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"Articolo 41 e libertà di impresa", di Agostino Giovagnoli*

L´assalto alla Costituzione si è concentrato negli ultimi tempi sull´articolo 41. Con crescente frequenza, infatti, si cerca di picconare la carta fondamentale della Repubblica, perché il suo testo – ormai troppo vecchio e datato – sbarrerebbe la strada ad una modernizzazione sempre più urgente. Adesso l´attacco riguarda l´art.41 colpevole di impedire la libertà di impresa in Italia. Peccato che l´articolo in questione si apra con un´affermazione molto esplicita: «L´iniziativa economica privata è libera». Dunque, come è stato giustamente osservato, la polemica contro l´articolo 41 costituisce anzitutto un diversivo: non è la Costituzione, ma sono normative farraginose e lungaggini burocratiche a limitare di fatto l´iniziativa economica; la loro rimozione, perciò, non passa per una lunga e complicata modifica costituzionale, ma attraverso un´azione più efficace ed incisiva di governo e Parlamento. Insomma, si discute di Costituzione per non affrontare i veri problemi.
Ma, in questa polemica, non c´è solo una strumentalità immediata. Riconosciuto che nulla impedisce di operare subito per aumentare la libertà delle imprese, si è passati a sottolineare l´importanza simbolica di un cambiamento di questo articolo che al secondo comma coniuga iniziativa economica e “utilità sociale” e al terzo prevede “i programmi e i controlli opportuni” perché tale attività “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Dietro queste parole, si fa capire, ci sarebbe stato un compromesso con i comunisti e l´apertura al modello sovietico di economia pianificata. Ma le cose non stanno così. La discussione in Assemblea Costituente cominciò, infatti, nei primi giorni di maggio del 1947, con una proposta di Togliatti che introduceva effettivamente la possibilità di una pianificazione totale dell´economia. Ma quella proposta fu nettamente respinta dai liberali e dai cattolici: per i primi parlò Einaudi e per i secondi Taviani. L´art.41 così come lo leggiamo oggi nasce dunque dall´esplicito rifiuto della proposta comunista.
I riferimenti all´”utilità sociale” ed “i programmi e i controlli opportuni” dell´attività economica nascono da una diversa visione politica e culturale. Di quale visione si tratti aiuta a capirlo il particolare momento in cui si svolse quella discussione. Si era infatti aperta da pochi giorni la crisi di un governo basato sull´alleanza tra democristiani, socialisti e comunisti. Poche settimane dopo, De Gasperi avrebbe formato un nuovo governo, senza le sinistre, e di cui Einaudi fu vicepresidente del Consiglio e ministro del Bilancio. Era l´inizio del centrismo degasperiano, basato sull´alleanza tra cattolici e liberali che ha accompagnato gli anni della ricostruzione. Questi anni sono stati indubbiamente molto duri e faticosi, ma anche tra i più positivi dell´intera storia unitaria. Grazie ad un grande sforzo collettivo, che coinvolse l´intera società italiana, si posero allora le basi del boom economico degli anni Sessanta.
Nella sostanza, l´art. 41 esprime lo spirito che ha animato la ricostruzione economica italiana dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale. Entro i limiti molto rigidi imposti dalla Guerra fredda, che escludevano la presenza di comunisti e socialisti nel governo, De Gasperi puntò sull´alleanza tra élites liberali e una grande forza popolare come la Dc, che ha permesso di realizzare, seppure con limiti talvolta rilevanti, una preziosa coesione sociale. È la strada anticipata dalla convergenza tra Einaudi e Taviani nella discussione del´art. 41, malgrado i loro punti di vista fossero inizialmente molto diversi. Tale articolo, infatti, non ha nulla di sovietico ma coniuga una limpida affermazione della libertà di impresa con due valori cari ai cattolici: la difesa della persona umana e la ricerca del bene comune. Al primo di essi corrisponde l´affermazione secondo cui l´attività economica non può svolgersi «in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» e al secondo che spetta alla legge definire i modi in cui tale attività può essere orientata all´”utilità sociale”.
Tutto questo è vecchio e datato? Può darsi, ma colpisce la coincidenza tra la polemica sull´art. 41 e la vertenza di Pomigliano d´Arco. In tale vertenza, infatti, è indubbiamente coinvolta la libertà di impresa, ma non mi pare che qualcuno metta in discussione il diritto della Fiat di investire in Italia o in Polonia secondo le sue convenienze. È però significativo che si moltiplichino in questi giorni gli appelli, da una parte, alla Fiat perché non dimentichi i suoi legami storici con la realtà italiana e non imponga condizioni di lavoro troppo pesanti e, dall´altra, agli operai di Pomigliano perché accettino sacrifici anche duri, non solo nel loro interesse e in quello delle loro famiglie, ma anche per salvare l´indotto e, persino, per fare un servizio a tutto il Paese. Ma perché l´una e gli altri dovrebbero accettare questi appelli? L´art. 41 indica una risposta in quella “utilità sociale” che riguarda tutti al di là di specifici interessi individuali. La formulazione di questo articolo risente del tempo in cui è stato scritto e può non piacere, ma prima di buttarlo via conviene riflettere sull´importanza di un patto fondamentale capace di unire soggetti diversi anche nei momenti di difficoltà e di tensione.

L´autore è ordinario di Storia contemporanea all´Università Cattolica di Milano

La Repubblica 19.06.10