cultura

"Io scrittore e cittadino", di Josè Saramago

Come scrittore, credo di non essermi mai separato dalla mia coscienza di cittadino. Ritengo che dove va uno, dovrà andare l´altro. Non ricordo di aver scritto una sola parola che fosse in contraddizione con le mie convinzioni politiche .
Ma questo non significa che abbia mai posto la letteratura al servizio diretto della mia ideologia. Voglio dire, piuttosto, che nella scrittura cerco, in ogni parola, di esprimere la totalità dell´uomo che sono.
Ripeto: non separo la condizione di scrittore da quella di cittadino, ma non confondo la condizione di scrittore con quella di militante politico. È ovvio che le persone mi conoscano più come scrittore, ma c´è anche chi, indipendentemente dal minore o maggiore valore che attribuisce alle opere che scrivo, pensa che quello che dico come cittadino comune gli interessi e importi. Nonostante sia lo scrittore, e solo lui, colui che porta sulle spalle la responsabilità di essere questa voce. Lo scrittore, se è uomo del suo tempo, se non è rimasto ancorato al passato, deve conoscere i problemi del tempo che gli è capitato di vivere. E quali sono i problemi oggi? Che non siamo in un mondo accettabile, esattamente il contrario, viviamo in un mondo che va di male in peggio e che a livello umano non serve.
Attenzione, però: che non si confonda quello che rivendico con una qualsiasi espressione moralizzante, con una letteratura che viene a dire alle persone come dovrebbero comportarsi. Sto parlando d´altro, della necessità di contenuti etici senza nessuna traccia di demagogia. E, condizione fondamentale, che non ci si separi mai dall´esigenza di un punto di vista critico.

La Repubblica 19.06.10

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“Il mio maestro josè”, di Roberto Saviano

Di tutte le cose che poteva fare Josè Saramago morire è quella più inaspettata. Se conoscevi Josè proprio non lo mettevi in conto. Sì, certo tutti muoiono, anche gli scrittori.
Ma lui non ti dava proprio alcuna impressione di essersi stancato di vivere, respirare, mangiare, amare. Si era consumato negli ultimi anni, tra la carne e le ossa sembrava esserci sempre meno spessore, la sua pelle sembrava un sottile mantello che ricopriva il teschio. Ma diceva: «Potessi decidere, io non me ne andrei mai».
Parlare della morte di qualcuno cui si è voluto bene, molto bene, rischia di essere solo un esercizio retorico, una proclamazione di memoria e virtù del defunto. L´unico modo che si ha per mantenersi sinceri, è quello di tentare di descrivere lo spazio di vita in più che ti ha dato chi ha finito di respirare. Questo vale la pena fare. Vedere quanto ti è stato sommato alla tua vita, ciò che ti è rimasto dentro, che riuscirai a passare a chi incontrerai, e questo sì, ha il sapore della vita eterna. In fondo molto non è andato via, se molto sei riuscito a trattenere.
Avevo conosciuto Saramago per la prima volta come tutti, leggendolo. Il Vangelo secondo Gesù era il suo libro che mi aveva cambiato, trasformando il modo di sentire le cose. Quel Gesù uomo, che sbaglia, ama, arranca, cerca di essere felice, mi era sembrato essere un personaggio del tutto nuovo nella storia della letteratura. Era una sintesi dei vangeli apocrifi, dei vangeli ufficiali, dei racconti pagani e delle leggende materialiste sul Cristo socialista. Era il Gesù dell´amore carnale verso Maria Maddalena. Su questo Saramago ha scritto parole incantevoli come solo il Cantico dei Cantici era riuscito a creare: «Guarderò la tua ombra se non vuoi che guardi te, gli disse, e lui rispose “Voglio essere ovunque sia la mia ombra, se là saranno i tuoi occhi”».
E´ un Gesù umano che non vuole morire: è il contrario della santità, è uomo con i suoi errori, peccati, talenti e con il suo coraggio. Sembra dire al lettore che basta esser fedeli a se stessi per conoscere la vita e non diventare dei servi, o degli schiavi. «Allora Gesù capì di essere stato portato all´inganno come si conduce l´agnello al sacrificio, che la sua vita era destinata a questa morte, fin dal principio e, ripensando al fiume di sangue e di sofferenza che sarebbe nato spargendosi per tutta la terra, esclamò rivolto al cielo dove Dio sorrideva, Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto». Proprio così: il Gesù di Saramago rivolgendosi all´uomo chiede di perdonare Dio, ribaltando la versione evangelica del “Padre perdona loro”.
E poi ho letto Cecità, altro suo romanzo che ho amato molto e che spesso mi torna in mente. In una frase. Pronunciata da lui per rispondere a me che maledivo certe scelte che mi avevano rovinato la vita. «Arriva sempre un momento in cui non puoi fare altro che rischiare». E la parola di Saramago era sempre una parola rischiosa, non cercava mai di farsi comoda.
Sognavo di trasferirmi da lui, come mi aveva consigliato, esprimendomi solidarietà nei giorni più difficili. Non lo dimenticherò mai. E non dimenticherò mai l´imbarazzo estremo in cui mi trovai quando mi definì “maestro di vita”. Io che da lui cercavo continuamente indicazioni, esperienza, per galleggiare in un oceano di difficoltà, bile, rabbia, ostilità. Lui era un maestro che insegnava per farsi a sua volta insegnare. A Stoccolma disse che nella sua vita le persone più sagge che avesse mai conosciuto erano i suoi nonni. Entrambi analfabeti. La loro saggezza era stata costretta a rinunciare per povertà al libro, alla musica, ai teatri, ai dipinti, ma che era riuscita a conoscere la vita, a sentirne con generosità quello che José chiamava sussurro. «Tutte le cose, le animate e le inanimate, stanno sussurrando misteriose rivelazioni».
Una volta scambiandoci alcune riflessioni sullo stile, citai Albert Camus convinto che «lo scrittore che decide di scrivere chiaro vuole lettori, lo scrittore che scrive oscuro vuole invece interpreti». E la risposta fu: «ecco cos´hanno di simpatico le parole semplici, non sanno ingannare». Trovare parole semplici è il mestiere più complicato che sceglie di fare uno scrittore. Avevi ragione, José: «il viaggio non finisce, solo i viaggiatori finiscono”. E ora tocca a noi qui. Continueremo a camminare con le tue parole a indicarci la strada senza fine.

