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"Alle donne non basta lo sviluppo", di Esther Duflo

Le donne nei paesi in via di sviluppo sono indietro rispetto agli uomini in molti campi: l’accesso all’istruzione, le opportunità lavorative, la rappresentanza politica, i diritti giuridici.
C’è una stretta correlazione fra sviluppo economico ed empowerment femminile (definito come un miglioramento della capacità delle donne di accedere agli elementi fondamentali dello sviluppo, in particolare le cure mediche, l’istruzione, le opportunità di guadagno, i diritti e la partecipazione politica). Lo sviluppo economico da solo può giocare un ruolo importante per ridurre la disuguaglianza fra uomini e donne. Allo stesso tempo, il persistere di discriminazioni ai danni delle donne può essere di ostacolo allo sviluppo.

La povertà e la mancanza di opportunità generano disuguaglianze fra uomini e donne. Quando lo sviluppo economico riduce la povertà, la condizione delle donne migliora da due punti di vista: se la povertà si riduce, migliora la condizione di tutti, donne comprese. Inoltre, lo sviluppo economico rende i nuclei familiari più forti di fronte alle situazioni di crisi, offre ai governi più risorse per proteggere i cittadini più poveri dalla fame e dalle malattie e dunque, anche senza focalizzarsi in modo specifico sulle donne, le favorisce di più.

Lo sviluppo economico, tuttavia, non è sufficiente a produrre uguaglianza completa. Nella scolarizzazione primaria e secondaria il divario sta scomparendo, ma non è così nell’istruzione terziaria, anche se i numeri sono in aumento. Sul mercato del lavoro, anche nei paesi sviluppati le donne continuano a guadagnare meno degli uomini a parità di qualifica professionale, a tutti i livelli. I diritti delle donne, in particolare quelli di proprietà, in molti paesi continuano a essere diversi da quelli degli uomini, e il divario nel campo della partecipazione politica si è ridotto di pochissimo.

Pertanto, è necessario intervenire attivamente per arrivare all’uguaglianza fra i generi. Ci sono due argomenti per sostenere queste politiche attive. Il primo è l’uguaglianza come valore di per sé. Il secondo è legato al ruolo fondamentale delle donne nello sviluppo economico: ridurre i divari di genere produrrà conseguenze positive in molte dimensioni della vita economica e sociale. È, in altri termini, efficiente. Questa visione condiziona il dibattito e le politiche adottate in ogni parte del mondo, dal microcredito ai trasferimenti condizionali di denaro.

L’intervento politico sarebbe pienamente giustificato se l’empowerment femminile stimolasse a sua volta più sviluppo, innescando un ciclo virtuoso. Sicuramente dare più potere alle donne modifica le scelte della società. C’è da dire, tuttavia, che la visione secondo la quale le donne prendono sempre le decisioni migliori per lo sviluppo di lungo periodo, è un po’ esagerata.

Ad esempio, molti studi indicano che l’identità del beneficiario di un trasferimento monetario ha una chiara influenza sull’uso che viene fatto di quel denaro. In uno studio sulla rapida espansione del programma di pensioni di vecchiaia in Sudafrica, ho calcolato che per le bambine vivere con una nonna che riceve una pensione è sufficiente a colmare metà del divario nella crescita fra i bambini sudafricani e quelli americani. Le pensioni percepite dalle donne si traducono in migliore nutrizione per le bambine. Lo stesso effetto non si riscontra invece per i maschi. Tuttavia, il fatto che le donne abbiano preferenze diverse non significa che tali preferenze siano sempre a favore di “cose buone”. Eric Edmonds per esempio ha riscontrato che il denaro ha un impatto positivo sull’istruzione quando è il nonno a percepire la pensione.

Uomini e donne hanno preferenze diverse anche rispetto alle politiche da applicare. Le donne preferiscono politiche che rispecchiano meglio le loro priorità, come la salute e la nutrizione dei bambini, e sono favorevoli a misure che accrescano il loro potere contrattuale all’interno della famiglia, per esempio migliorando la loro situazione in caso di divorzio o le loro possibilità di accesso al mercato del lavoro. Dare potere alle donne dunque incide sulle politiche adottate. Ma non è scontato che sia sempre per il meglio. Nel mio studio sull’India, insieme a Amitava Chattopadhyay, mostro che dare potere alle donne a livello locale (con la politica delle quote) determina cambiamenti nella distribuzione dei beni pubblici: un leader donna investe di più per l’acqua potabile e di meno per le scuole (nel Bengala Occidentale) e per le strade (nel Rajasthan). Ma c’è un reale motivo di efficienza per preferire l’acqua potabile alle scuole o alle strade? È chiaro che le scelte restano inevitabili.

Né lo sviluppo economico né l’empowerment femminile sono il rimedio a tutti i mali, come a volte si vuole far credere. Per creare uguaglianza tra uomini e donne – un obbiettivo molto auspicabile di per sé – sarà necessario continuare a prendere iniziative politiche a favore delle donne, e sarà necessario farlo per molto tempo. Tutto ciò potrebbe produrre alcuni benefici, ma non è detto che siano sufficienti a compensare i costi delle distorsioni associate a questa ridistribuzione. È bene che le autorità, su entrambi i versanti del dibattito sviluppo/empowerment stemperino le proprie posizioni alla luce di queste considerazioni realistiche.

(Traduzione di Gaia Seller)
L’intervento è un estratto della Lecture che Esther Duflo terrà oggi all’Università Bocconi

Il Sole 24 Ore 29.06.10