lavoro

"Gli invisibili senza lavoro", di Tito Boeri

Quasi un lavoratore temporaneo su sei ha perso il lavoro. I dati delle rilevazioni sulle forze lavoro del primo trimestre 2010 ci permettono di aggiornare la contabilità della Grande Recessione per il lavoro degli italiani. Il tasso di disoccupazione ha superato il 9%. Aggiungendo i cassintegrati (le ore totali concesse nel 2010 equivalgono a 623.000 posti di lavoro a tempo pieno) e almeno la metà dei lavoratori che nell´ultimo anno sono stati costretti a passare dal tempo pieno al parziale, si giunge a una stima delle persone in cerca di lavoro superiore al 12%. Sono dati coerenti con l´andamento dell´economia; il pil è diminuito dall´inizio della crisi di più del 7%. L´occupazione sta replicando lo stesso andamento. Speriamo di avere toccato il fondo. Dall´estate le notizie dal mercato del lavoro dovrebbero gradualmente cominciare a migliorare. I dati sui posti vacanti, resi finalmente disponibili dall´Istat martedì, segnalano un modesto incremento nell´industria nell´ultimo mese. Piccolo segnale incoraggiante, anche se siamo ancora molto al di sotto dei livelli pre-crisi.
Non ci sono ancora informazioni adeguate sulla povertà e le disuguaglianze durante la crisi. Ma tutto fa pensare che siano fortemente aumentate, come sempre avviene in Italia in questi casi. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli stress-test: prima sulle banche e poi sui conti pubblici. Servono per capire quali sarebbero le conseguenze sui bilanci degli istituti di credito e sui conti pubblici degli scenari più negativi. Il Governo avrebbe dovuto fare da tempo anche uno stress test dei nostri ammortizzatori sociali, anziché decretare a priori (nelle parole di ben due Ministri, Brunetta e Sacconi) che sono «i migliori del mondo». Un gruppo di ricercatori di Essex (Figari, Salvatori e Sutherland) ha provato a compiere simulazioni di questo tipo. I loro risultati indicano che il nostro sistema è quello che protegge di meno: chi perde il lavoro in Italia, a differenza che negli altri paesi Ue, cade quasi sempre in condizioni di povertà, molto sotto la soglia di sussistenza. I nostri ammortizzatori sociali sono relativamente più generosi per i lavoratori con redditi medi, penalizzano chi ha salari più bassi. E non coprono se non in minima misura i lavoratori duali. Il problema è che da noi non ci sono tutele minime, non ci sono reti che impediscano il crollo dei redditi quando si perde il lavoro in questi casi.
Stupisce il fatto che in Italia si parli di diritti fondamentali violati, di lavoratori oppressi dalla globalizzazione, quanto si discute di un accordo collettivo che, in una delle aree più depresse del paese, offre lavoro a chi comunque oggi riceve i trattamenti di Cassa Integrazione, come a Pomigliano. Si ignora del tutto il fatto che in Italia ci sono da anni milioni di lavoratori che sono pagati dal 20 al 30 per cento in meno degli altri solo perché non hanno un contratto a tempo indeterminato, che per lo stesso motivo hanno otto volte di più la probabilità di perdere il lavoro degli altri e, che quando poi perdono in effetti il lavoro non ricevono alcun aiuto dallo Stato. Il fatto che spesso siano giovani non toglie nulla alla gravità di questi diritti violati. La disoccupazione creata in questa crisi è di lunga durata. Tra chi ha perso il lavoro nella Grande Recessione, in nove su dieci è stato in cerca di un impiego alternativo da più di 12 mesi. Sono eventi che marcheranno l´intera carriera di quel terzo di giovani (il tasso di disoccupazione giovanile è ormai al 30%) che si è affacciato in questi anni al mercato del lavoro: molti studi sociologici documentano danni permanenti su retribuzioni, durata dell´impiego e anche salute. E basta fare due conti per capire che le pensioni future di questi giovani ne risentiranno pesantemente.
Non c´è bisogno di creare un nuovo ministro per riformare gli ammortizzatori sociali. Non ci sono legittimi impedimenti di sorta a un cambiamento delle regole che alimentano il dualismo del nostro mercato del lavoro. Per varare queste riforme non c´è neanche bisogno di soldi pubblici in aggiunta a quelli che già oggi vengono versati per gli ammortizzatori sociali e gli incentivi alla contrattazione decentrata. Questi ultimi si sono rivelati in quasi quindici anni di esperimenti del tutto inefficaci a promuovere un maggiore legame fra salari e produttività. Il sospetto è che continuino a venire riproposti (sono stati addirittura potenziati dalla manovra «lacrime e sangue» 2011-13) con l´unico obiettivo di alimentare le divisioni nel sindacato. Ma siamo convinti che anche la Cisl, grande sponsor di questi incentivi, sarebbe favorevole a sostituirli con sussidi di disoccupazione per i lavoratori precari. Invece della Cassa Integrazione in deroga, che la politica decide a chi dare e a chi non dare e che continua a crescere in modo impetuoso perché è a costo zero per i datori di lavoro, si dovrebbe istituire un sistema di sussidi di disoccupazione con regole uguali per tutti, che eviti a chi perde il lavoro di finire in povertà. Bisognerebbe anche unificare i percorsi di ingresso nel mercato del lavoro. Qui, a dire il vero, non latita solo il Governo, ma anche l´opposizione. Da mesi, se non da anni ormai, discute di proposte per contrastare il dualismo, ma non riesce a prendere alcuna decisione. Si va di rinvio in rinvio mentre il conto della crisi diventa sempre più salato per i temporanei. Non siamo in tempi normali. Questi ritardi si pagano. Certo, oggi l´opposizione non avrebbe comunque i numeri per far approvare una riforma del percorso di ingresso nel mercato del lavoro. Ma sarebbe almeno un segnale per questi lavoratori: qualcuno ogni tanto pensa anche a loro.

La Repubblica 25.06.10