attualità, politica italiana

"Il Quirinale e lo spettro dell'anarchia", di Marcello Sorgi

L’appello del Capo dello Stato, rivolto a maggioranza e opposizione, a concentrarsi sulla manovra economica per riuscire a concluderne l’esame in Parlamento prima della pausa estiva non è affatto formale, né mirato esclusivamente ad ottenere un rinvio delle intercettazioni alla ripresa. Dopo aver preso attenta visione del documento trasmessogli dal governo, e dopo essere stato avvertito che gli emendamenti presentati da tutte le parti politiche sono già oltre duemila, Napolitano con i suoi collaboratori s’è detto molto preoccupato per la piega che l’iter delle misure anticrisi potrebbe prendere di qui a poco.

Non è solo un problema di clima politico, vieppiù deteriorato. E’ ormai evidente che in Parlamento, anche nei gruppi della maggioranza, regna un clima di incertezza e di stanchezza che moltiplica le assenze e sfocia spesso in episodi di anarchia. Come appunto quello che ieri ha convinto tre peones del Pdl (Tancredi, Latronico e Picchetto Frattin), a cercare di introdurre con emendamenti nientemeno che un nuovo condono edilizio e un altro condono fiscale tombale sulle tasse evase fino al 2008.

La libera uscita dei tre, subito motivo di attacchi dell’opposizione al governo, è stata subito stoppata dal portavoce di Palazzo Chigi Bonaiuti. Ma è ugualmente apparsa come un sintomo di ulteriore scollamento interno dei gruppi parlamentari del centrodestra e come un segno di difficoltà dei capigruppo – che dovrebbero avere potere di autorizzazione sugli emendamenti – di controllarli. Il rinvio del voto sulle intercettazioni dovrebbe essere deciso oggi. La corsia preferenziale chiesta dal Quirinale, e quasi certamente condivisa dal governo, per la manovra, oltre ad essere una proposta ragionevole, riuscirebbe a separare almeno di due mesi l’attuale discussione e il voto sul decreto anticrisi dalla sessione di bilancio che si riaprirà a settembre.

Sul governo preso ormai da un’emergenza dopo l’altra, preme inoltre l’aggravamento della situazione dei terremotati dell’’quila: il pronto soccorso ch’era stato un fiore all’occhiello del governo l’anno scorso mostra ormai la corda rispetto al ritardo della ricostruzione e alle preoccupazioni delle autorità locali per la paralisi di tutte le attività economiche della città.

La Stampa 22.06.10

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“Finale di partita”, di Curzio Maltese

Bisogna essere grati al presidente Giorgio Napolitano per aver ricordato al ceto politico che siamo, saremmo un paese serio. Una grande nazione che oggi deve concentrare tutti gli sforzi possibili nella lotta alla crisi economica.
Non una repubblica delle banane dove si blinda il Parlamento per mesi, in piena discussione sulla finanziaria, per far approvare in fretta una legge bavaglio da Sudamerica, condannata da tutto l´Occidente. Con l´intervento del capo dello Stato la vicenda del ddl sulle intercettazioni è virtualmente chiusa. La legge è rimandata a settembre, ma in pratica è bocciata. Per Silvio Berlusconi è la peggior sconfitta da quando è tornato a Palazzo Chigi. È una vittoria per Gianfranco Fini, che trova un´autorevole sponda nel Quirinale. Ma sarebbe sbagliato leggere un´intenzione politica nelle parole di Napolitano.
La realtà banale è che qualsiasi presidente della Repubblica, in qualità di garante della Costituzione, prima o poi è condannato a entrare in conflitto con l´insopprimibile spinta eversiva incarnata dal berlusconismo. E´ accaduto quando era presidente Oscar Luigi Scalfaro, subito identificato come un nemico. Si è ripetuto con Carlo Azeglio Ciampi e ora con Giorgio Napolitano. Tre personaggi assai diversi l´uno dall´altro. Un grande leader del cattolicesimo democratico, un economista laico cresciuto nel Partito d´Azione, un capo del comunismo italiano. Ma tutti e tre con un paio di difetti in comune, agli occhi del premier, quello di essere galantuomini e di dovere e voler difendere i valori costituzionali.
Del resto, lo stesso Berlusconi ha ormai smesso di attaccare gli inquilini del Quirinale quando gli negano la cortesia di approvare leggi ignobili, per concentrarsi sul vero obiettivo: l´attacco alla Costituzione. Con l´aiuto della Lega, che mira ancora più in alto (o in basso), puntando alla dissoluzione dello stato nazionale.
Il finale di partita della seconda Repubblica si gioca tutto qui. O si cambia la Costituzione o si cambia Berlusconi. Le due entità non sono più compatibili. La legge sulle intercettazioni serviva anche a questo, a tracciare di fatto una fuoriuscita dal sistema di garanzie democratiche. Oltre che a ergere un gigantesco scudo di protezione intorno alla casta politica più corrotta della storia repubblicana. Perché poi di questo si tratta. Di un paese, il nostro, devastato da una corruzione senza precedenti, neppure per gli incivili parametri italiani. Di una nazione costretta a pagare ogni anno alla corruzione una tassa di 60 miliardi, secondo le stime della Corte dei Conti: l´equivalente di tre finanziarie.
E siccome la crisi rende la tassa sempre più immorale e impopolare, esattamente come avvenne al principio degli anni Novanta, la legge bavaglio sarebbe servita a scongiurare il rischio di una nuova Tangentopoli. A stroncare dalla radice la possibilità che le inchieste della magistratura e l´informazione dei giornali possano provocare nell´opinione pubblica italiana una rivolta contro il malaffare.
Si capisce come, in presenza di una simile posta, il ceto politico berlusconiano fosse disposto a tutto pur di condurre in porto l´approvazione della legge bavaglio. Ma i cittadini hanno capito anche le ragioni di quanti, magistrati e giornalisti, hanno condotto contro questa vergogna una battaglia che era ed è di vita o di morte per la democrazia italiana. Ed è stato grazie all´improvvisa rinascita di un´opinione pubblica indipendente che si è realizzata la sconfitta del progetto di Berlusconi. La nota del presidente Napolitano arriva dopo, prende atto con intelligenza e realismo di una battaglia civile già risolta nella coscienza del Paese e indica al presidente del consiglio la strada di una resa onorevole.
C´è soltanto da sperare che il Berlusconi di fine corsa sia in grado di cogliere l´opportunità e ordinare alle sue truppe una saggia ritirata. È stata già una sfortuna avere Berlusconi come presidente del consiglio durante la crisi economica, avere insomma un brillante demagogo quando c´era bisogno di un austero amministratore. Ritrovarsi un Berlusconi estremo, dominato dalla logica del «dopo di me, il diluvio», sarebbe una tragedia.

La Repubblica 22.06.10