pagarsi viaggi o corsi di skateboard (tutti esempi presi dal suo libro). Insomma, quelle grandi case vuote non sarebbero utilizzate meglio come incentivo ai giovani per mettere su famiglia?
«Gli anziani sono destinati rapidamente a diventare il blocco sociale più numeroso e potente, non solo in Italia ma in tutto il mondo. E questo accadrà per la prima volta nella storia dell’umanità, quindi non si sa cosa succederà. Possiamo solo avanzare delle ipotesi: gli anziani come risorsa per le società del futuro, con la lo-
ro saggezza, pacatezza e frugalità che influenza anche i comportamenti degli altri membri della comunità. Oppure potremmo avere anziani individualisti ed egocentrici che tentano di non invecchiare mai e, aiutati dalla medicina, si comportano secondo i modelli culturali consumistici». Tipo un settantenne molto popolare in Italia, coinvolto in scandali sessuali e che non perde occasione per dire di sentirsi un trentacinquenne… «Esatto. Il vostro premier è l’unico in Europa nato prima della seconda guerra mondiale e da come si comporta non sembra dare molta attenzione alle esigenze dei giovani e, davvero, non sembra rispecchiare quel modello di anziano saggio, frugale e attento al bene della comunità».
Ed ecco qui una delle spiegazioni al perché si parla tanto di famiglia e di “italiani” ma in concreto non si fa niente per tutelarla.
«Per garantire la sopravvivenza degli italiani e, più in là, del genere umano, occorre che ci sia un patto tra le generazioni. I giovani devono cominciare a considerare gli anziani non più come un peso, ma come una risorsa. Questi ultimi devono sentirsi più responsabilizzati, devono prolungare la loro età lavorativa, soprattutto le donne, e mettersi al servizio della società».
A guardarsi intorno, ad osservare il massiccio trasferimento di risorse dalla fase iniziale dell’età lavorativa a quella finale coinciso con la diffusione del precariato nel nostro paese,
«Sì, così sembra. Ma se vogliamo che i giovani ricomincino a fare figli e a guardare con fiducia al futuro la situazione deve cambiare. Deve cambiare l’atteggiamento dello Stato, innanzitutto, ma non solo quello. È importante che anche il rapporto tra uomini e donne sia diverso. Non dobbiamo mettere in condizione le donne di dover scegliere tra i figli e il lavoro, non è ammissibile. E poi servono soluzioni creative, livelli retributivi che non abbiano un andamento banalmente crescente per tutta l’età lavorativa, ma che sostengano la nuova organizzazione sociale».
Un altro elemento che dal suo libro appare essenziale per un futuro equilibrato è quello della libera migrazione delle persone dalle società più povere a quelle più ricche.
«Sono convinto che l’immigrazione sia un dato di fatto e che avremo sempre più bisogno di stranieri per mantenere i nostri livelli demografici e rispondere alle domande del mercato del lavoro. Il Giappone, il paese più vecchio del mondo dopo l’Italia, da florida potenza economica è entrato in una profonda recessione e in tanti ora rimpiangono il fatto di aver impedito una massiccia immigrazione».

L’Unità 16-05-10