economia, politica italiana

"Il vizio dell'una tantum", di Tito Boeri

Il compito non è dei più facili, ma tutt´altro che impossibile. Vediamo di cosa si tratta. Ci vogliono 25 miliardi nei prossimi due anni e mezzo. Forse 30 nel caso in cui le previsioni del governo sulla crescita economica e sul gettito dovessero rivelarsi troppo ottimistiche.
Probabile che sia così perché l´incertezza associata alla crisi della Grecia spinge famiglie ed imprese a rinviare ulteriormente piani di spesa e di investimento. Si tratta dunque di quasi il 4% del bilancio dello Stato. È più di quanto ogni anno spendiamo per difesa e istruzione universitaria messe insieme. Devono essere interventi strutturali, con effetti permanenti, non misure una tantum. Bisogna agire senza soffocare sul nascere la timida ripresa in atto. Quindi in modo mirato, selettivo. Occorre decidere in fretta perché gli altri paesi nel mirino degli investitori hanno già annunciato ambiziosi piani di rientro del debito. Un ritardo dell´Italia potrebbe venire interpretato come una incapacità di mettere in atto quella exit strategy che da tutti (questa settimana è stato il turno del Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale) ci viene richiesta. E a quel punto la manovra potrebbe diventare ancora più imponente perché dovremmo anche trovare il modo di finanziare crescenti oneri sul nostro debito pubblico. Questo significa che i segnali sulla manovra vanno calibrati attentamente. Naturale che i dettagli siano in via di definizione, che diverse scelte siano ancora oggetto di negoziazione all´interno della maggioranza e con le parti sociali. Ma è fin da subito essenziale definire il perimetro dell´aggiustamento, fissare alcuni paletti. Eccone alcuni che, ci auguriamo, il ministro dell´Economia vorrà confermarci quanto prima. Primo, non ci saranno nuovi condoni dopo lo scudo fiscale. Stiamo in questi giorni assistendo a un cliché già tristemente sperimentato nel nostro paese. Si minacciavano tagli alle pensioni e agli stipendi dei dipendenti pubblici per poi varare i condoni che, a quel punto, apparivano come il male minore. È una strada che non può essere perseguita. Tra l´altro le entrate dei condoni non verrebbero neanche contabilizzate come parte dell´aggiustamento. Abbiamo bisogno di misure strutturali, non di interventi che aumentino il gettito pregiudicando le entrate future.
Secondo, non ci saranno interventi volti a fare cassa nell´immediato, aumentando gli impegni di spesa futuri. Ad esempio la prospettata chiusura delle finestre per le pensioni di anzianità, quando ormai molte persone coinvolte, sono nel sistema misto, può servire quasi solo a ridurre temporaneamente le spese per aumentare quelle future. Per un po´ si pagheranno meno pensioni. Ma alla riapertura delle finestre le pensioni che si dovranno pagare saranno più pesanti. Risultato? Risparmi strutturali esigui che rischiano di essere vanificati dalle fughe anticipate che avvengono sempre dopo annunci di questo tipo.
Terzo, gli effetti delle misure adottate non verranno sovrastimati. Non possiamo permettercelo dopo i trucchi contabili greci. Speriamo che il governo voglia dare un segnale di discontinuità nel contrasto all´evasione, come ieri annunciato da Tremonti. Ne avrebbe la possibilità perché l´anagrafe dei conti bancari e strumenti quali il redditometro consentirebbero interventi molto più efficaci che in passato. Sin qui il governo non ha voluto farlo e ed ha teorizzato nei suoi documenti di non voler appesantire troppo le imprese durante la crisi. Se vuole fare sul serio, può iniziare subito, senza attendere passaggi parlamentari. Ma non può certo convincere i mercati che la manovra consisterà solo nel recupero di evasione fiscale. Già tanto se il governo riuscisse a invertire la tendenza a un declino del gettito più forte di quello del pil cui abbiamo assistito in questa legislatura. Più di 5 miliardi recuperati dal contrasto all´evasione non sono davvero credibili.
Quarto, bene approfittare dei tagli per fare delle riforme. Giusto che i dipendenti pubblici diano il loro contribuito all´aggiustamento, come sta avvenendo in altri paesi. A differenza dei lavoratori privati, non hanno in questi anni corso il rischio di perdere il lavoro e per molto tempo hanno avuto incrementi salariali superiori, in media, a quelli del settore privato. Ma non si può certo procedere in modo indiscriminato con tagli uguali per tutti. Non voleva il governo introdurre la filosofia del merito nella pubblica amministrazione? Sin qui la riforma della PA è stata solo un titolo di giornale. Ha offerto in media qualcosa come 400 euro lordi all´anno ai dipendenti “meritevoli”, meno dell´1,5 per cento della loro retribuzione media. Si approfitti allora dei tagli (o del congelamento dei contratti) per rafforzare i premi per le amministrazioni (più che per i singoli) più efficienti. I tagli in altre parole devono essere la base su cui costruire premi più consistenti, in grado davvero di incentivare miglioramenti nella qualità dei servizi forniti ai cittadini. È un discorso simile a quello che oggi si può fare nell´università, dove i tagli sono già stati effettuati e dove si può ora davvero incentivare miglioramenti nella qualità della ricerca e della didattica distribuendo in modo selettivo gli incrementi nei finanziamenti pubblici agli atenei.
Quinto, non si abbia paura a tornare indietro. I tempi sono eccezionali. Basta non continuare a negare ciò che è apparente a tutti e cioè che la crisi non è finita. Non ci sarebbe nulla di male se il governo reintroducesse l´Ici sulla prima casa per i cittadini più abbienti abolita all´inizio del suo mandato. Gli elettori capirebbero. Farebbe bene anche a varare subito quegli interventi – come la tassazione delle rendite finanziarie – che serviranno in futuro a ridurre il prelievo sul lavoro. Due interventi che porterebbero tra i 7 e gli 8 miliardi alla manovra.
Sesto, si smetta di parlare di federalismo fiscale finché non ci sono numeri da esibire in linea con quanto diversi ministri (ieri è stata la volta di Bossi e Brunetta) continuano a predicare, e cioè che il federalismo sarà unicamente fonte di risparmi. Se i numeri non ci sono è perché la maggioranza non ha ancora trovato un accordo sulle tante cose vaghe, le tante indeterminatezze, che lastricano i commi della legge delega. Questo significa che il federalismo rischia eccome di far aumentare la spesa. Meglio allora rinviarlo a tempi migliori.

La Repubblica 19.05.10