economia

"Il commissario tremonti nella tempesta europea", di Eugenio Scalfari

Dedico ancora una volta queste mie note domenicali alla crisi economica e politica che scuote l´Europa e l´America. Ma prima non posso tralasciare lo scontro che si è acceso sulla legge che vuole mettere il bavaglio all´informazione e che per l´ennesima volta sta bloccando i lavori parlamentari su un provvedimento «ad personas».
Non si tratta solo di intercettazioni ma dell´intera attività della magistratura istruttoria, preclusa ai giornalisti e a chiunque voglia condurre inchieste su situazioni criminali o para-criminali, su chiunque voglia indagare sull´attività di enti pubblici a cominciare dal governo e su chiunque voglia capire quali siano le responsabilità degli uomini che a quelle istituzioni sono preposti.
La legge in seconda lettura al Senato era già stata approvata dalla Camera ma la commissione senatoriale che la sta esaminando l´ha fortemente modificata in peggio. Ha radicalizzato le pene per giornalisti ed editori, ha sbarrato definitivamente gli accessi alle fonti, ha vietato l´attività di cronaca e di inchiesta con modalità tali da realizzare un vero e proprio bavaglio a quel diritto di libertà talmente fondamentale per la democrazia da aver meritato addirittura la tutela costituzionale.
Il nostro giornale si sta battendo da mesi su questo tema e questa volta per fortuna non è il solo. Gran parte della stampa e dell´editoria sono sulla stessa linea.

Partiti, associazioni, movimenti giovanili sono mobilitati a difesa di quel diritto di libertà. Le istituzioni di garanzia, a cominciare dal Quirinale, vigilano con speciale attenzione e non è neppure mancata una testimonianza proveniente da un membro del governo Usa sull´importanza dei mezzi di indagine, intercettazioni comprese, nella lotta contro la criminalità internazionale.
Insomma lo scontro è al culmine anche perché le modifiche peggiorative introdotte al Senato richiederanno una terza lettura da parte della Camera dove le divisioni interne alla maggioranza potrebbero produrre rilevanti novità.
Non si tratta né d´una questione specifica e limitata né d´un atteggiamento corporativo da parte di giornali e di editori. La legge patrocinata dal presidente del Consiglio e dal ministro della Giustizia coinvolge e deforma uno dei connotati essenziali della Costituzione repubblicana. Questo spiega la centralità del tema e l´importanza dello scontro in atto.
I membri del governo sono allineati a difesa della casta cui appartengono, nella pretesa di ottenere il silenzio e l´impunità per le loro non commendevoli gesta. Tutti, salvo Giulio Tremonti. Quel silenzio è molto significativo.

