attualità, economia, politica italiana

«Così andranno persi i contributi fino al 2013», di Stefano Lepri

Il programma è partito tre anni fa: tardi per correggere la rotta

Sempre la stessa storia, questa dei fondi europei che il Sud spreca? No, non è sempre la stessa storia. Dopo essere migliorata, la capacità di spesa delle regioni meridionali è tornata a peggiorare. Era il medesimo Giulio Tremonti, anni fa, a vantarsi che sotto la sua guida i fondi strutturali del programma europeo 2000-2006 si stavano spendendo tutti. Poi, gli enti locali sono tornati a scegliere progetti o impresentabili o difficili da realizzare. E il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione (Dps) che deve coordinare il tutto, in pratica l’erede del vecchio ministero per il Mezzogiorno, oggi non è più sottoposto al ministro dell’Economia, ma al ministro per lo Sviluppo (carica al momento ricoperta ad interim dal presidente del consiglio).

In un modo o nell’altro, si ha la sensazione che la vecchia politica clientelare abbia ripreso il sopravvento. Tremonti stesso non fa questioni di destra e sinistra. Si è interrotto uno sforzo intrapreso a metà degli anni ‘90: inizi sotto il governo Dini, grande impegno con Carlo Azeglio Ciampi al Tesoro dal 1996 al 1999, continuazione con Tremonti nella legislatura seguente. A metà strada del programma 2007-2013, pare ormai difficile invertire la marcia, cancellando i progetti sbagliati e dirottando i fondi altrove. Negli strumenti scelti c’era già qualcosa che non andava, se i risultati sono stati effimeri? Su dove si sia sbagliato, ferve il dibattito fra politici ed esperti. C’è chi vorrebbe esautorare le Regioni del Sud, c’è chi spera che, buttate impietosamente in mare da un radicale federalismo, imparino a nuotare con le loro gambe e le loro braccia.

«Vedo all’opera un meccanismo perverso, di selezione dei peggiori fra la classe dirigente locale – dice Nicola Rossi, economista e senatore del Pd spesso in polemica con la sua parte politica – perché l’illusione di raccogliere in modo capillare i desideri delle comunità locali, contenuta in norme nazionali ed europee scitte in modo astratto, fa prevalere chi propone di piantare le palme sulla piazza del paese su chi propone progetti seri». Anche nel programma 2000-2006 non tutto era filato liscio, se 14 miliardi di euro non spesi si era dovuto spostarli su altri progetti. Già appena tornato al ministero del 2008 Tremonti si era reso conto delle difficoltà; cosicché è stato prontissimo a decurtare a più riprese il Fondo per le aree sottoutilizzate (Fas, ovvero il contributo italiano ai programmi europei) quando con la crisi è stato necessario trovare risorse per la cassa integrazione.

Fabrizio Barca, il dirigente del ministero dell’Economia che sotto Ciampi aveva guidato la politica per il Mezzogiorno, e che oggi lavora con Tremonti, non condivide – lo ha spiegato in un convegno alla Banca d’Italia – la critica secondo cui sarebbe stato il «localismo» a far impantanare gli sforzi per spendere meglio nel Sud. Secondo lui «già dalla fine del 1999 il consenso politico attorno alla nuova strategia era venuto meno» e tornavano a riaffacciarsi i vecchi vizi. Secondo Barca, «come spiegare altrimenti la pressione sul presidente della Regione Campania Antonio Bassolino da parte dei vertici nazionali del proprio partito affinché rinunziasse a «liberare la sanità dal controllo asfissiante dei vecchi notabilati» (come descrive in un articolo mai smentito l’on. Isaia Sales?) Come spiegare l’assenza assoluta di qualunque dibattito quando, nel 2003, il viceministro Gianfranco Miccichè comminò dure sanzioni finanziarie alle Regioni – soprattutto a quelle della sua stessa coalizione – che non avevano conseguito gli obiettivi prefissati?».

