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"Quelle misure che colpiscono alla cieca", di Luca Ricolfi

Non c’è manovra finanziaria varata da un governo, di destra o di sinistra, che non venga accusata di iniquità. I tagli di spesa e le misure anti-evasione, ripetiamo ogni volta, non sono selettive, colpiscono alla cieca, e quindi sono fondamentalmente ingiuste e inefficaci. Sì, è vero, e questa manovra non fa eccezione. Ma vogliamo chiederci perché?
A mio parere ci sono due ragioni distinte per cui le cose vanno così. La prima ragione ha a che fare con il tempo. I nostri politici sono abituati a varare le manovre finanziarie in poche settimane, avendo chiara soltanto l’entità della correzione da effettuare. Ma la stragrande maggioranza delle misure di cui da anni e anni si discute, a partire da quelle di riduzione degli sprechi, per essere efficaci richiedono un tempo di preparazione enormemente superiore a quello che i politici si danno.

Da alcuni anni mi occupo di sprechi nella Pubblica amministrazione, e vi posso assicurare che per costruire un indice di «virtuosità» o di efficienza delle Regioni, dei Comuni, degli atenei, delle Asl o dei tribunali ci vuole un lavoro enorme. Bisogna raccogliere i dati di base secondo schemi uniformi, bisogna essere in grado di riceverli tempestivamente (anziché con 2-3 anni di ritardo), bisogna costruire dei modelli matematico-statistici per analizzarli, bisogna discutere a fondo con utenti ed amministratori per capire i problemi anche in modo qualitativo, dal vivo e dall’interno. In breve ci vuole un’infrastruttura di conoscenza molto analitica, molto dettagliata, molto precisa. E per produrre una simile infrastruttura ci vuole tempo, parecchio tempo, diciamo almeno due anni. Un ceto politico consapevole di questo, un paio di anni prima delle elezioni comincerebbe a preparare decine di dossier e di piani di intervento per mettersi in condizione, una volta al governo, di realizzare le cose che promette in campagna elettorale. Invece non solo questo non accade prima, ma non accade nemmeno dopo la vittoria elettorale. Nonostante il fatto che di federalismo, di lotta agli sprechi e all’evasione fiscale si parli ormai da almeno quindici anni, e a dispetto dell’impegno di piccoli gruppi di amministratori e di studiosi, l’infrastruttura di conoscenza necessaria per governare il fisco e ridurre gli sprechi oggi in Italia non esiste. E quando la conoscenza di dettaglio manca, è impossibile fare interventi davvero mirati, selettivi, chirurgici. Scattano i cosiddetti «tagli lineari»: tot% sui ministeri, tot% sui Comuni, tot% sulle Regioni, tot% sui parlamentari. E’ come curare un tumore con la chemioterapia: si colpisce tutto l’organismo, e quindi anche il tumore.

Di qui la sensazione di iniquità. Le parti sane dell’organismo sociale non capiscono perché vengono colpite, e la loro giusta protesta si mescola alle lamentele di chi vuole solo conservare privilegi, o non ha la minima intenzione di abbandonare i propri vizi, o non è disposto a fare alcun sacrificio per il bene comune. E la manovra rivela la tipica struttura di tutte le manovre affrettate: i provvedimenti più ragionevoli (come i sacrifici richiesti alla politica) sono i meno capaci di generare risparmi, i provvedimenti più capaci di generare risparmi (come i tagli generalizzati ai bilanci di Regioni e Comuni) sono i più irragionevoli.

C’è però anche una seconda ragione per cui la manovra appare iniqua. Ed è che essa non solo non fa quello che, anche volendo, non potrebbe comunque fare per mancanza di progetti dettagliati, ma non fa nemmeno quello che sarebbe alla sua portata con le poche informazioni di cui già disponiamo. Mi spiego con un esempio: per eliminare le storture di ogni singolo territorio (sprechi ed evasione fiscale) ci vorrebbe uno studio ultra-analitico, comune per comune e servizio per servizio, che al momento non c’è. Ma per territori sufficientemente vasti (Regioni e Province) i dati ci sono. Noi sappiamo già, con notevole precisione, quali sono i territori che evadono e sprecano di più. Ci sono studi dell’Agenzia delle entrate, ci sono lavori di università e centri di ricerca, e tutti concordano nel disegnare una certa mappa dell’Italia, regione per regione e qualche volta provincia per provincia. Una manovra equa dovrebbe tenerne conto, dandosi obiettivi rigorosamente territoriali. Sia i tagli alle spese, sia i recuperi di evasione, non dovrebbero essere uniformi, ma tenere conto di quel che già si sa. Non è esatto quello che ha detto Berlusconi: «Siamo vissuti al di sopra dei nostri mezzi». La realtà è che alcuni territori sono vissuti al di sopra dei propri mezzi, altri al di sotto. Gli squilibri fra quel che un territorio dà e quel che riceve sono impressionanti: fatto 100 il reddito prodotto sul mercato, il cittadino lombardo consuma 50, quello calabrese 113. L’intensità dell’evasione fiscale in Lombardia è pari il 12%, in Calabria l’85%. Le false pensioni di invalidità costano alla collettività 8 miliardi di euro l’anno, ma nel Lombardo-Veneto sono sotto il 10%, nelle tre regioni di mafia sopra il 50%. Non vi sembra che ci sia qualcosa che non va?

E’ innanzitutto di qui che nasce quel senso generale di ingiustizia che da un po’ di tempo avvelena il Paese. Sappiamo tutti che le cose non vanno, sappiamo anche che le responsabilità non sono distribuite in modo uniforme, ma poi quando si arriva al dunque, la manovra colpisce all’impazzata. Vedremo alla fine le cifre esatte e i criteri di ripartizione dei tagli a Regioni ed Enti locali. Ma è chiaro che se i sacrifici richiesti a Lombardia ed Emilia Romagna, le due regioni più «formiche» del Paese, dovessero essere eguali a quelli richiesti a Calabria e Sicilia, le due regioni più «cicale» del Paese, allora dovremmo trarne un’amara conclusione: il federalismo è morto prima ancora di cominciare. E a seppellirlo non sono stati i suoi nemici storici, bensì un governo di cui la Lega è una componente fondamentale.

La Stampa 28.05.10