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Napolitano: Unità nazionale e coesione sociale non significano burocratismo

Intervento del Presidente della Repubblica Napolitano alla Celebrazione dell’anniversario della morte di Cavour.
“”La cerimonia di oggi in questo luogo intensamente evocativo della figura di Camillo Benso Conte di Cavour, è una nuova, essenziale tappa del percorso celebrativo già avviato, in vista del 150° anniversario di quel 17 marzo 1861 che sancì – con la proclamazione di Vittorio Emanuele II a Re d’Italia – il compimento del processo unitario, la nascita del nostro Stato nazionale.

Già in questi mesi abbiamo ricordato e celebrato eventi che segnarono nel 1860 la fase conclusiva del movimento per l’Unità d’Italia : così, il 5 maggio, la partenza da Quarto in Genova della spedizione dei Mille, e la settimana successiva lo sbarco a Marsala, che aprì la strada alle battaglie per la liberazione della Sicilia e infine dell’intero Mezzogiorno. Questa mattina – rendendo omaggio alla tomba che custodisce le spoglie di Cavour – noi vogliamo piuttosto dare impulso al discorso che dovrà svilupparsi attorno all’insieme delle vicende destinate a sfociare nell’unificazione dell’intera nazione italiana : vicende la cui trama e il cui svolgimento ebbero il loro massimo, sapiente artefice e regista in Cavour.

Il timore che si potesse procedere nelle celebrazioni del nostro centocinquantenario trascurando la valorizzazione di Cavour, dei fatti, dei luoghi, dei simboli che a lui riconducono, non meritava neppure una ovvia smentita. Il processo di avvicinamento all’Unità d’Italia e il suo coronamento, non sopportano qualsiasi rappresentazione restrittiva o unilaterale : se non si vede come potrebbe concepirsi un qualche oscuramento del ruolo di protagonista di chi guidava il governo di Torino, egualmente insostenibile sarebbe qualunque menomazione della ricchezza e della molteplicità di volti e di apporti che compongono la storia del movimento e processo unitario. Sarebbe davvero insensato e perfino grottesco riesumare logiche e contrapposizioni partigiane tendendo a spostare l’accento sull’una o sull’altra delle fondamentali figure rappresentative di quel movimento, di quel processo.

Non si può giocare a fare i garibaldini, i democratici o i rivoluzionari contro i moderati cavouriani, né a separare il ruolo di guida svolto da Cavour, fermo restando il riferimento all’autorità del Re, dall’iniziativa di Garibaldi, dagli impulsi di Mazzini, dalle intuizioni di Cattaneo. La grandezza del moto unitario in Italia sta precisamente nella ricchezza e molteplicità delle sue ispirazioni e delle sue componenti ; la grandezza di Cavour sta nell’aver saputo governare quella dialettica di posizioni e di spinte, nell’aver saputo padroneggiare quel processo fino a condurlo al suo sbocco più avanzato. Tutto ciò è stato d’altronde al centro della vasta ricerca storica fondata su preziose fonti documentarie, su analisi, ricostruzioni e interpretazioni di valore scientifico – che in Italia, e anche con apporti di studiosi stranieri, si è accumulata nel corso dei decenni. Ne possiamo essere orgogliosi, e tante delle opere che nel Novecento, compresa la sua seconda metà, hanno visto la luce, meriterebbero di essere riproposte oggi all’attenzione di un largo pubblico, in special modo di un pubblico giovane. In questo senso potrebbe valere, come sollecitazione, anche il programma delle celebrazioni del centocinquantenario. Ma molto possono contare iniziative di riflessione e di dibattito come quelle che già sono in cantiere, al fine di produrre approcci più freschi e approfondimenti ulteriori rispetto alla grande tradizione degli studi sul Risorgimento e sull’Unità. Ed è un segno assai positivo il manifestarsi di un nuovo fervore di studi – non solo in Italia – specialmente sulla figura di Cavour.

Figura straordinaria di uomo di governo e di statista, di maestro nell’arte della politica, di tessitore e guida di un processo storico di rilievo nazionale ed europeo. La più recente opera, anch’essa di non comune impegno e spessore, dedicata a Cavour ha messo in evidenza le motivazioni di fondo che ne orientarono la politica oltre i limiti del Regno sabaudo, nel quale si venne formando e affermando. Si trattò di motivazioni che facevano tutt’uno con la coscienza della fragilità, della stessa difficoltà di sopravvivenza di quel piccolo Stato subalpino, e quindi della necessità di una sua scelta espansionistica nella pianura padana, che si caratterizzasse però come momento dell’affermazione in tutta Europa del principio di nazionalità e s’incontrasse quindi con il crescere del moto patriottico italiano, con una prospettiva di emancipazione nazionale dell’intera penisola. Si è riaffacciata in quest’ultimo periodo la tesi dell’assenza, nel disegno cavouriano, dell’obbiettivo di un’acquisizione del Regno delle Due Sicilie come parte del nuovo Stato che ci si proponeva di far nascere dal Regno di Sardegna. Ma già in opere precedenti, e tra le maggiori dedicate a Cavour, si era ragionato sul carattere aperto e dinamico di quel disegno, che non abbracciò immediatamente la ricerca dell’intera unità d’Italia, ma si allargò via via in modo da comprendere e cogliere tutte le opportunità e le esigenze che emergevano dallo sviluppo stesso dell’impresa originaria e dall’evolversi dello scacchiere europeo.