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Un dato di fatto sta emergendo con chiarezza nella politica italiana: da quando il dissesto finanziario della Grecia ha innescato la seconda fase della crisi economica internazionale, il governo italiano è commissariato, il commissario è Tremonti. È lui che detta le soluzioni, la tempistica, l´ammontare delle manovre di assestamento del bilancio, la distribuzione degli oneri tra le varie categorie sociali ed è lui che si raccorda con le istituzioni europee. È lui cioè che traduce in italiano la politica europea della Commissione di Bruxelles e della Bce.
In questo contesto Silvio Berlusconi è non più che l´ombra del ministro dell´Economia. Di tanto in tanto, per non scomparire del tutto dalla scena, tenta qualche fuga in avanti, qualche correzione marginale al dettato tremontiano, qualche dilazione nella tempistica e diluizione dei contenuti, ma presto rientra e si allinea ai «diktat» del suo ministro-commissario, che è ormai il vero capo di questo sconquassato governo.
La politica di Tremonti è chiara: una manovra di 28 miliardi di euro da rendere esecutiva subito, per decreto data l´urgenza, che metta al riparo i conti dello Stato per i prossimi due anni 2011-2012, attraverso tagli di spesa, prelievi «una tantum» sul pubblico impiego e sulle finestre di uscita di pensionati per vecchiaia e per anzianità aziendale, condoni edilizi, diminuzione dei trasferimenti dal centro agli enti locali, congelamento di grandi opere, congelamento di contratti collettivi in scadenza.
Insomma una vasta manovra con effetti inevitabilmente depressivi perché abbassano la capacità di spesa della popolazione specie in una fase di ampio ricorso alla Cassa integrazione e di diminuzione dell´occupazione precaria.
Questo hanno deciso i vertici europei, questo stanno facendo gran parte dei paesi membri dell´Unione, a cominciare dai più solidi e dai più deboli: la Germania come la Grecia, la Francia come la Spagna, la Gran Bretagna come l´Irlanda e il Portogallo.
Perfino Obama ha imboccato questa strada obbligata perché l´attacco dei mercati contro i fondi sovrani, cioè contro i debiti contratti dagli Stati per fronteggiare la crisi bancaria e industriale del 2008-2009 ha reso inevitabile un assestamento gigantesco delle pubbliche finanze in tutto l´Occidente.
La dimensione della manovra italiana è notevolmente minore di quanto avviene altrove, ma se si tardasse ad attuarla subito aumenterebbe inevitabilmente; perciò ha ragione Tremonti a scandirne l´urgenza oltre che la necessità. C´è oltretutto da tutelare una massa ingente di titoli pubblici in scadenza nei prossimi mesi e da reperire la nostra quota di contributo al Fondo europeo di sostegno ai bilanci dei paesi in dissesto. In conseguenza esiste la fondata ipotesi che la manovra da 28 miliardi possa non esser sufficiente e che altri disagi possano derivarne ai bilanci familiari e ai livelli dei redditi individuali.
I partiti d´opposizione hanno ragione di ricordare a Tremonti la dissipazione di risorse che fu fatta agli inizi di questa legislatura, quando già la crisi mondiale e la bolla immobiliare americana erano in piena evidenza; ma quegli errori sono ormai avvenuti e un loro voto contrario alla manovra che sarà nei prossimi giorni varata non avrebbe alcuna giustificazione plausibile per quanto riguarda tagli di spesa e prelievi, salvo discuterne le modalità sociali. Però c´è un però, che il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha già messo in evidenza e che Tremonti farà bene a prendere molto sul serio e a non rinviarlo con la sua consueta e alquanto arrogante alzata di spalle. Il però è quello della crescita.
Bersani ha detto che senza crescita non si va da nessuna parte. L´hanno detto anche Barroso e il presidente della Banca centrale Europea, Trichet. Ne tenga dunque conto il nostro ministro-commissario.

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La crescita non può venire che da una ripresa della domanda di consumi e di investimenti. Gli strumenti sono lo sgravio fiscale e contributivo, l´accelerazione dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, un primo inizio di riforma fiscale che serva a finanziare queste misure di sostegno attraverso uno spostamento dell´onere dal reddito delle persone al valore delle cose, oltre alla lotta contro l´evasione fiscale (per cui nuovi condoni non rappresentano una propedeutica appropriata).
Aggiungo (e l´hanno già detto in varie occasioni Bersani e Carlo De Benedetti ed è un punto di facile comprensione) che una più vivace crescita del Pil farebbe diminuire il deficit a parità di disavanzo del bilancio, facilitando in tal modo un più rapido rientro nei parametri del patto europeo di stabilità.
Tremonti incontrerà nei prossimi giorni le parti sociali per esporre i criteri della sua manovra e chiedere a quelle organizzazioni saggezza di comportamenti. Ma le vere prove che dovrà affrontare saranno quelle con l´opposizione parlamentare e con le aspettative dei mercati.
Il falso slogan berlusconiano della crisi che sarebbe da tempo alle nostre spalle non inganna e non incanta più nessuno. La crisi è ancora tutta davanti a noi e addirittura minaccia al cuore l´Europa, i fondi sovrani dei suoi Stati membri e la moneta comune.
Ci vuole perciò molto coraggio e molta coesione sociale e politica. Il presidente-ombra finora ha fatto solo danni. Il ministro-commissario può dare inizio ad una svolta che i fatti rendono necessaria, ma non avendo la bacchetta magica dovrà negoziare per il bene del paese e dell´Europa.