Però i fondi sprecati di cui si parla non sono che una piccola parte del problema del Mezzogiorno. Anche gli investimenti nazionali arrivano in ritardo o sono inferiori al previsto; e «i sussidi alle imprese sono stati generalmente inefficaci» come ha affermato il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Un recente libro di tre economisti della Banca d’Italia, Luigi Cannari, Marco Magnani e Guido Pellegrini, «Critica della ragione meridionale» espone appunto la tesi fatta propria da Draghi che nel Sud, più che spendere, occorra far funzionare lo Stato, ordine pubblico e istruzione soprattutto.

da www.lastampa.it

******

«Giulio, il predicatore anti-meridionalista», di FRANCESCO MERLO

E PERO’ Tremonti non dice che sono tanti piccoli Tremonti questi disperati “cialtroni” del Sud, quasi tutti leader del suo partito e tutti incapaci di programmare, progettare, destinare e spendere. Insomma è giusto ma è facile parlare male del Sud.
È roba vera ma sbracata, in maniche di camicia, più adatta a Brunetta che a Tremonti, il quale sa che non solo l’economia ma anche la retorica è una scienza e non basta un rispettato pulpito per fare una buona predica. Tremonti ammetterà che è invece molto più coraggioso e difficile per qualsiasi meridionale, come per esempio sono io, riconoscere la drammatica verità racchiusa nell’invettiva populista del pur raffinato ministro.
È sicuramente vero che il Meridione somiglia all’isola della Tortuga che nel Seicento viveva di pirateria attiva e passiva. È vero che i suoi governanti sembrano corsari che hanno sì le mani adunche ma sono poi incapaci di amministrare il tesoro. Ma, a parte qualche lodevole eccezione, come per esempio Nichi Vendola che per la Puglia ha speso, e mi pare bene, tutti i fondi allo sviluppo erogati dal 2000 al 2006 (2,6 miliardi di euro), sono del centrodestra i governatori e i sindaci del Sud. E come Tremonti, sono troppo presi dalla difesa delle leggi ad personam, dei lodi Alfano e Brancher, del federalismo comunale, dei corrotti che si sono incrostati sullo Stato come una muffa, per dedicarsi a quella strana e ultima risorsa che si chiama territorio, per coltivare quel sogno antico che è anche nostro, il sogno di tutti i meridionali d’Italia, di un Paese che per tre quarti è Meridione, il sogno di una “grande svolta”, il sogno dello sviluppo: eleganza e buone maniere, nuovi mestieri, sconvolgimento delle gerarchie sociali, rivolgimenti delle mode e degli status symbol, alberghi e parcheggi sotterranei, autostrade a terra e bande larghe in cielo, da poveri a ricchi, da attardati a veloci, dall’indolenza alla nevrosi, dall’immobilismo all’iperattivismo.

Un uomo come Tremonti non può impunemente alzare il ciglio sulla marginalità meridionale che non ha anticorpi, ed esprimersi come il più volgare dei terroni di piazza, con la parola “cialtroni” che non usa per Brancher o per Scajola, e mai si permetterebbe di usare per il suo principale che a reti unificate ieri ha spiegato all’Italia che ora si riposa due giorni e poi “ghe pensi mi”.
Tremonti sa che il Sud è una lama affilata senza manico, un paradiso infernale che facilmente può trasformare i suoi governanti in re Mida lasciandoli tuttavia prigionieri di una povertà che è considerata bellezza quando è scarsamente frequentata dagli uomini, ma che diventa reato non appena si muta in oro, vale a dire paesaggio, progetti, piani regolatori, varianti, metropolitane di superficie, concessioni edilizie e, ovviamente, amici fidatissimi nei posti chiave e consenso elettorale.

La sola “mossa” meridionalista di Tremonti è stata la banca del Sud che sino a questo momento è un’altra fandonia demagogica. Non abbiamo visto il ministro impegnarsi per sradicare l’economia criminale, per lenire la piaga del sommerso, per cacciare dal suo centrodestra i collusi, i complici e gli ignavi. Né gli abbiamo sentito dire che è cialtronesco l’elogio dell’omertà cantato da Dell’Utri
È vero, la maledizione del paradiso abitato dai diavoli è che l’agire, l’intrapresa, l’iniziativa sono sempre farina diabolica mentre l’inazione è sempre essenza paradisiaca ed angelica: nel sud non sanno neppure spendere. Tremonti si rimetta la giacca, restituisca la demagogia a Calderoli, e si batta il petto senza illudersi sui soldi e sul saldo di questo conto. È destinato a pagarlo anche lui.

da www.repubblica.it