La Repubblica 19.06.10

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Addio a José Saramago, il Nobel che faceva il verso all’iPad

Lo scrittore portoghese e premio Nobel, Josè Saramago, è morto oggi attorno alle 13,45 nella sua residenza a Lanzarote della località di Tias, nelle Isole Canarie. Saramago, che era malato di leucemia, aveva 87 anni. Poeta, romanziere e giornalista, Saramago è stato l’unico autore di lingua portoghese ad avere ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1998. Appassionato di Internet, nel 2008 aveva iniziato a scrivere un blog per dialogare con i suoi lettori il Caderno de Saramago. Nei mesi scorsi sua fondazione, Fundación Saramago, si è fatta però promotrice di un’iniziativa Leer està de moda a favore del piacere della lettura del buon vecchio libro a dispetto di eBook e iPad.

Saramago nacque nel 1922 ad Azinhaga, primogenito di una povera famiglia contadina che tre anni dopo si trasferì a Lisbona: trascorse l’infanzia lavorando per mantenere la famiglia, dopo essere stato costretto ad abbandonare la scuola. Il suo primo romanzo – che non ebbe successo – fu Terra do pecado, pubblicato nel 1947; dopo trent’anni di silenzio, segnato però dalla pubblicazione di alcuni libri di poesie e dalla pratica del giornalismo, uscì Manuale di pittura e calligrafia, vero inizio di una carriera letteraria.

Nel 1980 pubblicò Una terra chiamata Alentejo sulla rivolta della popolazione della regione più ad est del Portogallo. Ma è con Memoriale del convento (1982) che arrivò il grande successo, seguito da L’anno della morte di Riccardo Reis. Negli anni ’90, grazie al Nobel, pubblicò L’assedio di Lisbona, Il Vangelo secondo Gesù, quindi Cecità, Tutti i nomi, La caverna, L’uomo duplicato, Le intermittenze della morte e Le piccole memorie.

È stato uno dei sostenitori dell’iberismo, il movimento che propugna l’unificazione di Spagna e Portogallo, i due paesi cui dedica anche il romanzo La zattera di pietra. Per le sue posizioni sul conflitto Medio Oriente è stato accusato di antisemitismo, mentre per il Memoriale, ma soprattutto per il suo Vangelo e il testo teatrale La seconda vita di Francesco d’Assisi ha subito gli attacchi dalla Santa Sede. Ateo confesso, ebbe problemi con il governo portoghese che rifiutò di presentare il suo Vangelo secondo Gesù Cristo al Premio Letterario Europeo, abbandonando per protesta il paese e trasferendosi a Lanzarote.

Lo scorso anno El Pais aveva pubblicato un suo violento attacco contro Berlusconi da lui definito come un «virus» e un «delinquente». Un articolo molto critico sul premier era presente anche nel suo blog Caderno che sotto forma di raccolta di scritti era stato proposto alla Einuadi che rifiutò la pubblicazione. Il Quaderno è stato edito nel 2009 per i tipi di Bollati Boringhieri.

Il suo ultimo libro, pubblicato ad aprile da Feltrinelli, s’intitola Caino. Un’opera dove l’autore a vent’anni dal Vangelo secondo Gesù Cristo, era tornato ad occuparsi di religione con una riscrittura ironica e allegorica della Bibbia. Saramago, si legge nel sito della casa editrice: «Fa di Caino un essere umano né migliore né peggiore degli altri. Al contrario, il dio che viene fuori dalla narrazione è un dio malvagio, ingiusto e invidioso, che non sa veramente quello che vuole e soprattutto non ama gli uomini. È un dio che rifiuta, apparentemente solo per capriccio e indifferenza, l’offerta di Caino, provocando così l’assassinio di Abele. Caino è un’eccezionale invenzione letteraria che mette in scena l’assurdo di un dio che appare più crudele del peggiore degli uomini.».

Il Sole 24 Ore 19.06.10

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