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Reggerà l´Europa? Ma quale tipo d´Europa?
L´Unione attuale è da almeno dieci anni in mezzo al guado. L´euro ha appunto dieci anni di vita e altrettanti ne ha la Banca centrale che emette la moneta comune, sia pure con qualche vistosa eccezione.
La Bce è la sola Banca centrale che non abbia alle sue spalle uno Stato, perché l´Unione non lo è. Ho scritto altre volte che una siffatta Banca centrale rappresenta un´anomalia che la rende più indipendente di tutte le altre dal potere politico ma nel contempo più fragile. È ormai chiaro che questa fase di transizione deve ormai finire.
Può finire in due modi: facendo rapidamente diventare l´Unione uno Stato, con un suo bilancio, una sua fiscalità, un Parlamento con candidature europee anziché nazionali, una sua politica estera, una difesa comune. Ci vorranno anni, ma i passi decisivi debbono esser fatti subito, quantomeno per quanto riguarda la fiscalità, il bilancio, il governo economico europeo, con le relative cessioni di sovranità.
L´altra strada è quella proposta dalla Germania: invece d´una cessione di sovranità dagli Stati all´Unione, una delega ai paesi più forti per governare l´economia e la finanza dell´intera Unione. Insomma un Direttorio dotato di ampi poteri.
Angela Merkel sottintende che i membri del Direttorio siano, oltre alla Germania, la Francia, l´Italia, l´Olanda, il Belgio, cioè i paesi fondatori, Gran Bretagna esclusa per via della moneta non comune. Ma, a parte i malcontenti di un assetto di questo genere, la proposta non nasconde la realtà: si tratta di un´egemonia tedesca sull´Europa, sia pure con un diritto di veto della Francia e gli altri a reggere la candela.
Tutti i poteri nuovi nascono da un´egemonia, ma qui c´è di mezzo una storia plurisecolare, una guerra che ha visto la Germania contro il resto del mondo, un genocidio spaventoso. E c´è soprattutto una disparità di economie che va assolutamente colmata ma con terapie farmacologiche e non chirurgiche.
La Germania – è vero – possiede a sua volta un´arma deterrente potentissima: se non si raggiungesse un accordo che la soddisfi potrebbe decidere di uscire dall´euro e tornare al marco. Si assumerebbe la responsabilità – per la terza volta in un secolo – d´aver ucciso l´Europa e d´avere al tempo stesso suicidato se stessa.
Non crediamo che possa arrivare a tanto. Non crediamo che la sinistra tedesca, i liberaldemocratici, i verdi, l´industria, il sistema bancario, infine la gran parte dell´opinione pubblica tedesca possano accettare un doppio omicidio politico di questo genere.
Se il nordismo europeo varcasse questa soglia, veramente una nuova barbarie seppellirebbe l´intera civiltà occidentale e il nostro continente diventerebbe un arcipelago regionale gravido di contraddizioni tra deboli e debolissimi e non risparmierebbe nessuno, rafforzando soltanto le criminalità organizzate e consegnando un immenso mercato alle bocche voraci dei poteri forti mondiali.
Questi scenari apocalittici sono fuori dalle previsioni ma è opportuno siano tenuti presenti da quanti pensano che ci sia ancora tempo per occuparsi soltanto dell´utile proprio e della propria casta di appartenenza.
Quel tempo è finito. La crisi greca ha avuto almeno il pregio di mettere questa dura realtà sotto gli occhi di tutti. Non è così, onorevole ministro Giulio Tremonti?

La Repubblica 23.05.10