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Blitz fiducia in senato, non resta che Napolitano

Il Pd fa ostruzionismo, poi decapitata la discussione sulle intercettazioni. Ma il sì del presidente della camera e di Bossi può costare caro al premier

Nel giorno di un violentissimo attacco alle regole costituzionali («un inferno»), Berlusconi impone al senato il voto di fiducia sulla legge sulle intercettazioni. Il premier lo aveva fatto capire fin dalla riunione del vertice Pdl di martedì: si fa come dico io. Logico dunque che la blindatura della legge (con i minimi miglioramenti chiesti dai finiani) abbia comportato il ricorso alla fiducia. Inevitabili le proteste dell’opposizione, Pd in testa. Bersani ha duramente criticato l’uscita anti-Costituzione del Cavaliere: «Se non gli piace se ne vada». Si ipotizza una forte irritazione del Quirinale, che non avrebbe voluto l’ennesimo voto di fiducia. Fini abbozza ma attacca nuovamente un progetto federalista che è tuttora una scatola vuota. E anche il Senatur non è parso entusiasta della situazione.
da europaquotidiano.it

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Ddl intercettazioni, oggi la fiducia .Di Pietro occupa Palazzo Madama. Notte in Aula per l’Idv, questa mattina alle 11 è atteso il voto

Il governo blinda il ddl intercettazioni ponendo al Senato la questione di fiducia ed esplode la protesta dell’opposizione: su tutti l’Italia dei Valori che, sventolando il tricolore, occupa l’Aula di Palazzo Madama «a oltranza»: «È la nostra resistenza al dittatore Berlusconi», motiva Antonio Di Pietro.

Il Pd invece attacca l’esecutivo definendo la decisione della fiducia «illegittima» perché autorizzata in un Consiglio dei ministri che ancora non conosceva il testo del maxiemendamento. Non solo. Secondo Anna Finocchiaro ci sono tutti gli estremi per motivare ricorsi alla Corte Costituzionale perché alcune parti del testo sono «irragionevoli». E il clima infuocato di Palazzo Madama desta qualche preoccupazione nel leader della Lega, Umberto Bossi, che teme venga compromesso il confronto con l’opposizione sulle riforme.

Questa mattina è atteso il voto finale sul provvedimento. «L’ostruzionismo messo in atto dall’opposizione – ha denunciato ieri il sottosegrario alla Giustizia Giacomo Caliendo – a questo punto legittima il ricorso al voto di fiducia». E infatti, nonostante l’estremo tentativo dell’opposizione di chiedere al presidente del Senato, Renato Schifani, ancora un ritorno in Commissione, il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha posto la questione di fiducia. «È un diritto della maggioranza arrivare alla decisione visto che di intercettazioni se ne discute da due anni», osservava Maurizio Gasparri. La Finocchiaro chiedeva a Vito quando il Cdm abbia autorizzato questa fiducia.

Il ministro rispondeva indicando erroneamente la data del 29 maggio: ma è un sabato e inoltre l’ultimo Cdm si è riunito il 25 maggio. Il portavoce del ministro faceva una precisazione ma il lapsus alimentava sospetti nel Pd. «La fiducia votata con questa modalità è illegittima. Il testo è cambiato cinque volte e occorre che il Consiglio dei ministri autorizzi la fiducia su questo testo e non su quello del 25 maggio scorso», denunciava la Finocchiaro che ricordava anche alcune dichiarazioni del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che il 26 maggio sosteneva: «Al momento non v’è alcuna ragione per parlare di porre la fiducia». A replicare al Pd era prima la presidenza del Consiglio con una nota che confermava la data dell’autorizzazione della fiducia, il 25 maggio scorso, poi il Ministro Alfano che definiva «strumentali» le polemiche dei democratici che vogliono «mascherare con pretesti procedurali il palese disinteresse verso il diritto costituzionale alla riservatezza e alla privacy di quei milioni di cittadini non tutelati da nessuna lobby».

Intanto i senatori dell’Idv hanno passato la note occupando l’Aula in segno di protesta. A confortare i parlamentari dell’Italia dei Valori sono giunti in tarda serata i commessi di Palazzo Madama con quattro buste piene di panini e bibite. È arrivato anche Antonio Di Pietro che non potendo entrare in Aula, perchè deputato, si è intrattenuto a turno con alcuni dei suoi senatori. «Stiamo attivando – ha detto il leader dell’Italia dei Valori – ogni forma di resistenza attiva perchè crediamo che tutta l’opinione pubblica deve conoscere la grave lesione costituzionale che si sta consumando. Comunque – ha aggiunto con un sorriso – capisco Berlusconi. Ha bisogno di questa legge. Gli italiani non sanno che è al governo non per motivi ideali o politici ma per motivi processuali, tutta la sua attività è unidirezionale: rendere impotenti gli uffici giudiziari, sbianchettare i reati oppure non farli scoprire, evitare che i media parlino delle sue malefatte». «Questa nostra forma di protesta – ha ribadito Di Pietro – serve a far riflettere i cittadini. devono decidere se reagire o restare alla finestra mentre Sagunto viene espugnata». Infine, una battuta velenosa verso il Pd: «Noi non facciamo parte di quella opposizione che aspetta che sia il Padre Eterno a portarsi via Berlusconi, anzi noi gli auguriamo lunga vita».

da www.lastampa.it

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Intercettazioni, come cambia il ddl.
Alla fine Berlusconi ha ceduto sull’arresto ai giornalisti. Tornano le maxi multe agli editori. Intercettazioni, i giorni restano 75 con proroghe di 72 ore

