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«La complicata ricerca di un sostituto dell'ICI», di Vincenzo Visco

Un’imposta sul patrimonio immobiliare è considerata la migliore soluzione per il finanziamento degli enti locali. E infatti è negli Stati Uniti vige la property tax. Perché allora in Italia è stata abolita l’Ici e si parla ora di introdurre una imposta sui servizi? Dal confronto tra vari tipi di tassazione si ricava che qualsiasi prelievo basato oltre che su logiche tariffarie su parametri integrativi avrebbe comunque l’effetto di trasferire il prelievo dai contribuenti più ricchi agli altri. E in particolare determinerebbe un maggior onere sulle classi medie.

Uno dei problemi aperti dopo la soppressione dell’Ici sulla prima casa casa e che tale rimane anche dopo la pubblicazione della Relazione del Governo sul Federalismo Fiscale è quello di trovare una nuova fonte di prelievo per il finanziamento degli enti locali. Si parla da molti mesi, e anche nella Relazione, di una imposta sui servizi che dovrebbe (forse) assorbire anche alcune tariffe in vigore. Per il momento, tutto è molto incerto e confuso; proprio per questo può essere utile prospettare una razionalizzazione delle varie opzioni possibili (e praticate) per una tassazione in sede locale.

IL PRINCIPIO DEL BENEFICIO
È opinione diffusa, e abbastanza condivisa tra gli studiosi, che un buon sistema di finanziamento degli enti locali dovrebbe far riferimento al cosiddetto principio del beneficio: ognuno dovrebbe pagare per il finanziamento dei beni e servizi prodotti dalla collettività, in base ai benefici effettivamente ricevuti. Ciò porta immediatamente all’idea di tariffa, ma poiché non è possibile calcolare esattamente in che misura ciascun cittadino beneficia di beni e servizi ampiamente indivisibili, la realizzazione pratica del principio porterebbe ad un’ipotesi di ripartizione dei relativi costi pressoché uniforme tra i cittadini, in quanto, più o meno tutti, beneficerebbero nella stessa misura dell’attività dell’ente locale. La soluzione tecnica è la “poll tax”, un prelievo eguale per tutti (una tariffa onnicomprensiva) in grado di coprire i costi di produzione. La introduzione di una poll tax per il finanziamento dei servizi locali fu proposta dalla signora Thatcher per il Regno Unito e fu una delle cause della sua caduta e sostituzione alla guida del governo, per la evidente iniquità del prelievo proposto.
Un altro ragionamento, pur sempre legato alla teoria del beneficio, porta a conclusioni alquanto diverse: fermo restando che esistono servizi pubblici locali a domanda individuale per i quali si può ben applicare la logica prezzo-tariffa, va riconosciuto che i proprietari di immobili sono fra i principali beneficiari di servizi locali efficienti che contribuiscono alla crescita dei valori immobiliari; inoltre sia la domanda che i costi di offerta dei servizi forniti nei centri urbani sono più elevati di quelli forniti in periferia. Si conclude quindi che un’imposta sul patrimonio immobiliare è la migliore soluzione per il finanziamento degli enti locali. Nel caso di immobili in affitto si può discutere circa l’opportunità di ripartire l’onere dell’imposta tra proprietari e affittuari.
Questa soluzione è quella da sempre adottata dagli Stati Uniti e da numerosi altri paesi, e anche, molto timidamente, dall’Italia con l’Ici. Negli Stati Uniti, la property tax fornisce un gettito molto rilevante: tra un quinto e un quarto dell’intero gettito delle imposte dirette, oltre il 3 per cento del Pil; le aliquote di imposta sono elevate: mediamente l’1 per cento del valore patrimoniale; la base imponibile è rappresentata dal valore effettivo di mercato con i catasti che vengono continuamente aggiornati. In sostanza, l’Ici non era che una pallida riproduzione di una normale imposta locale sul patrimonio, eppure è stata ritenuta insopportabile e abolita.

CONFRONTO TRA IMPOSTE
Vediamo quali possono essere state le cause e le conseguenze di questa scelta che ci costringerà ad acrobazie logiche e tecniche per individuare un prelievo sostitutivo.
A questo fine utilizziamo (tabella 1) i dati relativi alla distribuzione del reddito e del patrimonio delle famiglie italiane elaborati ogni anno dalla Banca d’Italia per via campionaria e riportati all’universo (per un valore complessivo del solo patrimonio mobiliare di oltre 5mila miliardi nel 2006). I dati consentono di verificare la distribuzione del patrimonio che corrisponde alla distribuzione del reddito per decili di famiglie e quindi di valutare gli effetti distributivi rispetto al reddito di differenti forme di prelievo locali che forniscono lo stesso gettito: una poll tax, un’imposta proporzionale sul reddito e un’imposta proporzionale sul patrimonio immobiliare con aliquota dello 0,5 per cento.

I risultati sono riassunti nella tabella 2, dalla quale si ricava che a) il gettito potenziale di una imposta sul patrimonio immobiliare valutato ai prezzi di mercato, applicando un’aliquota molto ridotta, del 5 per mille, è molto elevato: oltre 26 miliardi di euro. Se si decidesse di concedere una detrazione di imposta generalizzata tale da escludere dal prelievo il primo decile di contribuenti, come avviene negli Stati Uniti e come avveniva con l’Ici, il gettito rimane consistente: oltre 21 miliardi. b) Un’imposta proporzionale sul patrimonio funziona come un’imposta lievemente progressiva rispetto al reddito (sia pure con qualche imperfezione). c) L’approccio tariffario al funzionamento degli enti locali (poll tax) è, come ovvio, molto regressivo. d) Confrontando l’imposta patrimoniale con un prelievo proporzionale sul reddito, a parità di gettito, si verifica che, con la patrimoniale, pagano meno gli 8 decili più bassi e di più i due decili più elevati (i più ricchi). L’incidenza media è comunque molto bassa.

Concludendo, rispetto a una imposta patrimoniale, qualsiasi prelievo che finanzi i servizi locali facendo riferimento oltre che a logiche tariffarie anche a parametri integrativi, quali il reddito, i metri quadri dell’abitazione, la composizione dei nuclei familiari, come presumibilmente farebbe la nuova imposta, avrebbe comunque l’effetto di trasferire il prelievo dai più ricchi agli altri contribuenti; e, poiché alle famiglie più povere dovrà comunque essere assicurata una protezione, ciò significa un maggior onere sulle classi medie. In sostanza l’abolizione dell’Ici, invece di una sua razionalizzazione mediante revisione dei valori catastali e riduzione delle aliquote, sembra essere stata motivata essenzialmente da ragioni di carattere distributivo.

da www.lavoce.info

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