cultura

"Medioevo «utile»", di Carlo Arturo Quintavalle

Cosa rappresenta l’Isime (Istituto Storico Italiano per il Medioevo) per il paese. Celebriamo i 150 anni dell’Unità d’Italia, con la chiusura di Istituti fondati subito dopo l’Unità con il preciso mandato di unificare culturalmente l’Italia

E’ possibile cancellare una struttura che ha costruito la intera storia medievale del nostro paese? E possibile bloccare la prosecuzione di centinaia di volumi, fonti e contributi critici che Jacques Le Goff, Georges Duby e gli altri grandi storici del medioevo in Francia e in Occidente hanno sempre apprezzato, citato, usato? E’ possibile ridurre, il che vuol dire cancellare, i finanziamenti a una struttura che ha pubblicato le vicende delle nostre città, i conflitti fra pontefici e principi, le storie dei cronisti e magari anche quelle degli eretici del medioevo?

Celebriamo i 150 anni dell’Unità d’Italia, con la chiusura di Istituti fondati subito dopo l’Unità con il preciso mandato di unificare culturalmente l’Italia e con l’annullamento delle – eccellenze italiane riconosciute nel mondo -?. Così chiude il suo angosciato comunicato stampa Massimo Miglio, presidente dell’«Istituto Storico Italiano per il Medioevo» (ISIME). Ma perché questo allarme? E che cosa è stato e che cosa è oggi l’Istituto? L’allarme nasce dalla progettata abolizione di un paio di centinaia di Enti supposti inutili, poi trasformata, grazie all’intervento del Ministro Bondi, in una riduzione dei finanziamenti totali del 50 per cento. Fra questi Enti c’è pure l’ISIME.

Non sono certo in grado di giudicare quali Istituti o Enti siano inutili, oggi, e se utili siano stati in passato o possano esserlo in avvenire, ma sono in grado di porre il problema dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo del quale sono internazionalmente note, da oltre un secolo, le attività. Miglio ricorda il nesso fra la creazione dell’Istituto e la storia dell’Italia unita. Per capire basta infatti
pensare alla edizione delle «Fonti per la storia d’Italia» che sono state la struttura portante degli studi storici degli ultimi cento e passa anni. Ecco quindi gli Annali, la Cronache delle diverse città, gli Statuti, gli Epistolari, le vicende di Genova e Venezia, Milano e Roma, e ancora le storie degli imperatori e dei principi dell’Italia medievale, per non parlare dei testi del tempo dei longobardi e dei -placiti-, cioè le leggi, del «Regnum Italiae». Dunque si tratta di quasi duecento imponenti volumi che ancora oggi proseguono. Ma per comprendere che cosa è l’Istituto forse conviene ricordare il «Bullettino» dove scrivono i maggiori specialisti e centinaia di giovani: i grandi volumi cominciano nel 1886 e oggi, 2010, siamo al volume 112. Nasce da qui, da queste decine di migliaia di pagine, la storia del nostro paese e su questi studi si fondano da generazioni, le ricerche sul medioevo in Italia e fuori.

Certo, oggi lo Stato dà all’Istituto 190.000 euro, dei quali 170.000 servono per pagare il personale, sei tecnici in tutto, il resto, 20.000 euro, basta appena per segreteria e telefono, e neppure per la stampa del Bollettino. Ecco, se lo Stato dovesse dimezzare, o anche solo ridurre, questa minima cifra di 190.000 euro all’anno si dovrebbero certo lasceranno a casa una parte dei tecnici, personale preparato e insostituibile. La conseguenza sarebbe la fine di una gran parte delle edizioni, dei rapporti con gli studiosi, della frequentazione degli studenti. Chi potrebbe mai curare la redazione delle opere, migliaia di pagine edite ogni anno? Inoltre si bloccherà la “Scuola storica nazionale” e ancora la “Scuola per la edizione delle fonti”, fondamentali per la formazione degli studiosi delle università italiane e straniere.
Certo, l’Istituto riesce a mettere insieme altri 300.000 euro ogni anno per edizioni critiche di testi, co­me la “Collana Bonifaciana” (Papa Bonifacio VIII) ricca di contributi interdisciplinari, e per decine di altre iniziative come la “Edizione delle Fonti per la Storia della Chiesa in Friuli”, la “Edizione Nazionale delle opere di Flavio Biondo”, i 13 volumi del prezioso “Repertorio per le Fonti del Medioevo” creato in collaborazione con decine di strutture internazionali. Ebbene, togliere finanziamenti a questa struttura fondante della storia del nostro paese sembra davvero assurdo.

Credo che questa possibile, dico possibile, censura della nostra storia medievale risponda a una mitologia del fare storia del nostro paese che è derivata dal ventennio fascista, quindi fondata sulla storia romana e poi rinascimentale e ancora ottocentesca, e conclusa con l’era fascista. Il medioevo infatti, per secoli, è stato il grande rimosso della nostra cultura. Ma sono stati gli storici, e quelli operosi per l’ISIME, a rimediare a questo vuoto. L’Istituto è stato creato per ricollegare l’Italia dell’Unità a quella del tempo longobardo, carolingio, ottoniano, alla Italia delle repubbliche marinare e dei comuni. Aboliremo la struttura portante di questo nuovo modo di pensare il nostro passato? I nomi che hanno fondata la storiografia della nostra civiltè medievale sono stati tutti membri dell’Istituto ed hanno pubblicato centinaia di saggi fondamentali per la storia dal tardo antico al XV secolo sul “Bullettino”, e ancora importanti volumi nella collana di “Studi storici”, una collana di ben 150 volumi.
Diminuire i finanziamenti mette a rischio dunque la sopravvivenza della struttura, una struttura forse più importante dell’Istituto della Enciclopedia Italiana. Chiudo con un ricordo: in Normale sono stato allievo, fra gli altri, di Arsenio Frugoni e quest’ultimo ci stimolava a leggere le opere di Raoul Manselli di Raffaello Morghen e di Cinzio Violante nei volumi azzurri della collana degli “Studi storici”. Sono loro, questi studiosi, i più raffinati interpreti delle fonti, coloro che hanno ridisegnato la storia del nostro paese, poi diventata tessuto dei manuali e fondamento per centinaia di altri volumi e saggi.

Credo che sia tempo di dare un aiuto maggiore, anche in tempi duri come questi, a questa struttura della nostra Italia: all’Istituto sono nati i giovani più promettenti della nostra storiografia medievale. E dovranno ancora uscire, da qui, le future generazioni degli studiosi.

dal Corriere della Sera/Roma, del 24 giugno 2010