partito democratico

«Luchino, dacci la linea», di Stefano Menichini

C’è gente che non vuole bene al Pd. Oltre ai tanti italiani semplicemente indifferenti alla sua esistenza, e agli altrettanti che lo avversano perché votano a destra, il Pd ha un discreto tasso di impopolarità anche fra i suoi reali o potenziali elettori. Quelli che di loro si esprimono lo fanno ormai sulla rete. E qui, leggendo in queste ore le reazioni al voto sulle intercettazioni, parrebbe che il Pd quella legge l’abbia sostenuta se non addirittura voluta. Assurdo.
Noi invece al Pd vogliamo bene, e del resto Europa è nata proprio per questo progetto. Ci sono correnti d’opinione – come quella testé citata sulla legge sulle intercettazioni – che non si spiegano con errori dei democratici.
Si spiegano invece col veleno estremista e giustizialista che corrode da anni il corpo della sinistra italiana e annebbia tanti cervelli. Del resto non stupisce, che nell’Italia di Berlusconi ci sia gente convinta che la dialettica politica sia ormai solo una partita fra guardie e ladri con i rispettivi complici.
Noi non vogliamo difendere il Pd dai matti secondo i quali «fa il palo al governo»: sarebbe tempo perso. Vogliamo difendere il Pd dal male che si infligge da sé, con questo deliberato autoridimensionamento di ruolo e di ambizioni.
Ieri, per esempio, Europa è stato l’unico giornale a dare conto del corposo documento dem in risposta alla manovra di Tremonti. Noi avremo esagerato, perché l’abbiamo pubblicato integrale. Ma non è bello che altrove non sia uscita una sola riga, neanche su Sole 24 Ore o Unità. Né ce la possiamo prendere con la libera stampa (almeno, non di questi tempi) se i democratici fanno titolo solo per la strenua lotta alle letali infiltrazioni massoniche. Il fatto è che il Pd è giudicato ininfluente sulla scena; le sue posizioni, inessenziali; la sua prospettiva di rinvincita, vaga e rimandata nel tempo.
Se un partito non dà segni di potere e forse neanche volere ribaltare lo stato di cose, è inevitabile che nel moderno sistema della comunicazione venga sorpassato non solo da chi strilla più forte (pazienza) ma anche da chi semplicemente si propone come fattore di sblocco.
C’è da scommettere per esempio che la mezza discesa in campo annunciata ieri da Montezemolo – con l’aggravante del contemporaneo, ennesimo siluro lanciato da Carlo De Benedetti verso Bersani – soverchierà per giorni qualsiasi iniziativa dell’attuale opposizione politica, compresa la manifestazione del 19 giugno al Palaeur. Proprio per quel motivo: per l’impressione (l’illusione) che la mossa di un vip possa avere un impatto politico maggiore di quelle di un partito del 27 per cento.
L’abbiamo scritto fin dagli esordi della segreteria Bersani, pur salutandone l’approccio non spettacolare alla politica: ci vuole un messaggio.
Non è fuffa comunicativa, credete, è l’essenza del dialogo con l’opinione pubblica. Una volta i partiti erano il messaggio, ma ora è assurdo mimare quei tempi. Una alternativa di politica economica, parlando di questo, non è una somma di emendamenti: basta che Stefano Fassina piazzi due timidi colpetti fiscali apparentemente innovativi sul Foglio, giornale inconsueto, e già sembra che ci sia un po’ più di senso in questa storia.
La replica del Pd a Tremonti può essere (coerentemente con l’eterna costituency di questo partito) la muraglia cinese a difesa del pubblico, inteso come valori, servizi, dipendenti. Bene: è una cosa, è un messaggio. Oppure può essere la sfida alla destra a colpire veramente la Casta: province da abolire, auto blu da rottamare, dirigenti da cacciare, consigli d’amministrazione da decapitare. Bene, un altro messaggio, almeno il popolo viola sarebbe finalmente soddisfatto (difficile). Infine può invece essere la rivoluzione fiscale: taglio delle tasse a imprese, commercianti, artigiani, bruciare Tremonti nello spostare il fisco dalle persone alle famiglie. Un altro messaggio, un altro segno di esistenza in vita, di essere cambiati e voler cambiare, di non limitarsi ad accompagnare corrucciati il piccolo cabotaggio della destra.
Non arriviamo a dire che le diverse linee siano equivalenti, ma quasi. Basta che se ne scelga una, da forzare rispetto a tutto il resto. Nell’indistinto si vegeta. E davvero non vorremmo finire a coniugare antico e moderno urlando: Luchino, dacci la linea.
da Europaquotidiano.it