memoria, politica italiana

"La lunga fatica di Napolitano per ridefinire l'identità nazionale", di Stefano Folli

La lieve indisposizione che lo ha colto a Torino è stata superata, ma l’impegno in cui il capo dello Stato sta consumando le sue energie ha qualcosa di drammatico. Un doppio impegno, per la verità, che si riassume nell’obiettivo di salvaguardare l’equilibrio politico e istituzionale del paese.
Circa il primo aspetto, quello politico, sappiamo che Napolitano sta ottenendo risultati insperati ancora pochi mesi fa. Ormai Berlusconi ha dismesso i toni aggressivi (basta ricordare ciò che accadde dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale): oggi il premier accetta, magari «obtorto collo», che il presidente della Repubblica sia il baricentro del sistema, svolgendo un’apprezzabile funzione di garanzia. Non è poco, se si considera che fino a qualche mese fa il mondo berlusconiano s’infervorava, forse senza crederci, sull’ipotesi di un rivolgimento radicale: l’elezione diretta del capo dello Stato forte di una serie di poteri esecutivi.
I progressi compiuti da Napolitano nel rapporto con il presidente del Consiglio stanno dando qualche esito positivo, a quanto pare, con la legge sulle intercettazioni. E potrebbero offrire altri risultati – ma è più difficile – quando si andrà a discutere in Parlamento la manovra economica. Sempre in nome della «coesione nazionale», un principio che il Quirinale non cessa di evocare.

Tuttavia c’è un secondo aspetto, senza dubbio il più delicato in questo momento. Riguarda il tema storico-istituzionale: i 150 anni dell’Unità, la necessità di spiegarne il senso agli italiani e la posizione riduttiva della Lega. In altre parole, tutto ciò che ruota intorno all’identità della nazione. Qui l’impegno di Napolitano è estenuante, ma i risultati si potranno leggere solo l’anno venturo, al termine del programma delle celebrazioni.
Al Quirinale non amano che qualcuno segnali una certa indifferenza dell’opinione pubblica verso l’anniversario. Viene anzi fatto notare l’entusiasmo della folla soprattutto a Torino e in Piemonte, dove il presidente ha reso omaggio a Cavour, ma anche in altre parti del paese. La verità è che l’Italia di oggi è sempre in bilico. Il sentimento nazionale deve essere coltivato e sollecitato con infinita cura. Lo fece Ciampi nel suo settennato, ricreando entusiasmo intorno al tricolore e all’inno di Mameli. E lo fa adesso Napolitano con eguale determinazione. Ma, appunto, che fatica…

È evidente che il capo dello Stato vuole sfruttare al meglio le carte che ha in mano. In base a un preciso punto politico: no a celebrazioni fondate sulla retorica, che forse direbbero poco agli italiani del 2010; sì invece al principio in base al quale proprio la «coesione nazionale» è la cornice più idonea per attuare le riforme, accentuando le autonomie regionali.

La sintesi tra storia unitaria ed esigenza di rinnovamento è l’unica operazione possibile in questo momento. Ma richiede che i leghisti di Bossi ne siano consapevoli e collaborino al suo successo in sintonia con il presidente. Accadrà? Quando Napolitano va a Torino, dall’incontro con il neo-presidente della regione Cota ricava l’idea che non esiste problema a cooperare con una Lega attenta all’amministrazione e rispettosa del quadro istituzionale. Del resto, il capo dello Stato ha un buon rapporto sia con Bossi sia con gli altri ministri leghisti, da Calderoli a Maroni. Poi però ci sono gli sgarbi del 2 giugno e le piccole o grandi «distrazioni». E l’incertezza continua.

Il Sole 24 Ore 08.06.10