Ed è un fatto che l’accordo di Villafranca nel luglio del 1859, con la mappa che esso pretese di disegnare per un’Italia confederale sotto diverse insegne, rappresentò per Cavour un punto di rottura ; l’accettare come traguardo invalicabile un Regno dell’alta Italia – sia pure ben più esteso del Regno sardo-piemontese – destinato a esser chiuso in una morsa da sfavorevoli condizioni internazionali, gli apparve troppo lontano dall’ideale di un’Italia unita. E’ un fatto che a quel punto Cavour si identificò totalmente con la causa italiana e affrontò tutte le incognite dell’impresa garibaldina e del rapporto con un Garibaldi la cui figura ormai giganteggiava. Incognite da Cavour padroneggiate pur tra manifeste difficoltà e tensioni, anche con il Sovrano, senza perdere la guida del processo nazionale unitario. Fu tenuto ben saldo l’asse di una egemonia moderata, ancorata ad una visione liberale ed europea del nuovo Stato da costruire ; e in pari tempo divenne sempre più chiaro a Cavour che – com’egli scrisse nel giugno 1860 a Emanuele d’Azeglio – “solo l’unità” poteva, al punto cui erano giunte le cose in Italia, “garantire alla penisola l’indipendenza e la libertà”.

Non ci si dedichi dunque – in vista del centocinquantenario – a esercizi improbabili, per non dire del tutto campati in aria, di nostalgismo meridional-borbonico o di cavourismo immaginario, nell’idoleggiamento di un presunto Cavour chiuso in un orizzonte nordista e travolto nolente dalla liberazione del Mezzogiorno. Riconosciamoci tutti nell’esito esaltante del movimento per l’Unità d’Italia, condizione e premessa dell’ingresso del nostro paese nell’Europa moderna e del suo successivo trasformarsi e svilupparsi. E di questa consapevolezza storica unitaria facciamo il solido, essenziale riferimento per garantire la coesione della nostra società e del nostro Stato nel contesto sempre più impegnativo dell’integrazione europea e della globalizzazione.

Ciò implica un nuovo grande sforzo culturale ed educativo : ben vengano ricerche e confronti, iniziative nelle scuole e impulsi comunicativi, che contribuiscano anche a popolare la scena del movimento per l’Unità d’Italia e della conquista dell’Unità non di santini ma di figure vive, a cominciare da quella di Cavour nella pienezza del suo genio e del suo carattere, dei suoi umori e tormenti, delle sue passioni. E di Cavour si trasmetta sempre di più, specialmente qui a Torino e in Piemonte, l’esperienza di riformatore liberale, che non deve essere offuscata dal ruolo preminente poi assunto sulla scena nazionale e sulla scena politico-diplomatica europea.

A quello sforzo culturale, educativo, comunicativo, e a quella stessa consapevolezza storica unitaria che ho appena invocato, deve egualmente accompagnarsi una cruda individuazione ed analisi dei vizi d’origine del nostro Stato unitario, di debolezze e contraddizioni da cui sono scaturiti, in diversi periodi, pesanti fenomeni degenerativi, di nodi ancora da sciogliere per poterci porre, come società e come Stato nazionale, in condizione di competere e progredire nell’Europa e nel mondo di oggi e di domani.

Unità nazionale e coesione sociale non significano centralismo e burocratismo, non significano mortificazione delle autonomie, delle diversità e delle ragioni di contrasto e confronto sociale e politico. Unità e coesione possono anzi crescere solo con riforme e loro conseguenti attuazioni, con indirizzi di governo a tutti i livelli, con comportamenti collettivi, civili e morali, che siano capaci di rinnovare la società e lo Stato, mirando in special modo ad avvicinare Nord e Sud, ad attenuare il divario che continua a separarli.

Rivolgendoci a un passato che merita di essere celebrato senza vacuità retoriche e senza autolesionismi, guardando avanti con saggezza ma senza conservatorismi al cammino da compiere, le celebrazioni del centocinquantenario ci appaiono davvero una grande occasione da cogliere nell’interesse comune dell’Italia e degli italiani.

La Stampa 07.06.10