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"Intercettazioni. Il Senato abroga il giornalismo: la cronaca diventa reato. Ferita la democrazia", di Tommaso Vaccaro

Si lavora persino in seduta notturna pur di dare alla luce nel più breve tempo possibile il ddl intercettazioni. Non c’è “settimana breve” che tenga: quando si tratta di sferzare il definitivo colpo di grazia al diritto/dovere di conoscere, di informare ed informarsi, i senatori mettono in tasca l’orologio e lavorano fino a notte inoltrata.
Una dedizione senza precedenti, grazie alla quale arriva il primo importante via libera in commissione Giustizia all’ennesima (e definitiva) “legge bavaglio”, sulla parte riguardante le sanzioni per editori e giornalisti a seguito della pubblicazione di indagini e intercettazioni prima dell’udienza preliminare.

La caccia al cronista

Bocciati gli emendamenti soppressivi presentati dalle opposizioni, infatti, il testo prevede che la pubblicazione degli atti comporta, per editori, una multa da 64.500 a 464.700 euro, mentre per i giornalisti le sanzioni sono più articolate e creative: una condanna fino a 2 mesi di carcere o un’ammenda da 2.000 a 10.000 euro, per la pubblicazioni degli atti anche per riassunto; una sanzione fino a 2 mesi di carcere e un’ammenda da 4.000 a 20.000 euro per la pubblicazione delle intercettazioni; la sospensione temporanea dalla professione.

Dal tour de force notturno, prende vita anche la norma “D’Addario” (ispirata alla gentil signora che, in cambio di denaro, giaceva con il premier a Palazzo Grazioli), ovvero il divieto di registrare conversazioni senza che ci sia il consenso di tutte le parti interessate. Infine, stop alle riprese visive o registrazioni “fraudolente”, con una pena per i trasgressori che arriva fino a quattro anni di reclusione.

Ma non finisce qui: secondo il disegno di legge in discussione non si potranno fare riprese televisive dei processi se non ci sarà il consenso di tutti. E ancora: chiunque riveli notizie che riguardano atti o documenti processuali coperti da segreto, rischia il carcere da 1 a sei anni.

Infine lo zuccherino al sapore d’incenso, con il rafforzamento della norma già esistente che obbliga il magistrato ad informare le gerarchie ecclesiastiche qualora l’indagato e/o intercettato sia un sacerdote o un vescovo. Una semi-immunità su mandato divino, insomma.

Un’altra notte insonne…poi il via libera definitivo

“Abbiamo convocato per questa sera alla 21 una notturna per tentare di finire l’esame del provvedimento”, annuncia così il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli. Un ultimo giro di valzer con scadenza definitiva giovedì mattina alle 8.30 (di emendamenti “ormai non ne restano più molti da votare”) e “spero – continua Berselli – che per quell’ora l’esame sia già concluso”. Perché la maggioranza continua a fare pressione affinché la partita si chiuda quanto prima. Su tutti, il capo dei senatori berlusconiani, Maurizio Gasparri che sollecita: “E’ tempo che il ddl sulle intercettazioni arrivi in aula. E’ un buon testo”.

Resta da sciogliere il nodo dell’emendamento del relatore che impone alle autorità giudiziarie di chiedere l’autorizzazione per intercettare un parlamentare. Spiega il senatore Pd, Felice Casson, che questa “è una norma per la quale serve una legge costituzionale”. Ma si vedrà.

L’opposizione
“La battaglia in aula la faremo tutta e comunque vedremo qual è il testo che arriva. Il ddl ha subito tante modifiche e contiene tante incoerenze che non ho ancora capito cosa verrà fuori”. Parla così, Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, che però sull’ipotesi referendaria nel caso in cui venisse varata la legge, preferisce glissare: “Questo non lo so”.

Dall’Italia dei Valori si fa notare, invece, che “se anche il vicedirettore de Il Giornale riconosce che il ddl sulle intercettazioni taglierà completamente le gambe all’informazione – afferma Luigi Li Gotti – è segno che quanto stiamo ripetendo da giorni è la pura verità: ma la maggioranza continua a far finta di nulla e prosegue imperterrita nel mantenere fermi i punti chiave del provvedimento. Insomma, quello che uscirà con ogni probabilità dalla Commissione rappresenterà un intervento devastante e un arretramento vistoso nella lotta al crimine”.

Contrari nel “metodo” e nel “merito” al ddl anche i centristi dell’Udc che, per bocca del senatore Gianpiero D’Alia, denunciano: “Più che aprirsi al contributo dell’opposizione, il governo e la maggioranza hanno preferito chiudersi a riccio, litigando al loro interno e proponendo emendamenti peggiorativi del testo o comunque insufficienti a risolvere i principali nodi del ddl”. Per questi motivi, annuncia D’Alia, “il nostro voto in commissione sarà contrario, pur confidando che in aula ci possano essere aperture e cambiamenti”.

L’informazione abrogata per legge

Ma a questo punto fin troppo banale sarebbe ripetere che gli scandali che tanto hanno indignato l’opinione pubblica negli ultimi mesi e contro cui Berlusconi ha sventolato la “tolleranza zero” del governo, semplicemente non esisterebbero se il ddl fosse già in vigore. Il ministro Scajola, nel suo “mezzanino” con vista Colosseo, sarebbe ancora allo scuro del dono ricevuto dagli ignoti benefattori; Guido Bertolaso sarebbe sempre l’eroe dei due mondi, senza macchia e senza peccato; il “sistema gelatinoso” ci farebbe pensare semplicemente ad un budino al cioccolato; nessuno saprebbe delle sonore risate telefoniche degli “sciacalli” pronti a spartirsi l’affare della ricostruzione post-terremoto in Abruzzo.

Un buio profondo sui fatti (misfatti) del Paese e sulle “cricche” che ne governano la politica e l’economia. Perché l’obbligo per i giornali di tacere fino alla chiusura delle indagini preliminari, cioè per svariati anni, stenderebbe di fatto un velo di silenzio sulle nostre peggiori pagine di cronaca.

Allora è forse più appropriato definire il testo in via di approvazione come una norma che abroga il giornalismo. Un provvedimento che, né più né meno, mette in soffitta il diritto all’informazione, ovvero un pilastro portante della nostra già malata democrazia.

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