Rimane il tetto dei 75 giorni di tempo per intercettare il telefono di un indagato previa autorizzazione del tribunale collegiale. Un emendamento al ddl, però, prevede che le intercettazioni vengano prorogate di 72 in 72 ore qualora esistano «elementi fondanti per l’accertamento del reato», o «indicazioni rilevanti per impedire la commissione di un reato». Il pm potrà ordinare autonomamente alla polizia giudiziaria di eseguire i controlli, ma subito dopo dovrà chiedere la convalida al giudice collegiale, allegando tutta la documentazione che dimostri l’effettiva necessità di ogni proroga. In mancanza della ratifica, la conversazione registrata non avrà alcun valore: sarà carta straccia, insomma. In un primo momento si era ipotizzato che le proroghe non superassero le 48 ore.

Giornali, tornano le maxi multe agli editori
Per gli editori tornano le maxi-multe in un primo tempo ridimensionate nel disegno di legge che approda al Senato. C’è un emendamento nel quale si prevede che i proprietari dei giornali rispondano di un nuovo reato punito con sanzioni pecuniarie che superano i 450 mila euro. Si tratta della pubblicazione di intercettazioni destinate alla distruzione, cioè di quelle conversazioni telefoniche ininfluenti ai fini dell’inchiesta che il pm sta conducendo. Per i giornalisti che violano il divieto è già prevista una condanna severa: fino a tre anni di carcere. Multe pesanti sono previste anche per la pubblicazione di intercettazioni per le quali il magistrato non ha decretato la distruzione, anche se non coperte dal segreto d’indagine. In altri termini: i lettori non potranno più leggere il testo di una conversazione fra indagati.

Norma transitoria, la legge vale per i processi in corso
Scompare quella parte dell’emendamento al ddl che prevedeva l’entrata in vigore della legge 30 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Si menzionano solo una serie di obblighi e divieti per i pm titolari dei procedimenti in corso, e non solo per quelli a venire. Il magistrato, ad esempio, dovrà da subito informare il Vaticano nel caso stia già intercettando o indagando un sacerdote. E’ diverso il discorso sulle modifiche del codice di procedura penale: non si applicheranno ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della nuova legge e per i quali sia già stato emesso un provvedimento di autorizzazione o proroga alle intercettazioni: le conversazioni già registrate, insomma, saranno «salve». Ma se il pm vorrà farne di nuove o prorogarle, dovrà attenersi ai termini imposti dalle nuove norme: 75 giorni di tempo più le proroghe di 72 ore.

Ricusazione, ci vorrà il parere della Procura
È uno dei punti più spinosi del ddl sulle intercettazioni. Il disegno di legge imponeva l’abbandono dell’inchiesta al magistrato indagato anche in seguito a una denuncia per fuga di notizie. In altri termini, per imporgli di passare la mano, bastava il semplice sospetto che fosse lui il responsabile della diffusione di informazioni coperte dal segreto: un’arma, questa, formidabili nelle mani dell’imputato a cui sarebbe bastato comprare una carta bollata e inoltrare la denuncia per rallentare e rendere più complesso il procedimento a suo carico. Il ddl prevedeva anche l’astensione del pm che ha rilasciato pubbliche dichiarazioni sulla sua inchiesta. Qualcosa, però, è cambiata. L’avvicendamento automatico viene sostituito con una valutazione del capo dell’ufficio: sarà il responsabile della procura, a decidere se il suo sostituto dovrà o meno farsi da parte.

Giornalisti, botta e risposta assolutamente impubblicabili
Sarà difficile, molto difficile per i giornalisti informare e per i lettori essere informati. Il ddl sancisce il divieto totale della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, anche di quelle non più coperte dal segreto imposto dall’indagine in corso. La prima versione andava oltre, impedendo qualsiasi informazione su tutti gli altri atti dell’inchiesta, compresi quelli ormai a conoscenza dell’indagato e quindi non più top secret, fino al rinvio a giudizio dell’imputato. A queste condizioni, il silenzio sulle indagini sarebbe potuto durare anni, considerata la lentezza della macchina giudiziaria. Ora le maglie del divieto sono state sia pure impercettibilmente allargate. Se rimangono assolutamente impubblicabili le intercettazioni, è consentito ai giornalisti di dare informazioni almeno «per riassunto» sugli atti dell’inchiesta non più coperti dal segreto.

Pedofilia, sì allo stralcio della norma contestata
Il ddl, nella sua prima versione, si occupava anche di pedofilia: c’era infatti una norma che eliminava l’obbligo dell’arresto per chi si rendeva responsabile di atti sessuali di lieve entità con i minori. Una iniziativa che ha scatenato polemiche furiose anche all’interno della maggioranza, mentre nelle fila della minoranza (l’Idv aveva sollecitato l’arresto obbligatorio in flagranza per i casi di violenza sessuale, atti sessuali con minori e violenza di gruppo) c’era chi maliziosamente collegava l’abolizione dell’obbligo delle manette alle inchieste sui sacerdoti accusati di pedofilia. La novità è che quella norma, ribattezzata «emendamento salva-pedofili», ora non esiste più. Il relatore del ddl, Roberto Centaro, ha annunciato che verrà soppressa tutta la parte del testo che riguarda appunto la violenza e gli atti sessuali sui minori: sarà oggetto di uno specifico disegno di legge.

da lastampa.it